Vita Chiesa

Papa a Lesbo: al Mòria refugee camp, «Non siete soli e non perdete la speranza»

Il Pontefice è giunto questa mattina nell’isola greca, meta del suo tredicesimo viaggio apostolico fuori dall’Italia, dove è stato accolto all’aeroporto internazionale di Mytilene dal primo ministro Alexis Tsipras e ha ricevuto il benvenuto da parte di Sua Santità Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli; da Sua Beatitudine Ieronymos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia; e da monsignor Fragkiskos Papamanolis, presidente della Conferenza episcopale greca.

Dopo un incontro privato con il premier, Francesco, Bartolomeo I e Ieronymos si sono trasferiti con un minibus al Mòria refugee camp, distante circa 16 km, che ospita circa 2.500 profughi richiedenti asilo. Lungo le transenne hanno salutato 150 minorenni ospiti del centro e hanno preso in braccio un bambino di pochi mesi. I tre leader hanno quindi attraversato il cortile dedicato alla registrazione dei profughi per raggiungere una grande tenda nella quale hanno salutato individualmente circa 250 richiedenti asilo e pronunciato tre brevi discorsi. Primo a prendere la parola l’arcivescovo Ieronymos, quindi il patriarca Bartolomeo, infine Papa Francesco che ha ricevuto un disegno da un bambino.

«Conoscete il dolore». «In questi mesi e settimane, avete patito molte sofferenze nella vostra ricerca di una vita migliore», ha detto Papa Francesco rivolgendosi ai circa 2.500 profughi ospitati nel Mòria refugee camp di Lesbo. «Molti di voi si sono sentiti costretti a fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzione, soprattutto per i vostri figli, per i vostri piccoli. Avete fatto grandi sacrifici per le vostre famiglie. Conoscete il dolore di aver lasciato dietro di voi tutto ciò che vi era caro e – quel che è forse più difficile – senza sapere che cosa il futuro avrebbe portato con sé», sperando, insieme a molti altri, «di costruire una nuova vita in questo continente».

«Sono qui per ascoltarvi». «Sono venuto qui con i miei fratelli, il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos – ha ripreso Francesco -, semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie. Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità». Queste crisi, ha fatto tuttavia notare il Pontefice, possono anche «far emergere il meglio di noi. Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà. Lo avete visto anche nelle molte persone, specialmente giovani provenienti da tutta l’Europa e dal mondo, che sono venute per aiutarvi».

«Non perdete la speranza!». È il messaggio lasciato da Papa Francesco ai 2.500 profughi ospitati nel Mòria refugee camp di Lesbo. «Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda – ha spiegato prendendo la parola dopo l’arcivescovo Ieronymos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, e dopo il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, che condividono con lui la visita nell’isola greca – è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera. Possiate condividere questo dono gli uni con gli altri». Noi cristiani, ha ricordato Francesco – amiamo narrare l’episodio del Buon samaritano, uno straniero che vide un uomo nel bisogno e immediatamente si fermò per soccorrerlo. Per noi è una parabola che si riferisce alla misericordia di Dio, la quale si rivolge a tutti. Lui è il Misericordioso. È anche un appello a mostrare quella stessa misericordia a coloro che si trovano nel bisogno». Di qui l’auspicio conclusivo: «Possano tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in questo continente, come il Buon samaritano, venirvi in aiuto in quello spirito di fraternità, solidarietà e rispetto per la dignità umana, che ha contraddistinto la sua lunga storia».