Vita Chiesa

Papa Francesco: non esistono popoli «di prima» e «di seconda» classe, serve «meticciato culturale»

«La terra non è fatta unicamente per sfruttarla senza alcun riguardo, per interessi esclusivamente economici o finanziari». Lo ha detto il Papa, che dopo il suo discorso presso la sede della Fao ha espresso il suo «grazie» a 30 delegati di 31 differenti popolazioni indigene, salutati uno per uno.

«I poveri non possono continuare a patire ingiustizie e i giovani hanno diritto a un mondo migliore del nostro, e aspettano da noi risposte conseguenti e convincenti», ha fatto notare Francesco lanciando ancora una volta un appello alla salvaguardia comune del creato: «Se uniamo gli sforzi, in spirito costruttivo e instauriamo un dialogo paziente e generoso – la tesi del Papa – finiremo per acquisire maggiore coscienza che abbiamo bisogno gli uni degli altri, e che un’azione dannosa si ripercuote negativamente anche sulla serenità e la fluidità della convivenza». «La vostra presenza fra di noi – ha esordito Francesco rivolgendosi ai popoli indigeni – mostra che le questioni ambientali sono di estrema importanza e ci invita a dirigere nuovamente lo sguardo al nostro pianeta, ferito in molte regioni per l’avidità umana, per i conflitti bellici che generano una scia di mali e di disgrazie, così come dalle catastrofi naturali che causano, a loro volta, povertà e devastazione». «Non possiamo continuare ad ignorare questi flagelli – l’appello del Papa – rispondendo ad essi con l’indifferenza o la mancanza di solidarietà o rimandando le misure per fronteggiarli adeguatamente». Al contrario, «solo un vigoroso sentimento di fraternità fortificherà le nostre mani per soccorre oggi coloro che sono nel bisogno e aprire la porta del domani alle generazioni che verranno dopo di noi». «Dio ha creato la terra per il beneficio di tutti, affinché fosse uno spazio accogliente nel quale nessuno si senta escluso e tutti possano trovare una casa», ha ricordato Francesco: «Il nostro pianeta è ricco di risorse naturali», e «i popoli originari, con la sua abbondante varietà di lingue, culture, tradizioni, conoscenze e metodi ancestrali sono una chiamata all’attenzione che pone in risalto come l’uomo non è proprietario del creato, ma soltanto il suo custode, e che la sua vocazione è vegliare su di esso con cura, affinché non si perda la biodiversità, l’acqua possa continuare ad essere sana e cristallina, l’acqua pura, i boschi frondosi e il suolo fertile». «I popoli indigeni sono un grido vivente a favore della speranza», ha esclamato il Papa: «ci ricordano che gli essere umani hanno una responsabilità condivisa nella cura della casa comune». «E se determinate decisioni prese finora la hanno rovinata, non è mai troppo tardi per apprendere la lezione e adottare un uovo stile di vita», l’appello di Francesco, per «superare l’individualismo atroce, il consumismo convulso e il freddo egoismo».

«La terra soffre e i popoli originari conoscono il dialogo con la terra, sanno ascoltare la terra, vedere la terra, toccare la terra». Lo ha detto, a braccio, il Papa, nel discorso rivolto alle popolazioni indigene, i cui rappresentanti ha salutato uno per uno, dopo aver pronunciato il suo discorso all’Ifad presso la sede della Fao. Francesco, in particolare, ha esortato ad imparare da loro per fuggire la tentazione di «una sorta di illusione progressista» a proposito della terra. A questo proposito, il Papa ha esortato a non dimenticare il proverbio popolare: «Dio perdona sempre, gli uomini perdonano qualche volta, la natura non perdona mai». «Lo stiamo sperimentando, a causa dell’abuso e dello sfruttamento», ha commentato ancora a braccio, affidando ai popoli indigeni il compito di tramandare la loro «saggezza ancestrale». Sempre a braccio, il Papa ha poi denunciato un altro «pericolo» del «nostro immaginario collettivo»: chiamare i popoli cosiddetti civilizzati «di prima classe» e i popoli cosiddetti originari o indigeni «di seconda classe». «E’ il grande errore di un progresso sradicato, disancorato dalla terra», la denuncia del Papa, secondo il quale «è necessario che entrambi i popoli dialoghino». «Oggi è urgente un meticciato culturale – la tesi di Francesco – in cui la saggezza dei popoli originari possa dialogare allo stesso livello con la saggezza dei popoli più sviluppati, senza annullarsi». Il «meticciato culturale», per il Papa, è la rotta da seguire «con la stessa dignità», lavorando «per tutelare quanti vivono nelle zone rurali e più povere del pianeta, però più ricche nella saggezza del convivere con la natura».

