Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza: «La misericordia non è una parola astratta, ma è uno stile di vita»

«La misericordia non è una parola astratta, ma è uno stile di vita». Lo ha detto Papa Francesco nella catechesi dell’udienza giubilare, anticipata da sabato 2 luglio ad oggi, dedicata al brano evangelico di Matteo 25,31-46 sulle opere di misericordia. «Quante volte – l’esordio del Pontefice – durante questi primi mesi del Giubileo abbiamo sentito parlare delle opere di misericordia! Oggi il Signore ci invita a fare un serio esame di coscienza. È bene, infatti, non dimenticare mai che la misericordia non è una parola astratta, ma è uno stile di vita». «Una persona – ha aggiunto a braccio – può essere misericordiosa o può essere non misericordiosa; è uno stile di vita. Io scelgo di vivere come misericordioso o scelgo di vivere come non misericordioso. Una cosa è parlare di misericordia, un’altra è vivere la misericordia». «Parafrasando le parole di san Giacomo apostolo potremmo dire: la misericordia senza le opere è morta in sé stessa. È proprio così! Ciò che rende viva la misericordia è il suo costante dinamismo per andare incontro ai bisogni e alle necessità di quanti sono nel disagio spirituale e materiale. La misericordia ha occhi per vedere, orecchi per ascoltare, mani per risollevare».

«Chi non vive per servire, non serve per vivere».  «La vita quotidiana ci permette di toccare con mano tante esigenze che riguardano le persone più povere e più provate. A noi viene richiesta quell’attenzione particolare che ci porta ad accorgerci dello stato di sofferenza e bisogno in cui versano tanti fratelli e sorelle». È il monito del Papa che nella catechesi dell’udienza giubilare di oggi ha commentato il brano evangelico di Matteo sulle opere di misericordia. «A volte – ha fatto notare – passiamo davanti a situazioni di drammatica povertà e sembra che non ci tocchino; tutto continua come se nulla fosse, in una indifferenza che alla fine rende ipocriti e, senza che ce ne rendiamo conto, sfocia in una forma di letargo spirituale che rende insensibile l’animo e sterile la vita».  «La gente che passa, che va nella vita senza accorgersi delle necessità degli altri, senza vedere tanti bisogni spirituali e materiali – ha aggiunto Francesco fuori testo -, è gente che passa senza vivere, è gente che non serve agli altri. Ricordatevi bene, eh? Chi non vive per servire, non serve per vivere».

Chi ha sperimentato la misericordia di Dio non può rimanere insensibile. «Quanti sono gli aspetti della misericordia di Dio verso di noi! Alla stessa maniera, quanti volti si rivolgono a noi per ottenere misericordia», ha fatto notare il Papa. «Chi ha sperimentato nella propria vita la misericordia del Padre – le parole di Francesco – non può rimanere insensibile dinanzi alle necessità dei fratelli. L’insegnamento di Gesù che abbiamo ascoltato non consente vie di fuga: Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero nudo, profugo, malato, in carcere e mi avete assistito». Di qui il monito: «Non si può tergiversare davanti a una persona che ha fame: occorre darle da mangiare. Gesù ci dice questo! Le opere di misericordia non sono temi teorici, ma sono testimonianze concrete. Obbligano a rimboccarsi le maniche per alleviare la sofferenza». «A causa dei mutamenti del nostro mondo globalizzato – ha spiegato ancora il Papa -, alcune povertà materiali e spirituali si sono moltiplicate: diamo quindi spazio alla fantasia della carità per individuare nuove modalità operative. In questo modo la via della misericordia diventerà sempre più concreta». Occorre «rimanere vigili come sentinelle, perché non accada che, davanti alle povertà prodotte dalla cultura del benessere, lo sguardo dei cristiani si indebolisca e diventi incapace di mirare all’essenziale». «Mirare all’essenziale: cosa significa? – la domanda posta a braccio da Francesco – Mirare Gesù, guardare Gesù nell’affamato, nel carcerato, nel malato, nel nudo, in quello che non ha lavoro e deve portare avanti una famiglia. Guardare Gesù in questi fratelli e sorelle nostre; guardare Gesù in quello che è solo, triste, in quello che sbaglia ed ha bisogno di consiglio, in quello che ha bisogno di fare strada con Lui in silenzio perché si senta in compagnia. Queste sono le opere che Gesù chiede a noi: guardare Gesù in loro, in questa gente, perché? Perché Gesù a me, a tutti noi, guarda così».

Il racconto della visita in Armenia. «Nei giorni scorsi il Signore mi ha concesso di visitare l’Armenia, la prima nazione ad avere abbracciato il cristianesimo, all’inizio del quarto secolo», ha detto il Papa nella seconda parte dell’udienza giubilare in piazza San Pietro. «Un popolo che, nel corso della sua lunga storia, ha testimoniato la fede cristiana col martirio. Rendo grazie a Dio per questo viaggio, e sono vivamente grato al presidente della Repubblica armena, al Catholicos Karekin II, al patriarca e ai vescovi cattolici, e all’intero popolo armeno per avermi accolto come pellegrino di fraternità e di pace». «Fra tre mesi – ha aggiunto – compirò, a Dio piacendo, un altro viaggio in Georgia e Azerbaigian, altri due Paesi della regione caucasica. Ho accolto l’invito a visitare questi Paesi per un duplice motivo: da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre – sempre in spirito di dialogo e con le altre religioni e culture – e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace. La storia ci insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi, cominciando da quelli piccoli e man mano facendoli crescere, andando l’uno incontro all’altro». Di qui l’auspicio che «tutti e ciascuno diano il proprio contributo per la pace e la riconciliazione».  Come cristiani «siamo chiamati a rafforzare tra noi la comunione fraterna, per rendere testimonianza al Vangelo di Cristo e per essere lievito di una società più giusta e solidale. Per questo tutta la visita è stata condivisa con il supremo patriarca della Chiesa apostolica armena, il quale mi ha fraternamente ospitato per tre giorni nella sua casa».

«Il lavoro dà dignità». Un incoraggiamento a «promuovere la cultura del lavoro che assicura la dignità della persona e il bene comune della società, a partire dalla sua cellula, la famiglia». Papa Francesco lo ha rivolto nei saluti ai fedeli italiani all’Associazione dei consulenti del lavoro che iniziano il loro 7° «Festival del lavoro».  «E’ proprio la famiglia, infatti – ha osservato il Pontefice -, a soffrire di più per le conseguenze di un cattivo lavoro: cattivo per la sua scarsità e per la sua precarietà. Voi, consulenti del lavoro, non avete un compito assistenziale, ma promozionale, affinché in ambito nazionale ed europeo le istituzioni e gli attori economici perseguano in modo concertato l’obiettivo della piena e dignitosa occupazione, perché il lavoro dà dignità». Nel ricordare che oggi ricorre la memoria dei primi martiri della Chiesa di Roma, Francesco ha esortato a pregare «per quanti tuttora pagano a caro prezzo la loro appartenenza alla Chiesa di Cristo».