Vita Chiesa

Papa Francesco: liturgia penitenziale, «guardando solo al nostro io diventiamo ciechi»

«Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope! Quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale!», ha esclamato Francesco, secondo il quale ciascuno di noi, in questa Quaresima giubilare, è chiamato a fare propria la richiesta del cieco Bartimeo:  «Che io veda di nuovo».  «È questa la richiesta che oggi vogliamo rivolgere al Signore», ha esordito: «Vedere di nuovo, dopo che i nostri peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene e ci hanno distolto dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta». «Questo brano di Vangelo ha un grande valore simbolico ed esistenziale, perché ognuno di noi si trova nella situazione di Bartimeo», ha spiegato il Papa: «La sua cecità lo aveva portato alla povertà e a vivere ai margini della città, dipendendo dagli altri in tutto». «Anche il peccato ha questo effetto: ci impoverisce e ci isola», il monito del Papa: «È una cecità dello spirito, che impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene».

«Gesù passa; passa e non va oltre». E in quel «si fermò», del Vangelo, «un fremito attraversa il cuore, perché ci si accorge di essere guardati dalla Luce, da quella Luce gentile che ci invita a non rimanere rinchiusi nelle nostre scure cecità». Con queste parole il Papa, nell’omelia della liturgia penitenziale, ha descritto la dinamica che ci fa avvertire la nostalgia di Dio, e il bisogno della sua misericordia, quando ci allontaniamo da lui con il peccato. «La presenza vicina di Gesù fa sentire che lontani da Lui ci manca qualcosa di importante», ha spiegato Francesco: «Ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore». Poi, «quando il desiderio di essere guariti si fa audace, conduce alla preghiera, a gridare con forza e insistenza aiuto, come fa Bartimeo: ‘Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!’».

«C’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi, che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio». È l’analisi del Papa, che nell’omelia ha stigmatizzato «la tentazione di andare avanti come se nulla fosse», cedendo alla quale «si rimane distanti dal Signore e si tengono lontani da Gesù anche gli altri». «Riconosciamo di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa», l’invito di Francesco, che ha citato Sant’Agostino e ha esortato a dar voce «al nostro desiderio più vero: ‘che io veda di nuovo’!».  «Questo Giubileo della Misericordia è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore», le parole del Papa: «Come Bartimeo, gettiamo via il mantello e alziamoci in piedi: buttiamo via, cioè, quello che ci impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati; non rimaniamo seduti, rialziamoci, ritroviamo la nostra statura spirituale, la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati». «La parola che forse oggi arriva al nostro cuore – ha aggiunto Francesco a braccio – è la stessa della creazione dell’uomo: ‘Alzati!’ Dio ci ha creati in piedi».

«Oggi più che mai, soprattutto noi pastori siamo chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore». Ne è convinto il Papa, che ha esortato i sacerdoti a «rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano dalla tenerezza di Dio». «Non dobbiamo certo sminuire le esigenze del Vangelo, ma non possiamo rischiare di rendere vano il desiderio del peccatore di riconciliarsi con il Padre, perché il ritorno a casa del figlio è ciò che il Padre attende prima di tutto», l’invito rivolto da Francesco in modo particolare ai confessori, in questo speciale anno giubilare dedicato alla misericordia.

«Siamo mandati a infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore». È la consegna ai sacerdoti, con la quale il Papa ha concluso l’omelia della liturgia penitenziale presieduta questo pomeriggio nella basilica di San Pietro. «Non dimentichiamo: è solo Dio che agisce in ogni persona – ha proseguito -. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce».  «Ogni uomo e ogni donna che si accostino – ha aggiunto a braccio – trovino un padre che li aspetta, e trovino il Padre che perdona».  «Noi siamo stati scelti per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia», ha detto Francesco ai preti, soprattutto quando esercitano il loro ministero all’interno del confessionale: «Le nostre parole siano quelle dei discepoli che, ripetendo le stesse espressioni di Gesù, dicono a Bartimeo: ‘Coraggio! Alzati, ti chiama’». La conclusione del racconto evangelico, per il Papa, «è carica di significato: Bartimeo ‘subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada’. Anche noi, quando ci accostiamo a Gesù, rivediamo la luce per guardare al futuro con fiducia, ritroviamo la forza e il coraggio per metterci in cammino».  «Chi crede, vede», ha assicurato Francesco citando la Lumen fidei, « va avanti con speranza, perché sa che il Signore è presente, sostiene e guida». E «dopo l’abbraccio del Padre, il perdono del Padre – ha concluso il Papa ancora una volta a braccio – facciamo festa nel nostro cuore, perché Lui fa festa».

Dopo il rito della riconciliazione che ha fatto seguito all’omelia, la liturgia presieduta da Papa Francesco questo pomeriggio nella basilica vaticana è proseguita con il Pontefice che si è recato a uno dei due confessionali degli altari laterali per inginocchiarsi come penitente. Alle 17.40 circa, si è messo in ginocchio per la Confessione, come aveva già fatto nelle altre due analoghe celebrazioni penitenziali di metà Quaresima in questi quasi tre anni di pontificato. Poi il Papa si è seduto, a sua volta, nel confessionale e ha amministrato lui il sacramento della Riconciliazione ad alcuni fedeli, cominciando da una ragazza. È il cuore della liturgia penitenziale con la quale Papa Francesco ha dato inizio a Roma, in contemporanea con le diocesi di tutto il mondo, all’iniziativa «24 ore per il Signore», giunta anch’essa al terzo anno consecutivo. Organizzata dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, la «due giorni» dà la possibilità ai fedeli di accostarsi al sacramento della Riconciliazione e all’adorazione eucaristica secondo modalità straordinarie, alle quali si può ricorrere solamente una volta all’anno, e che offrono l’occasione di confessarsi per tutta la notte nelle chiese scelte appositamente dalle varie diocesi dei cinque Continenti. A Roma, le chiese sono localizzate nel centro storico: a partire dalle ore 21, sarà possibile accostarsi al sacramento della confessione e fare adorazione eucaristica nelle chiese di Nostra Signora del Sacro Cuore (Piazza Navona), Santa Maria in Trastevere (Piazza di Santa Maria in Trastevere) e delle Sacre Stimmate di S. Francesco (Largo Argentina).