Vita Chiesa

Papa, Messa nello Zayed Sports City: la fede cristiana «non è elenco di prescrizioni»

La fede cristiana «non si presenta come un elenco di prescrizioni esteriori da adempiere o come un complesso insieme di dottrine da conoscere». Lo ha spiegato il Papa, nell’omelia della Messa celebrata oggi allo Zayed Sports City di Abu Dhabi, davanti a a135mila fedeli cattolici di circa 200 diverse nazionalità e circa 4mila musulmani che hanno affollato l’area all’interno e all’esterno dello stadio. Al centro dell’omelia della prima Messa celebrata all’aperto nella penisola arabica, la parola «beati», che indica «la prima realtà della vita cristiana»: «Sapersi, in Gesù, figli amati del Padre». Vivere cristiani, ha spiegato Francesco, è «vivere la gioia di questa beatitudine, è intendere la vita come una storia di amore, la storia dell’amore fedele di Dio che non ci abbandona mai e vuole fare comunione con noi sempre. Ecco il motivo della nostra gioia, di una gioia che nessuna persona al mondo e nessuna circostanza della vita possono toglierci». Quella cristiana, ha proseguito il Papa, «è una gioia che dà pace anche nel dolore, che già ora fa pregustare quella felicità che ci attende per sempre».

Nelle beatitudini, ha sottolineato Francesco, «vediamo un capovolgimento del pensare comune, secondo cui sono beati i ricchi, i potenti, quanti hanno successo e sono acclamati dalle folle»: per Gesù, invece, «beati sono i poveri, i miti, quanti restano giusti anche a costo di fare brutta figura, i perseguitati». «Chi ha ragione, Gesù o il mondo?», la domanda del Papa: «Per capire, guardiamo a come ha vissuto Gesù: povero di cose e ricco di amore, ha risanato tante vite, ma non ha risparmiato la sua. È venuto per servire e non per essere servito; ci ha insegnato che non è grande chi ha, ma chi dà. Giusto e mite, non ha opposto resistenza e si è lasciato condannare ingiustamente. In questo modo Gesù ha portato nel mondo l’amore di Dio. Solo così ha sconfitto la morte, il peccato, la paura e la mondanità stessa: con la sola forza dell’amore divino». «Chiediamo oggi, qui insieme, la grazia di riscoprire il fascino di seguire Gesù, di imitarlo, di non cercare altro che Lui e il suo amore umile», l’invito: «Perché sta qui, nella comunione con Lui e nell’amore per gli altri, il senso della vita sulla terra. Credete a questo?».

La polifonia della fede. «Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare, per farne una sinfonia. Questa gioiosa polifonia della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa». È l’omaggio del Papa ai cattolici degli Emirati Arabi Uniti, circa un milione di persone, in gran parte filippini e asiatici, che rappresentano il 10% della popolazione. «Si dice che tra il Vangelo scritto e quello vissuto ci sia la stessa differenza che esiste tra la musica scritta e quella suonata», ha detto Francesco nell’omelia dello Messa, iniziata con un giro in papamobile tra i 135mila fedeli che affollano l’interno e l’esterno dell’area intorno allo stadio: «Voi qui conoscete la melodia del Vangelo e vivete l’entusiasmo del suo ritmo». «Mi ha colpito quanto mons. Hinder disse una volta e cioè che non solo egli si sente vostro Pastore, ma che voi, con il vostro esempio, siete spesso pastori per lui», ha rivelato il Papa. «Vivere da beati e seguire la via di Gesù non significa tuttavia stare sempre allegri», ha proseguito: «Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire». «Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro», le parole rivolte al popolo degli Emirati Arabi, composto in gran parte da migranti: «Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi». A questo proposito, Francesco ha citato un episodio della vita di sant’Antonio abate, «il grande iniziatore del monachesimo nel deserto»: «Per il Signore aveva lasciato tutto e si trovava nel deserto. Lì, per vario tempo fu immerso in un’aspra lotta spirituale che non gli dava tregua, assalito da dubbi e oscurità, e pure dalla tentazione di cedere alla nostalgia e ai rimpianti per la vita passata. Poi il Signore lo consolò dopo tanto tormento e sant’Antonio gli chiese: ‘Dov’eri? Perché non sei apparso prima per liberarmi dalle sofferenze?’. Allora percepì distintamente la risposta di Gesù: ‘Io ero qui, Antonio’». «Il Signore è vicino», ha assicurato il Papa: «Può succedere, di fronte a una prova o ad un periodo difficile, di pensare di essere soli, anche dopo tanto tempo passato col Signore. Ma in quei momenti Egli, anche se non interviene subito, ci cammina a fianco e, se continuiamo ad andare avanti, aprirà una via nuova. Perché il Signore è specialista nel fare cose nuove, sa aprire vie anche nel deserto».

«Vivere le Beatitudini non richiede gesti eclatanti», ha spiegato Francesco, ai 135mila fedeli cattolici che gremiscono l’area dello Zayed Sports City (Abu Dhabi), in una giornata che il governo ha dichiarato festa nazionale. «Guardiamo a Gesù», l’invito di Francesco nell’omelia: «Non ha lasciato nulla di scritto, non ha costruito nulla di imponente. E quando ci ha detto come vivere non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita». Le Beatitudini, allora, «sono una mappa di vita: non domandano azioni sovraumane, ma di imitare Gesù nella vita di ogni giorno. Invitano a tenere pulito il cuore, a praticare la mitezza e la giustizia nonostante tutto, a essere misericordiosi con tutti, a vivere l’afflizione uniti a Dio. È la santità del vivere quotidiano, che non ha bisogno di miracoli e di segni straordinari». «Le Beatitudini non sono per superuomini, ma per chi affronta le sfide e le prove di ogni giorno», ha sintetizzato il Papa: «Chi le vive secondo Gesù rende pulito il mondo. È come un albero che, anche in terra arida, ogni giorno assorbe aria inquinata e restituisce ossigeno. Vi auguro di essere così, ben radicati in Gesù e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace».

