Vita Chiesa

Papa a Piazza Armerina: «toccare le piaghe della Chiesa e della società»

«Non sono poche le piaghe che vi affliggono», ha detto Francesco chiamandole per nome: «Sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilacciamento dei legami familiari». «Di fronte a tanta sofferenza, la comunità ecclesiale può apparire, a volte, spaesata e stanca», la diagnosi del Papa: «A volte invece, grazie a Dio, è vivace e profetica, mentre ricerca nuovi modi di annunciare e offrire misericordia soprattutto ai fratelli caduti nella disaffezione, nella diffidenza, nella crisi della fede». «Considerare le piaghe della società e della Chiesa non è un’azione denigratoria e pessimistica», ha puntualizzato Francesco: «Se vogliamo dare concretezza alla nostra fede, dobbiamo imparare a riconoscere in queste sofferenze umane le stesse piaghe del Signore». «Guardarle, toccarle», ha proseguito a braccio: «Toccare le piaghe del Signore, toccare le piaghe nostre, della nostra società, delle nostre famiglie, della nostra gente, dei nostri amici». «Vi esorto, pertanto, a impegnarvi per la nuova evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle sue croci e sofferenze», la consegna.

«Riproporre il volto di una Chiesa sinodale e della Parola; Chiesa della carità missionaria; Chiesa comunità eucaristica». È la «missione avvincente» proposta dal Papa alla diocesi di Piazza Armerina. «La prospettiva di una Chiesa sinodale e della Parola richiede il coraggio dell’ascolto reciproco, ma soprattutto l’ascolto della Parola del Signore», ha spiegato Francesco: «Per favore, on anteponete nulla al centro essenziale della comunione cristiana, che è la Parola di Dio, ma fatela vostra specialmente mediante la lectio divina, momento mirabile di incontro cuore a cuore con Gesù, di sosta ai piedi del divino Maestro». «Parola di Dio e comunione sinodale sono la mano tesa a quanti vivono tra speranze e delusioni e invocano una Chiesa misericordiosa, sempre più fedele al Vangelo e aperta all’accoglienza di quanti si sentono sconfitti nel corpo e nello spirito, o sono relegati ai margini», ha proseguito il Papa, secondo il quale «per realizzare questa missione, è necessario rifarsi sempre allo spirito della prima comunità cristiana che, animata del fuoco della Pentecoste, ha testimoniato con coraggio il Risorto».

«Entrate con fiducia, cari fratelli e sorelle, nel tempo del discernimento e delle scelte feconde, utili per la vostra felicità e per lo sviluppo armonioso del territorio», l’invito di Francesco. «Ma per andare aventi in questo – ha proseguito a braccio – voi dovete essere abituati alla Parola di Dio, leggere il Vangelo, tutti i giorni: un passo piccolo del Vangelo, non prende più di cinque minuti. Forse un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, e così tutti i giorni, goccia a goccia, ci farà più discepoli di Gesù e più forti per uscire e aiutare tutte le problematiche della nostra città, della società, della Chiesa. Chiedo al vescovo che faciliti di avere un Vangelo piccolo per tutti quelli che lo chiedono, per portarlo con sé. La lettura della Parola di Dio vi farà forti».

No al «quieto vivere», sì ad una «Chiesa della carità missionaria», che sappia «prestare attenzione al servizio della carità che oggi è richiesto dalle circostanze concrete». È la ricetta del Papa per Piazza Armerina. «I sacerdoti, i diaconi, i consacrati e i fedeli laici sono chiamati a sentire compassione evangelica – parola chiave, quella che sentiva Gesù – per i tanti mali della gente, diventando apostoli itineranti di misericordia nel territorio, ad imitazione di Dio che è tenerezza e vuole condurci a un’itineranza costante e rinnovatrice», la missione affidata dal Papa a questo angolo di Sicilia: «Con semplicità andate per i vicoli, i crocicchi, le piazze e i luoghi di vita feriale, e portate a tutti la buona notizia che è possibile una convivenza giusta, piacevole e amabile, e che la vita non è oscura maledizione da sopportare fatalisticamente, ma fiducia nella bontà di Dio e nella carità dei fratelli».

