Vita Chiesa

Papa Francesco: gli insegnanti sono tra gli operatori peggio pagati

In un dialogo domande-risposte con i circa 7.000 presenti, in rappresentanza dei 69 milioni di studenti delle scuole e università cattoliche sparse nel mondo, il Papa ha parlato interamente a braccio, iniziando con il citare «un grande pensatore» che diceva come «educare è introdurre nella totalità della verità». «L’identità cattolica è Dio che si è fatto uomo», ha ricordato Francesco, secondo il quale «andare avanti negli atteggiamenti, nei valori umani pieni apre la porta al seme cristiano, poi viene la fede».

Educare alla trascendenza. «Educare cristianamente – ha ammonito il Pontefice – non è soltanto fare una catechesi, questo è una parte: non è soltanto fare proselitismo – mai fare proselitismo nelle scuole! -, educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani, in tutta la realtà, e una di quelle realtà è la trascendenza». «Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo», la denuncia di Francesco, cioè a «educare al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi tradizionalmente cristiani, sia nei Paesi di tradizione pagana, e questo non è introdurre i bambini nella realtà totale».

No ad ogni forma di chiusura. Per il Papa «la crisi più grande dell’educazione, per farla cristiana, è la chiusura alla trascendenza». Parlando a braccio ha esortato gli educatori a «preparare i cuori perché il Signore si manifesti, ma nella totalità dell’umanità, che ha anche questa dimensione di trascendenza». «Educare umanamente, ma con orizzonti aperti», la ricetta di Francesco per gli insegnanti. «Ogni forma di chiusura non serve per l’educazione», ha ammonito.

«Oggi l’educazione è diventata troppo selettiva, elitaria», ha denunciato il Papa. «Sembra che abbiano diritto all’educazione solo le persone di un certo livello e con certe capacità – ha denunciato Francesco nel suo discorso a braccio – ma che non abbiano diritto all’educazione tutti i bambini e i giovani, e questa è una realtà moderna che è una vergogna, perché ci porta verso una selettività umana, che invece di avvicinare i popoli li allontana». Tutto ciò, per il Papa, «allontana i ricchi dai poveri, questa cultura da un’altra». «Troviamo i migliori i più intelligenti, quelli con più soldi, e lasciamo da parte gli altri», il monito. Ma «il mondo non può andare avanti con un’educazione selettiva, perché non c’è un patto sociale che accomuni tutti», la denuncia di Francesco.

«Fra gli operatori più malpagati ci sono gli educatori», ha detto il Papa, tra gli applausi dei 7mila partecipanti al Congresso mondiale dell’educazione cattolica riuniti in Aula Paolo VI. «Questo vuol dire che lo Stato non ha interesse: se lo avesse, le cose non andrebbero così», ha aggiunto. «Il vostro lavoro – ha affermato Francesco agli insegnanti – è cercare strade nuove, fare lo stesso che ha fatto don Bosco: nei tempi più brutti della massoneria nel Nord dell’Italia ha cercato un’educazione d’emergenza, e oggi ci vogliono educatori d’emergenza». Questo vuol dire, per il Papa, «rischiare sull’educazione informale», che «si è impoverita» per «l’eredità del positivismo, che concepiva l’educazione come tecnicismo intellettuale, come linguaggio della testa». Di qui la necessità di scommettere su luoghi informali come l’arte e lo sport, su «un’educazione che non sia soltanto cervello e testa», ha detto Francesco citando l’esperienza delle «Scholas occurrentes», che usano i tre linguaggi di «testa, cuore e mani»: «tre linguaggi in armonia»; tre strade per «insegnare a pensare, aiutare a sentire bene, accompagnare nel fare. Così un’educazione diventa intensiva, perché tutti hanno un posto». «La vera scuola deve insegnare concetti, abitudini e valori», l’invito del Papa. «Quando una scuola non è capace di fare questo, è selettiva, esclusiva e per pochi», ha sostenuto.

«Il patto educativo tra la famiglia e la scuola si è rotto: si deve ricominciare». È l’invito rivolto dal Papa, nel suo discorso durato circa un’ora e pronunciato interamente a braccio. «Anche il patto educativo tra la famiglia e lo Stato si è rotto – ha proseguito Francesco – a meno che non ci sia uno Stato ideologico, che vuole approfittare dell’educazione per portare avanti la sua ideologia, come è avvenuto con le dittature del secolo scorso». «Questa situazione del patto educativo rotto è grave – ha commentato il Pontefice – perché porta a selezionare superuomini, ma soltanto col criterio della testa e dell’interesse». «Dietro tutto questo sempre c’è il fantasma dei soldi, che rovinano l’umanità», la denuncia di Francesco.

