Vita Chiesa

Papa in Cile: ai vescovi, «siamo servitori, non padroni». No a «clericalismo»

«È il vescovo più anziano del mondo, tanto in età come in anni di episcopato, e che ha vissuto quattro sessioni del Concilio Vaticano II», ha detto il Papa: «Bella memoria vivente!». «Uno dei nostri compiti principali consiste proprio nello stare vicini ai nostri consacrati, ai nostri presbiteri», ha esordito Francesco riferendosi al discorso tenuto poco prima in cattedrale: «Se il pastore si disperde, anche le pecore si disperderanno e saranno alla portata di qualsiasi lupo». Ai 50 vescovi cileni, Francesco ha raccomandato «la paternità del vescovo col suo presbiterio», una paternità che «non è né paternalismo né abuso di autorità», ma «un dono da chiedere» per «stare vicino» ai propri sacerdoti, «nello stile di san Giuseppe».

Il sentimento di essere orfani. «Uno dei problemi che affrontano oggigiorno le nostre società è il sentimento di essere orfani, ovvero, sentire di non appartenere a nessuno», ha detto il Papa ai vescovi cileni. «Questo sentire postmoderno può penetrare in noi e nel nostro clero», il monito di Francesco: «Allora incominciamo a pensare che non apparteniamo a nessuno, dimentichiamo che siamo parte del santo popolo fedele di Dio e che la Chiesa non è e non sarà mai una élite di consacrati, sacerdoti o vescovi». «Non potremmo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere popolo», la ricetta di Francesco, secondo il quale «la mancanza di consapevolezza di appartenere al popolo di Dio come servitori, e non come padroni, ci può portare a una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere: il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta».

«I laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati», ha ricordato il Papa ai vescovi, mettendoli in guardia dal clericalismo. «Non devono ripetere come pappagalli quello che diciamo», ha aggiunto. «Vigiliamo, per favore, contro questa tentazione, specialmente nei seminari e in tutto il processo formativo», l’appello. Per Francesco, in concreto, «i seminari devono porre l’accento sul fatto che i futuri sacerdoti siano capaci di servire il santo popolo fedele di Dio, riconoscendo la diversità di culture e rinunciando alla tentazione di qualsiasi forma di clericalismo». «I sacerdoti di domani devono formarsi guardando al domani», la proposta: «Il loro ministero si svilupperà in un mondo secolarizzato e chiede a noi pastori di discernere come prepararli a svolgere la loro missione in quello scenario concreto e non nei nostri mondi o stati ideali». Una missione, questa, che per il Papa «avviene in unione fraterna con tutto il popolo di Dio. Gomito a gomito, dando impulso e stimolando il laicato in un clima di discernimento e sinodalità, due caratteristiche essenziali del sacerdote di domani». No, allora, «al clericalismo e a mondi ideali che entrano solo nei nostri schemi ma che non toccano la vita di nessuno», sì invece all’impegno «per una opzione missionaria e profetica che sia capace di trasformare tutto, affinché le abitudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino strumenti adatti per l’evangelizzazione del Cile più che per un’autoconservazione ecclesiastica».