«Non è beato chi aggredisce o sopraffà, ma chi mantiene il comportamento di Gesù che ci ha salvato: mite anche di fronte ai suoi accusatori». Commentando una delle beatitudini il Papa ha citato san Francesco, «quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e i non cristiani. Scrisse: ‘Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani’». «Né liti né dispute», ha commentato il Santo Padre, «e questo vale anche per i preti», ha aggiunto a braccio: «In quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, san Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto». «È importante la mitezza», ha ribadito Francesco: «Se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto». Commentando la seconda beatitudine al centro dell’omelia, «Beati gli operatori di pace», il Papa ha ricordato che «il cristiano promuove la pace, a cominciare dalla comunità in cui vive». «Nel libro dell’Apocalisse, tra le comunità a cui Gesù stesso si rivolge, ce n’è una, quella di Filadelfia, che credo vi assomigli», il tributo di Francesco: «È una Chiesa alla quale il Signore, diversamente da quasi tutte le altre, non rimprovera nulla. Essa, infatti, ha custodito la parola di Gesù, senza rinnegare il suo nome, e ha perseverato, cioè è andata avanti, pur nelle difficoltà. E c’è un aspetto importante: il nome Filadelfia significa amore tra i fratelli. L’amore fraterno. Ecco, una Chiesa che persevera nella parola di Gesù e nell’amore fraterno è gradita al Signore e porta frutto». «Chiedo per voi la grazia di custodire la pace, l’unità, di prendervi cura gli uni degli altri, con quella bella fraternità per cui non ci sono cristiani di prima e di seconda classe», l’auspicio finale del Papa: «Gesù, che vi chiama beati, vi dia la grazia di andare sempre avanti senza scoraggiarvi, crescendo nell’amore fra voi e verso tutti».

Il saluto di mons. Hinder. Una visita che «mostra la vostra cura pastorale per questa Chiesa composta da migranti provenienti da ogni parte del mondo». Sono le parole con cui mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia del Sud, ha salutato il Papa, al termine della Messa nello Zayed Sports City. «Ella è venuta a noi come Simon Pietro che ricevette dal Signore risorto il mandato di confermare la fede dei suoi fratelli e delle sue sorelle», ha proseguito il vescovo: «Noi l’assicuriamo della nostra preghiera e rinnoviamo la nostra fedeltà al Successore di San Pietro». «Ottocento anni fa san Francesco d’Assisi si incontrò con il Sultano Malik Al Kamil in Egitto», ha ricordato Hinder: «Fu un incontro caratterizzato dal reciproco rispetto. In modo analogo, Ella è venuto in un Paese musulmano con l’intenzione di fare come fece san Francesco nel 1219». «Noi cristiani cerchiamo di seguire la direttiva che san Francesco diede allora ai suoi fratelli e di ‘vivere spiritualmente tra i musulmani … non impegnandoci in discussioni e semplicemente riconoscendo che noi siamo cristiani’», ha assicurato il presule, ringraziando le autorità degli Emirati Arabi Uniti, «specialmente Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi, che ha generosamente reso possibile questa visita e ci ha offerto questo spazio dove poter celebrare una S. Messa con l’assistenza del maggior numero possibile di fedeli. Ringrazio tutti gli appartenenti alla Chiesa e tutti coloro che vivono in questo Paese e che hanno lavorato sodo per rendere possibile questa celebrazione». Infine, il ringraziamento a «tutti coloro che sono venuti a celebrare con noi: patriarchi, cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, donne e uomini da Paesi vicini e lontani, senza dimenticare quelli che hanno partecipato alla celebrazione mediante la televisione».

Francesco: «Grazie per essere qui». «Prima di concludere questa celebrazione, che mi ha dato tanta gioia, desidero rivolgere il mio saluto affettuoso a tutti voi che avete partecipato: fedeli caldei, copti, greco-cattolici, greco-melchiti, latini, maroniti, siro-cattolici, siro-malabaresi, siro-malancaresi». Sono le parole pronunciate dal Papa al termine della Messa nello Zayed Sports City. «Ringrazio vivamente monsignor Hinder per la preparazione di questa visita e per tutto il suo lavoro pastorale», l’omaggio di Francesco: «Un ‘grazie’ caloroso ai patriarchi, agli arcivescovi maggiori e agli altri vescovi presenti, ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai tanti laici impegnati con generosità e spirito di servizio nelle comunità e con i più poveri». «La nostra Madre Maria Santissima vi custodisca nell’amore alla Chiesa e nella gioiosa testimonianza del Vangelo», l’augurio finale del Papa, che al termine della celebrazione eucaristica ha lasciato lo Zayed Sports City per trasferirsi in auto all’aeroporto presidenziale di Abu Dhabi per la cerimonia di congedo dagli Emirati Arabi Uniti.

(testo integrale dell’omelia del Papa)