Vita Chiesa

Papa a Genova: Messa, «la preghiera è la forza che fa andare avanti il mondo»

Quello di Dio, ha spiegato il Papa, è anzitutto «il potere di collegare il cielo e la terra»: «Quando Gesù è asceso al Padre la nostra carne umana ha varcato la soglia del cielo: la nostra umanità è lì, in Dio, per sempre. Lì è la nostra fiducia, perché Dio non si staccherà mai dall’uomo. E ci consola sapere che in Dio, con Gesù, è preparato per ciascuno di noi un posto: un destino da figli risorti ci attende e per questo vale veramente la pena di vivere quaggiù cercando le cose di lassù dove si trova il nostro Signore». «Ma questo suo potere non è finito una volta asceso in cielo», ha assicurato Francesco: «Continua anche oggi e dura per sempre». Dire, infatti, come ha fatto Gesù prima di salire al Padre, «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo», per il Papa «non è un modo di dire, una semplice rassicurazione, come quando prima di partire per un lungo viaggio si dice agli amici: ‘vi penserò’. No, Gesù è veramente con noi e per noi: in cielo mostra sempre al Padre la sua umanità, la nostra umanità, e così è sempre vivo per intercedere a nostro favore». «Intercessione» è quindi «la parola-chiave del potere di Gesù», che «presso il Padre intercede ogni giorno, ogni momento per noi. In ogni preghiera, in ogni nostra richiesta di perdono, soprattutto in ogni Messa, Gesù interviene: mostra al Padre i segni della sua vita offerta, le sue piaghe, e intercede, ottenendo misericordia per noi. Egli è nostro ‘avvocato’ e, quando abbiamo qualche ‘causa’ importante, facciamo bene ad affidargliela, a dirgli: ‘Signore Gesù, intercedi per me, per noi, per quella persona, per quella situazione…’».

Anche la Chiesa, come Gesù, «ha il potere e anche il dovere di intercedere, di pregare per tutti», ha ricordato il Papa, che davanti a decine di migliaia di persone, ha esortato a domandarsi: «Io prego? Noi, come Chiesa, come cristiani, esercitiamo questo potere portando a Dio le persone e le situazioni?». «Il mondo ne ha bisogno, noi stessi ne abbiamo bisogno», ha esclamato Francesco: «Nelle nostre giornate corriamo e lavoriamo tanto, ci impegniamo per molte cose; però rischiamo di arrivare a sera stanchi e con l’anima appesantita, simili a una nave carica di merce che dopo un viaggio faticoso rientra in porto con la voglia solo di attraccare e di spegnere le luci». «Vivendo sempre tra tante corse e cose da fare, ci possiamo smarrire, rinchiudere in noi stessi e diventare inquieti per un nulla», il monito del Papa: «Per non farci sommergere da questo ‘male di vivere’, ricordiamoci ogni giorno di ‘gettare l’àncora in Dio’: portiamo a lui i pesi, le persone e le situazioni, affidiamogli tutto. È questa la forza della preghiera, che collega cielo e terra, che permette a Dio di entrare nel nostro tempo».

«La preghiera cristiana – ha detto ancora il Papa – non è un modo per stare un po’ più in pace con sé stessi o trovare qualche armonia interiore; noi preghiamo per portare tutto a Dio, per affidargli il mondo». «La preghiera è intercessione», ha spiegato Francesco: «Non è tranquillità, è carità. È chiedere, cercare, bussare. È mettersi in gioco per intercedere, insistendo assiduamente con Dio gli uni per gli altri». «Intercedere senza stancarci»: è questa, per il Papa, «la nostra prima responsabilità, perché la preghiera è la forza che fa andare avanti il mondo; è la nostra missione, una missione che al tempo stesso costa fatica e dona pace». «Ecco il nostro potere», ha precisato: «Non prevalere o gridare più forte, secondo la logica di questo mondo, ma esercitare la forza mite della preghiera, con la quale si possono anche fermare le guerre e ottenere la pace. Come Gesù intercede sempre per noi presso il Padre, così noi suoi discepoli non stanchiamoci mai di pregare per avvicinare la terra al cielo».