«Il vero educatore deve essere un maestro di rischio, ma ragionevole». È l’identikit dell’insegnante tracciato dal Papa. «Educare significa rischiare», ha spiegato: «un educatore che non sa rischiare non serve per educare. Un papà e una mamma che non sanno rischiare non educano bene il figlio». Occorre «rischiare ragionevolmente», ha precisato Francesco, come quando si insegna ai propri figli a camminare: «Quando insegni a un figlio a camminare, gli dici che una gamba deve essere ferma, e che con l’altra deve cercare di andare avanti, così se scivola può difendersi. Sei sicuro qui, ma devi fare un altro passo: forse scivoli, ma ti alzi e vai avanti».

No, allora, alla «rigidità»: «Dove c’è rigidità – le parole, applaudite, di Francesco – non c’è umanesimo, e dove non c’è umanesimo non può entrare Cristo, ha le porte chiuse». «Il popolo non vuole rigidità, vuole un’altra cosa», ha assicurato il Papa: «Le famiglie vogliono convivenza, vogliono dialogo, ma quando il patto educativo è rotto e c’è rigidità, non c’è posto per il dialogo, per una universalità e una fratellanza». Sempre citando l’esperienza delle «Scholas occurrentes», Francesco ha detto che c’è «bisogno di unità: oggi il piano che viene offerto è della separazione, della selettività».

Il grazie alle Congregazioni. «Voglio pubblicamente ringraziare tutte le Congregazioni religiose, maschili e femminili, che mai hanno dimenticato le periferie delle strade». Per questo pubblico ringraziamento, il Papa ha attinto all’esperienza personale, menzionando una suora – «madre Açunsion, ancora vive, vecchietta» – che, quando era rettore all’Università di Buenos Aires, «faceva il lavoro di segretaria all’Università e poi mangiava un panino e di pomeriggio prendeva la macchina e andava in periferia a fare la direttrice di una scuola dei poveri». Di qui il «grazie» di Francesco a quelle «tante Congregazioni» che «non hanno perduto mai la vocazione di andare in periferia, da dove sono nate». «Ma noi dobbiamo formare dirigenti», la possibile obiezione: «Quello è vero, lo si deve fare», la risposta, ma «nessuno può essere escluso». L’esempio citato da Francesco è preso dalla visita in Paraguay, quando visitando una scuola di periferia, ha incontrato «tanti giovani poveri, senza l’essenziale, ragazzi e ragazze tra i 14 e i 16 anni che hanno scelto di parlare su alcuni temi forti». «Ho sentito la discussione tra loro e la conclusione di uno dei temi: la gravidanza adolescente», ha raccontato il Papa. «Come possono questi ragazzi, che vivono una vita che è un fiume che va e viene, pensare così, come sono capaci di pensare così? Loro hanno avuto un metodo, un educatore che li ha portati per mano», ha osservato il Pontefice.

«Qual è la tentazione più grande delle guerre, in questo momento? I muri». Il Papa ha risposto così, a braccio, ad una domanda su «quale strade si aprono agli educatori, ai tempi della terza guerra mondiale a pezzi». «Il fallimento più grande che può avere un educatore è educare dentro i muri», ha ammonito Francesco, aggiungendo: «Di una cultura selettiva, di una cultura di sicurezza, di un settore sociale benestante». Da qui è nato il «compito a casa» chiesto ai partecipanti al Congresso mondiale delle scuole e delle università cattoliche: «Ripensare le 14 opere di misericordia corporale e spirituale nell’educazione, in questo Anno della Misericordia», chiedendosi «come posso fare perché questo amore del Padre arrivi nelle nostre opere educative». Il Papa ha ringraziato «gli educatori e le educatrici malpagati» per quello che fanno: «Dobbiamo rieducare tante civiltà, rieducare l’Europa», l’invito di Francesco, «e così si può arrivare anche a quelli che non credono». 

Alle Congregazioni religiose, una raccomandazione: «Lasciate i posti dove ci sono tanti, o almeno lasciatene la metà, ed andate alle periferie: cercate lì i bisognosi, i poveri, loro hanno una cosa che non hanno i giovani dei quartieri più ricchi. Hanno l’esperienza della sopravvivenza, anche della crudeltà, della fame, delle ingiustizie. Hanno una umanità ferita, e la nostra salvezza viene da un uomo ferito sulla Croce». «Non si tratta di andare là per fare beneficenza», ha puntualizzato Francesco. «La realtà si conosce meglio dalle periferie che dal centro. Nel centro sei sempre coperto, difeso», ha concluso.