Vita Chiesa

Papa a Matera: messa, “torniamo al gusto del pane”, “vergogniamoci per lotta tra ricchi e poveri in noi e nella comunità”

“Ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia”. È l’invito del Papa da Matera, “città del pane”. “Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce”, l’esortazione sulla scorta del Congresso eucaristico nazionale, che si chiude oggi. “Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, di giustizia e di pace”, ha proseguito Francesco: “Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza e di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane”. “Pensiamo oggi sul serio sul ricco e su Lazzaro”, ha aggiungo il Papa a braccio: “Succede ogni giorno e tante volte anche a noi. Vergogniamoci! Succede in noi, questa lotta, e fra noi, nella comunità”. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù, ognuno di noi è peccatore. Perché lui vince la morte e sempre rinnova la nostra vita”.

Il Papa era arrivato a Matera in anticipo per problemi legati al maltempo. Allo stadio per la Messa conclusiva del 27° Congresso eucaristico nazionale ci sono 12.300 persone, stando al numero dei pass distribuiti. 360 sono i volontari, 200 i membri della Protezione civile.

“Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano”, ha esclamato il Papa nell’omelia  durante la Messa che ha concelebrato con 80 vescovi. “È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre”, il monito di Francesco: “A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa ‘Dio aiuta’. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita”. “Adorare Dio e non sé stessi”: è questa, per il Papa, “la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita”: “Mettere lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto”.

“Io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi”. E’ questo quello che accade quando adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucarestia: “riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita”, ha proseguito il Papa. “Il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi.”, ha ribadito Francesco: “Io sono un figlio amato; sono benedetto da Dio; lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno”. “Riscopriamo la preghiera di adorazione: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, una preghiera che si dimentica di frequente”, l’invito del Papa dalla città dei Sassi.

 “Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”, il monito di Papa Francesco che ha ricordato che “otre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli”. “Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore”, ha spiegato Francesco: “È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza e banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: ‘Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso.  Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane”. “Siamo noi quando col nostro egoismo fissiamo degli abissi”, ha commentato il Papa a braccio.