«È importante favorire nelle parrocchie e nelle comunità la carità evangelica, la solidarietà e la sollecitudine fraterna, rifuggendo la tentazione mondana del quieto vivere, del passarla bene, senza preoccuparsi del bisogno altrui», il monito di Francesco, che ha esortato le migliaia di fedeli presenti a «proseguire nel vostro servizio ecclesiale che si esprime in opere concrete: centri di ascolto Caritas, mense e rifugi per i fratelli più sfortunati, strutture per ospitare Gesù profugo e spaesato e case d’amore per gli anziani spesso soli e scoraggiati». «Ma per favore non lasciateli soli gli anziani, i nostri nonni!», seguito da alcune parole a braccio: «Loro sono la nostra identità, le nostre radici, e noi non vogliamo essere un popolo sradicato. Curare gli anziani, curare i vecchi, curare i nonni! E che i giovani parlino con i nonni, così prenderanno le radici». «Non dimenticate che la carità cristiana non si accontenta di assistere», ha precisato il Papa: «Non scade in filantropia – due cose diverse, carità cristiana e filantropia ma spinge il discepolo e l’intera comunità ad andare alle cause dei disagi e tentare di rimuoverle, per quanto è possibile, insieme con gli stessi fratelli bisognosi. Integrarli nel nostro lavoro».

Ai giovani, «dite a preti e vescovi perché non vi fidate della Chiesa» «Dedicare attenzione ai giovani e ai loro problemi». Nella parte finale del suo primo discorso in Sicilia, il Papa si è rivolto direttamente ai giovani «che colorano di speranza e di allegria l’assemblea», incoraggiandoli ad essere «gioiosi artefici del vostro destino». «Guardare sempre avanti, senza dimenticare le radici», l’esortazione di Francesco: «Sappiate che Gesù vi ama: Egli è un amico sincero e fedele, che non vi abbandonerà mai; di lui potete fidarvi! Nei momenti del dubbio – tutti abbiamo avuto da giovani dei momenti di buio, dei momenti brutti – e delle difficoltà, potete contare sul suo aiuto, soprattutto per alimentare i vostri grandi ideali». «Nella misura in cui uno può, è buono che si fidi della Chiesa», ha proseguito il Papa: «Fidatevi anche della Chiesa, chiamata a intercettare i vostri bisogni di autenticità e ad offrirvi un ambiente alternativo a quello che vi affatica ogni giorno, dove poter ritrovare il gusto della preghiera, dell’unione con Dio, del silenzio che porta il cuore verso le profondità del vostro essere e della sanità». Poi il Papa ha raccontato a braccio: «Qualche giovane dice: di Dio mi fido ma della Chiesa no. Ma perché? Sono mangiapreti». «Avvicinati al prete e digli», il consiglio ad ogni giovane: «Io di te non mi fido per questo, per questo, per questo. Avvicinati al vescovo e digli in faccia: io della Chiesa non mi fido. Questa è gioventù coraggiosa, con la voglia di ascoltare la risposta. Forse quel giorno il prete sarà col mal di fegato e ti manderà via, ma sarà una volta sola. Sempre dirà qualcosa».

«E voi, sacerdoti, avete pazienza, costruttiva per ascoltare i giovani?». È la domanda rivolta al clero di Piazza Armerina, al termine del suo discorso in piazza Europa. «Perché sempre nell’inquietudine dei giovani ci sono dei segni del futuro, e tu devi prenderli dai giovani per andare avanti», ha proseguito a braccio raccomandando il «dialogo» tra giovani e preti. Per quanto riguarda la partecipazione alla messa, specialmente a quella domenicale, secondo Francesco «è importante non essere ossessionati dai numeri: vi esorto a vivere la beatitudine della piccolezza, dell’essere granellino di senape, piccolo gregge, pugno di lievito, fiammella tenace, pietruzza di sale». «Ma io padre, io prego ma non vado a messa, perché la predica mi annoia, dura 40 minuti», la possibile obiezione, a braccio, dai parte dei fedeli: «No, 40 minuti deve durare la messa tutta. La predica più di otto minuti non va». Ai «bravi fratelli» sacerdoti, il Papa ha chiesto di «stringersi intorno al vescovo di fra di loro»: «È bello lavorare insieme, considerando i confratelli superiori a voi stessi». «Consolati da Dio, potrete essere consolatori, asciugare lacrime, guarite ferite, ricostruire vite infrante che si consegnano fiduciosamente al vostro ministero», ha assicurato Francesco, che ha detto ancora a braccio: «A voi sacerdoti mi permetto darvi una ricetta: come finisco la giornata? Se per dormire ho bisogno di prendere le pastiglie, è andata male. Se finisco la giornata stanco, stanchissimo, la giornata è andata bene». Infine, il riferimento a padre Pino Puglisi, che tra poco commemorerà a Palermo: «Ho saputo che, venticinque anni fa, appena un mese prima della sua uccisione, egli trascorse alcuni giorni qui, a Piazza Armerina. Era venuto per incontrare i seminaristi, suoi alunni al Seminario maggiore di Palermo». «Un passaggio profetico, io credo!», ha concluso Francesco: «Una consegna, non solo ai sacerdoti, ma a tutti i fedeli di questa diocesi: per amore di Gesù, servire i fratelli fino alla fine!».

Testo integrale del discorso del Papa