«Gesù si fida di noi, crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi! Ci invia nonostante le nostre mancanze; sa che non saremo mai perfetti e che, se aspettiamo di diventare migliori per evangelizzare, non cominceremo mai». Con queste parole il Papa, nella parte finale dell’omelia della Messa a piazzale Kennedy, ha spiegato la centralità dell’annuncio, per il cristiano. «Per Gesù è però importante che da subito superiamo una grande imperfezione: la chiusura», ha ammonito: «Perché il Vangelo non può essere rinchiuso e sigillato, perché l’amore di Dio è dinamico e vuole raggiungere tutti. Per annunciare, allora, occorre andare, uscire da sé stessi. Con il Signore non si può stare quieti, accomodati nel proprio mondo o nei ricordi nostalgici del passato; con lui è vietato cullarsi nelle sicurezze acquisite. La sicurezza per Gesù sta nell’andare, con fiducia: lì si rivela la sua forza. Perché il Signore non apprezza gli agi e le comodità, ma scomoda e rilancia sempre. Ci vuole in uscita, liberi dalla tentazione di accontentarci quando stiamo bene e abbiamo tutto sotto controllo».

«Andare nel mondo col Signore appartiene all’identità del cristiano», ha detto Francesco: «Il cristiano non è fermo, ma in cammino: col Signore verso gli altri. Ma il cristiano non è un velocista che corre all’impazzata o un conquistatore che deve arrivare prima degli altri. È un pellegrino, un missionario, un ‘maratoneta speranzoso’: mite ma deciso nel camminare; fiducioso e al tempo stesso attivo; creativo ma sempre rispettoso; intraprendente e aperto; laborioso e solidale. Con questo stile percorriamo le strade del mondo!». «Come per i discepoli delle origini, i nostri luoghi di annuncio sono le strade del mondo», il mandato: «È soprattutto lì che il Signore attende di essere conosciuto oggi. Come alle origini, desidera che l’annuncio sia portato con la sua forza: non con la forza del mondo, ma con la forza limpida e mite della testimonianza gioiosa. Questo è urgente». «Chiediamo al Signore la grazia di non fossilizzarci su questioni non centrali, ma di dedicarci pienamente all’urgenza della missione», l’invito: «Lasciamo ad altri le chiacchiere e le finte discussioni di chi ascolta solo sé stesso, e lavoriamo concretamente per il bene comune e la pace; mettiamoci in gioco con coraggio, convinti che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Il Signore risorto e vivo, che sempre intercede per noi, sia la forza del nostro andare, il coraggio del nostro camminare».

Il «grazie» del card. Bagnasco. «Genova l’abbraccia con grande affetto!». È il ringraziamento del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, al Papa, al termine della Messa che ha visto radunate in piazzale Kennedy decine di migliaia di persone, sotto un cielo azzurro limpido, baciato dal sole caldo, che si confondeva con l’azzurro del mare. «L’abbiamo atteso con intensità, e oggi questo sogno si compie: il Papa è qui!», ha proseguito il cardinale: «Genova ha il cuore grande, è generosa verso i poveri e gli indigenti nonostante le difficoltà economiche e lavorative; ha le braccia aperte per accogliere, ascoltare i bisogni antichi e nuovi, per aiutare secondo una storia consolidate che non si sovrappone al popolo ma appartiene alla sua anima. Il nostro carattere non ama i proclami, è riservato, preferisce fare, anche se non sempre riesce a camminare insieme. La fede è diffusa, anche se è insidiata dal processo di secolarizzazione che ha invaso l’Europa: deve crescere nella conoscenza della Parola di Dio, del Magistero, nella preghiera e nella vita sacramentale, per poter ispirare sempre più la vita, ed essere lieviti di evangelizzazione e di bene anche per la società civile». «L’impegno ad essere missionari del Vangelo deve e può crescere, i giovani ne sono un avamposto promettente», il primo impegno. «Genova vuole essere Chiesa in cammino con la gente, fontana del villaggio, porto accogliente per chi arriva e per quanti partono in cerca di lavoro e di domani». «La sua vicenda umana si intreccia con Genova: osiamo dire con noi!», ha concluso Bagnasco ricordando che «dal nostro porto i suoi nonni sono partiti per l’Argentina, e l’anima di migrante ha segnato il suo spirito in modo indelebile».