Vita Chiesa

Papa in Marocco: incontro con il clero, proselitismo porta a vicolo cieco

«A che cosa è simile un cristiano in queste terre?», si è chiesto Francesco: «È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti», la risposta: «Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno». «La nostra missione di battezzati, di sacerdoti, di consacrati, non è determinata particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano, ma dalla capacità che si ha di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione», ha ricordato il Papa: «dal modo in cui viviamo come discepoli di Gesù, in mezzo a coloro dei quali noi condividiamo il quotidiano, le gioie, i dolori, le sofferenze e le speranze». In altre parole, «le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo, o una luce che non illumina più niente».

I cristiani sono lievito. Per Francesco, «la preoccupazione sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi». Al contrario, «la vita si gioca con la capacità che abbiamo di ‘lievitare’ lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati». «Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico», il monito del Papa: «Essere cristiano è un incontro». Al suo arrivo in cattedrale il Santo Padre è stato accolto, all’ingresso,  dal parroco e da tre sacerdoti incaricati della pastorale. Poi ha percorso la navata centrale e, dopo un momento di preghiera silenziosa davanti al Santissimo, Papa Francesco ha pronunciato il suo discorso, introdotto dalle brevi testimonianze e dai saluti di un sacerdote e di una religiosa.

«La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio». Nel discorso rivolto al clero, dalla cattedrale di Rabat, il Papa ha citato Paolo VI, e ha precisato: «Affermare che la Chiesa deve entrare in dialogo non dipende da una moda, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri. Se la Chiesa deve entrare in dialogo è per fedeltà al suo Signore e Maestro che, fin dall’inizio, mosso dall’amore, ha voluto entrare in dialogo come amico e invitarci a partecipare della sua amicizia. Come discepoli di Gesù Cristo, siamo chiamati, fin dal giorno del nostro Battesimo, a far parte di questo dialogo di salvezza e di amicizia, di cui siamo i primi beneficiari». «Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva», l’omaggio di Francesco: «Un dialogo che siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di cuore, con un amore fervente e disinteressato, senza calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone». «In questo spirito, troviamo dei fratelli maggiori che ci mostrano la via, perché con la loro vita hanno testimoniato che questo è possibile, una ‘misura alta’ che ci sfida e ci stimola», ha detto il Papa, evocando la figura di San Francesco d’Assisi, che, «in piena crociata, andò ad incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil», il beato Charles de Foucault, che «ha voluto essere un fratello universale», e tutti quei «fratelli e sorelle cristiani che hanno scelto di essere solidali con un popolo fino al dono della propria vita». «Quando la Chiesa, fedele alla missione ricevuta dal Signore, entra in dialogo con il mondo e si fa colloquio, essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente profonda non in noi, ma nella fraternità di Dio, ha assicurato Francesco: «Tale dialogo di salvezza, come consacrati siamo invitati a viverlo anzitutto come intercessione per il popolo che ci è stato affidato».

«Che bello è sapere che, in diversi angoli di questa terra, nelle vostre voci il creato può implorare e continuare a dire: Padre nostro!», ha esclamato il Papa, che durante l’incontro con il clero ha citato la testimonianza raccolta da «un sacerdote che si trovava come voi in una terra dove i cristiani sono minoranza». «Mi raccontava che la preghiera del Padre nostro aveva acquistato in lui un’eco speciale perché, pregando in mezzo a persone di altre religioni, sentiva con forza le parole ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’», il racconto di Francesco: «La preghiera di intercessione del missionario anche per quel popolo, che in una certa misura gli era stato affidato, non da amministrare ma da amare, lo portava a pregare questa preghiera con un tono e un gusto speciali. Il consacrato, il sacerdote porta al suo altare, nella sua preghiera la vita dei suoi conterranei e mantiene viva, come attraverso una piccola breccia in quella terra, la forza vivificante dello Spirito».

«È un dialogo che, pertanto, diventa preghiera e che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali», l’invito del Papa: «In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini», la citazione del documento di Abu Dhabi. «Una preghiera che non distingue, non separa e non emargina, ma che si fa eco della vita del prossimo; preghiera di intercessione che è capace di dire al Padre: ‘Venga il tuo regno’», ha spiegato ancora Francesco a proposito della preghiera per eccellenza del cristiano: «Non con la violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi».

«Continuate a farvi prossimi di coloro che sono spesso lasciati indietro, dei piccoli e dei poveri, dei prigionieri e dei migranti». È la consegna del Papa, che nella parte finale del suo discorso al clero ha ringraziato i presenti «per quello che avete fatto, come discepoli di Gesù Cristo, qui in Marocco, trovando ogni giorno nel dialogo, nella collaborazione e nell’amicizia gli strumenti per seminare futuro e speranza». «Così smascherate e riuscite a mettere in evidenza tutti i tentativi di usare le differenze e l’ignoranza per seminare paura, odio e conflitto», l’omaggio di Francesco: «Perché sappiamo che la paura e l’odio, alimentati e manipolati, destabilizzano e lasciano spiritualmente indifese le nostre comunità».

«Che la vostra carità si faccia sempre attiva e sia così una via di comunione tra i cristiani di tutte le confessioni presenti in Marocco», l’altro invito del Papa a favore dell’«ecumenismo della carità«: «Che possa essere anche una via di dialogo e di cooperazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani e con tutte le persone di buona volontà». «È la carità, specialmente verso i più deboli, la migliore opportunità che abbiamo per continuare a lavorare in favore di una cultura dell’incontro», ha ribadito Francesco: «Che essa infine sia quella via che permette alle persone ferite, provate, escluse di riconoscersi membri dell’unica famiglia umana, nel segno della fraternità».

«Come discepoli di Gesù Cristo, in questo stesso spirito di dialogo e di cooperazione, abbiate sempre a cuore di dare il vostro contributo al servizio della giustizia e della pace, dell’educazione dei bambini e dei giovani, della protezione e dell’accompagnamento degli anziani, dei deboli, dei disabili e degli oppressi», la raccomandazione finale, prima del saluto alla decana dei religiosi, suor Ersilia: «Attraverso di te, cara sorella, rivolgo un cordiale saluto alle sorelle e ai fratelli anziani che, a motivo del loro stato di salute, non sono presenti fisicamente ma sono uniti a noi mediante la preghiera», le parole del Papa, che ha esortato il clero del Marocco a guardare al futuro, «per continuare ad essere segno vivo di quella fraternità alla quale il Padre ci ha chiamato, senza volontarismi e rassegnazione, ma come credenti che sanno che il Signore sempre ci precede e apre spazi di speranza dove qualcosa o qualcuno sembrava perduto».