«Pochi hanno troppo e troppi hanno poco. Molti non hanno cibo e vanno alla deriva, mentre pochi annegano nel superfluo. Questa perversa corrente di disuguaglianza è disastrosa per il futuro dell’umanità». Ne è convinto il Papa, che salutando il personale dell’Ifad, al termine della sua visita alla Fao, ha detto loro: «Grazie perché voi pensate e agite controcorrente», in un mondo che «vede il rallentamento della riduzione della povertà estrema e l’aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi». «E grazie anche per il vostro lavoro silenzioso, spesso nascosto», ha proseguito Francesco: «come le radici di un albero, non si vedono, ma da lì proviene la linfa che nutre tutta la pianta. Forse non ricevete molti riconoscimenti, ma Dio vede tutto, conosce l’abnegazione e la professionalità, apprezza le ore che trascorrete sollecitamente in ufficio e i sacrifici che ciò comporta. Dio, non scorda mai il bene e sa ricompensare chi è buono e generoso». «Dal vostro lavoro traggono beneficio molte persone bisognose e svantaggiate, che sopravvivono con tante sofferenze nelle periferie del mondo», l’omaggio del Papa, secondo il quale «per svolgere bene questo tipo di servizio, bisogna unire alla competenza una particolare sensibilità umana». «Grazie anche al vostro apporto si possono realizzare progetti che aiutano bambini disagiati, donne, famiglie intere», ha detto Francesco ringraziando per le «belle iniziative» i presenti, «anche a nome di tanti poveri che servite». Il secondo invito è a «proseguire con rinnovato impegno questa vostra opera, senza stancarvi, senza perdere la speranza, senza cedere alla rassegnazione pensando che sia solo una goccia nel mare». «Il segreto – ha rivelato Francesco – consiste nel custodire e alimentare motivazioni alte. In questo modo, si vincono i pericoli del pessimismo, della mediocrità e dell’abitudinarietà, e si riesce a mettere entusiasmo in quello che si fa giorno per giorno, anche nelle cose piccole». «Entusiasmo» è la parola- chiave, che significa «mettere Dio in quello che si fa»: «Perché Dio non si stanca mai di fare il bene, non si stanca mai di ricominciare, non si stanca mai di dare una speranza. Egli è la chiave per non stancarsi. E pregare aiuta a ricaricare le batterie con energia pulita». «In ogni documento che trattate, vi consiglio di cercare un volto», la raccomandazione finale: «i volti delle persone che stanno dietro quelle carte. Mettersi nei loro panni per capire meglio la loro situazione… È importante non rimanere in superficie, ma cercare di entrare nella realtà per intravedervi i volti e raggiungere il cuore delle persone. Allora il lavoro diventa un prendersi a cuore gli altri, le vicende, le storie di tutti». L’esempio citato dal Papa è quello di San Giovanni della Croce, per il quale la domanda da porsi non è «quanto mi pesano queste cose che dovrò fare?», ma «quanto amore metto in queste cose che ora faccio?». «Chi ama ha la fantasia per scoprire soluzioni dove altri vedono solo problemi», ha commentato Francesco: «Chi ama aiuta l’altro secondo le sue necessità e con creatività, non secondo idee prestabilite o luoghi comuni».