Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza, «successo, potere e denaro sono i grandi idoli, le tentazioni di sempre»

«Ne abbiamo parlato la settimana scorsa, ora riprendiamo il tema perché è molto importante conoscere questo», ha esordito a braccio, sulla scorta del Decalogo e prendendo spunto «dall’idolo per eccellenza, il vitello d’oro», di cui parla il Libro dell’Esodo. «Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili», ha proseguito Francesco: «Questa insicurezza genera nell’uomo ansie primarie, che Gesù menziona nel Vangelo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?’». «Sono le ansie primarie, e il deserto provoca queste ansie», ha aggiunto a braccio: «E in quel deserto accade qualcosa che innesca l’idolatria, perché Mosè, che era salito sul monte tardava a scendere dal monte». «È rimasto lì 40 giorni e la gente si è spazientita», il commento ancora fuori testo: «Manca il punto di riferimento, che era Mosè, il leader, il capo, la guida rassicurante, e ciò diventa insostenibile. Allora il popolo chiede un dio visibile – questo è il tranello in cui cade il popolo – per potersi identificare e orientare. Dicono ad Aronne: ‘Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa!’. Facci un capo, facci un leader».

«Successo, potere e denaro. Questi sono i grandi idoli. Sono le tentazioni di sempre!», ha esclamato il Papa, nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI davanti a 7mila persone. «Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano», ha spiegato Francesco. «Perché gli idoli sempre schiavizzano». «C’è il fascino, quel fascino del serpente che guarda l’uccellino, e l’uccellino rimane senza potersi muovere e il serpente lo prende», ha proseguito a braccio: «Aronne non ha saputo opporsi». «La natura umana, per sfuggire alla precarietà, cerca una religione fai-da-te», ha ammonito il Papa: «Se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura». «Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli hanno bocca ma non parlano», ha fatto notare Francesco: l’idolo, allora, non è che «un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani».Il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore degli Ebrei. «Aronne non sa opporsi alla richiesta della gente e crea un vitello d’oro», ha ricordato il Papa: «Il vitello aveva un senso duplice nel vicino oriente antico: da una parte rappresentava fecondità e abbondanza, e dall’altra energia e forza. Ma anzitutto è d’oro, perché è simbolo di ricchezza».

L’idolatria, ha spiegato il Papa, «nasce dall’incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia Lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore. Questo permette di sostenere anche la debolezza, l’incertezza e la precarietà». «Il riferimento a Dio ci fa forti nella debolezza, nell’incertezza e anche nella precarietà», ha garantito Francesco a braccio: «Senza primato di Dio si cade facilmente nell’idolatria e ci si accontenta di misere rassicurazioni». «Ma questa è una tentazione che noi leggiamo sempre nella bibbia», ha proseguito il Papa a braccio: «Liberare il popolo dall’Egitto a Dio non è costato tanto lavoro, lo ha fatto con segni di potenza, di amore. Ma il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore del popolo, cioè togliere l’idolatria dal cuore del popolo. E ancora Dio continua a togliere l’idolatria dal cuore del popolo. È il grande lavoro di Dio: togliere l’Egitto che portiamo dentro, è il fascino dell’idolatria».

«Accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore». È l’invito con cui il Papa ha concluso l’udienza di oggi. «Quando si accoglie il Dio di Gesù Cristo, che da ricco si è fatto povero per noi, si scopre che riconoscere la propria debolezza non è la disgrazia della vita umana, ma è la condizione per aprirsi a colui che è veramente forte», ha spiegato Francesco: «Allora, per la porta della debolezza entra la salvezza di Dio; è in forza della propria insufficienza che l’uomo si apre alla paternità di Dio. La libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore. E questo permette di accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore». «Noi cristiani volgiamo lo sguardo a Cristo crocifisso, che è debole, disprezzato e spogliato di ogni possesso», ha ricordato il Papa: «Ma in lui si rivela il volto del Dio vero, la gloria dell’amore e non quella dell’inganno luccicante». «Siamo stati guariti proprio dalla debolezza di un uomo che era Dio: le piaghe», ha proseguito a braccio citando Isaia: «E dalle nostre debolezze possiamo aprirci alla salvezza di Dio». «La nostra guarigione viene da colui che si è fatto povero, che ha accolto il fallimento, che ha preso fino in fondo la nostra precarietà per riempirla di amore e di forza», ha concluso Francesco: «Lui viene a rivelarci la paternità di Dio; in Cristo la nostra fragilità non è più una maledizione, ma luogo di incontro con il Padre e sorgente di una nuova forza dall’alto».

Il ricordo di Edith Stein. Al termine dei saluti in lingua italiana, che come di consueto concludono l’appuntamento del mercoledì con i fedeli, il Papa ha ricordato la memoria liturgica di santa Teresa Benedetta della Croce – Edith Stein, «che si celebra in tutta Europa». Francesco, parlando a braccio, ha definito Edith Stein, morta ad Auschwitz il 9 agosto 1942, «martire, donna di coerenza, donna del cercare Dio con onestà, con amore, donna martire del suo popolo ebreo e cristiano». «Che lei, patrona d’Europa, preghi e custodisca l’Europa dal cielo», l’auspicio finale. Tra i fedeli italiani, Francesco ha salutato i membri della «fiaccolata della pace» di Val Brambilla, augurando a ciascuno «di diffondere con credibile entusiasmo la gioia del Vangelo», e ha citato la memoria liturgica di san Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine dei predicatori: «Il suo esempio di fedele servitore di Cristo e della sua Chiesa sia di incoraggiamento e di stimolo per tutti noi», ha detto il Papa, formulando «un augurio particolare a chi porta questo nome».