Vita Chiesa

Papa in Lituania: Messa a Kaunas, «la vita cristiana passa sempre attraverso momenti di croce»

«Le generazioni passate avranno avuto impresso a fuoco il tempo dell’occupazione, l’angoscia di quelli che venivano deportati, l’incertezza per quelli che non tornavano, la vergogna della delazione, del tradimento», ha ricordato Francesco riferendosi al passato tragico della Lituania: «Quanti di voi potrebbero raccontare in prima persona, o nella storia di qualche parente, questo stesso passo che abbiamo letto. Quanti di voi hanno visto anche vacillare la loro fede perché non è apparso Dio per difendervi; perché il fatto di rimanere fedeli non è bastato perché Egli intervenisse nella vostra storia».

«Kaunas conosce questa realtà», ha proseguito il Papa: «La Lituania intera lo può testimoniare con un brivido al solo nominare la Siberia, o i ghetti di Vilnius e di Kaunas, tra gli altri». «Ma i discepoli non volevano che Gesù parlasse loro di dolore e di croce; non vogliono sapere nulla di prove e di angosce. E San Marco ricorda che erano interessati ad altre cose, che tornavano a casa discutendo su chi fosse il più grande», ha ricordato Francesco, facendo notare che «il desiderio di potere e di gloria è il modo più comune di comportarsi di coloro che non riescono a guarire la memoria della loro storia e, forse proprio per questo, non accettano nemmeno di impegnarsi nel lavoro del presente. E allora si discute su chi ha brillato di più, chi è stato più puro nel passato, chi ha più diritto ad avere privilegi rispetto agli altri. E così neghiamo la nostra storia, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso». È» un atteggiamento sterile e vano, che rinuncia a coinvolgersi nella costruzione del presente perdendo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele», il monito del Papa.

«Non possiamo essere come quegli ‘esperti’ spirituali, che giudicano solo dall’esterno e passano tutto il tempo a parlare di quello che si dovrebbe fare», ha detto il Papa, che ha proposto ai 100mila fedeli «un antidoto alle lotte di potere e al rifiuto del sacrificio»: mettere un bambino al centro, come ha fatto Gesù. «Chi metterà in mezzo oggi, qui, in questa mattina di domenica?», si è chiesto Francesco: «Chi saranno i più piccoli, i più poveri tra noi, che dobbiamo accogliere a cent’anni della nostra indipendenza? Chi è che non ha nulla per ricambiarci, per rendere gratificanti i nostri sforzi e le nostre rinunce?». «Forse sono le minoranze etniche della nostra città, o quei disoccupati che sono costretti a emigrare», la risposta: «Forse sono gli anziani soli, o i giovani che non trovano un senso nella vita perché hanno perso le loro radici. ‘In mezzo’ significa equidistante, in modo che nessuno possa fingere di non vedere, nessuno possa sostenere che ‘è responsabilità di altri’, perché ‘io non ho visto’ o ‘sono troppo lontano’. Senza protagonismi, senza voler essere applauditi o i primi».

Una Chiesa in uscita. «Là, nella città di Vilnius, è toccato al fiume Vilnia offrire le sue acque e perdere il nome rispetto al Neris; qui, è lo stesso Neris che perde il nome offrendo le sue acque al Nemunas», l’immagine scelta dal Papa come fotografia delle due diocesi lituane: «Di questo si tratta: di essere una Chiesa in uscita, di non aver paura di uscire e spenderci anche quando sembra che ci dissolviamo, di perderci dietro i più piccoli, i dimenticati, quelli che vivono nelle periferie esistenziali. Ma sapendo che quell’uscire comporterà anche in certi casi un fermare il passo, mettere da parte le ansie e le urgenze, per saper guardare negli occhi, ascoltare e accompagnare chi è rimasto sul bordo della strada».

(Testo integrale dell’omelia del Papa)