Vita Chiesa

Papa in Perù: incontro clero, «non trasformatevi in professionisti del sacro che si dimenticano del loro popolo»

«Quando manca una di queste due, qualcosa comincia ad andare male e la nostra vita a poco a poco marcisce», ha ammonito Francesco soffermandosi sulla necessità di una fede «ricca di memoria perché sa riconoscere che né la vita, né la fede, né la Chiesa iniziano con la nascita di qualcuno di noi». «Noi consacrati non siamo chiamati a soppiantare il Signore, né con le nostre opere, né con le nostre missioni, né con le innumerevoli attività che abbiamo da fare», ha puntualizzato il Papa citando l’esempio di S. Giovanni Battista: «Semplicemente ci viene chiesto di lavorare con il Signore, fianco a fianco, ma senza mai dimenticare che non occupiamo il suo posto». «Ci fa bene sapere che non siamo il Messia!», ha esclamato Francesco: «Ci libera dal crederci troppo importanti, troppo occupati».

Questo pomeriggio, alle ore 15.30 locali (21.30 ora di Roma), presso il Colegio Seminario di Trujillo, il Papa ha incontrato circa 1.000 sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi delle 11 Circoscrizioni Ecclesiastiche del Nord del Perú. Al suo arrivo, è stato accolto dal rettore del Collegio: dopo l’indirizzo di saluto dell’arcivescovo di Piura y Tumbes, mons. José Antonio Eguren Anselmi, il Papa ha pronunciato il suo discorso.

«Essere ricchi di memoria ci libera dalla tentazione dei messianismi». Ne è convinto il Papa, che ha spiegato che «questa tentazione si combatte in molti modi, ma anche col saper ridere». «Imparare a ridere di sé stessi ci dà la capacità spirituale di stare davanti al Signore coi propri limiti, errori e peccati, ma anche coi propri successi, e con la gioia di sapere che egli è al nostro fianco», ha assicurato Francesco, secondo il quale «un bel test spirituale è quello di interrogarci sulla capacità che abbiamo di ridere di noi stessi». «Ridere ci salva dal neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri», ha proseguito il Papa. «Ridete in comunità, e non della comunità o degli altri!», il consiglio di Francesco: «Guardiamoci da quelle persone così importanti che nella vita hanno dimenticato come si fa a sorridere».

«L’incontro con Gesù cambia la vita, stabilisce un prima e un poi. Fa bene ricordare sempre quell’ora, quel giorno chiave per ciascuno di noi, nel quale ci siamo accorti che il Signore si aspettava qualcosa di più». Incontrando il clero a Trujillo, il Papa ha inviato i presenti a fare memoria «di quell’ora in cui siamo stati toccati dal suo sguardo». «Quando ci dimentichiamo di questa ora – il monito – ci dimentichiamo delle nostre origini, delle nostre radici; e perdendo queste coordinate fondamentali mettiamo da parte la cosa più preziosa che una persona consacrata può avere: lo sguardo del Signore». «Ciascuno di noi conosce il dove e il quando», ha detto Francesco a proposito della vocazione religiosa: «Forse in un momento di situazioni complicate, di situazioni dolorose, sì, può darsi; ma lì ti ha incontrato il Dio della Vita per renderti testimone della sua vita, per renderti parte della sua missione e farti essere, con lui, carezza di Dio per molti». «Ci fa bene ricordare che le nostre vocazioni sono una chiamata di amore per amare, per servire», l’invito: «Se il Signore si è innamorato di voi e vi ha scelti, non è stato perché eravate più numerosi degli altri, anzi siete il popolo più piccolo, ma per puro amore! Amore viscerale, amore di misericordia che commuove le nostre viscere per andare a servire gli altri con lo stile di Gesù Cristo».

«Vi esorto a non dimenticare, e tanto meno a disprezzare, la fede semplice e fedele del vostro popolo». Il Papa ha fatto notare ai mille presenti come il popolo peruviano abbia dimostrato «un enorme affetto per Gesù, la Madonna e i Santi e Beati, con tante devozioni che non oso nominare per timore di tralasciarne qualcuna». In quei santuari, ha proseguito Francesco, «molti pellegrini prendono decisioni che segnano la loro vita. Quelle pareti racchiudono molte storie di conversione, di perdono e di doni ricevuti, che milioni di persone potrebbero raccontare. Anche molte delle vostre vocazioni possono essere impresse tra quelle pareti». «Sappiate accogliere, accompagnare e stimolare l’incontro con il Signore», l’appello: «Non trasformatevi in professionisti del sacro che si dimenticano del loro popolo. Non perdete la memoria e il rispetto per coloro che vi hanno insegnato a pregare». No, quindi, al «mascheramento» vocazionale, sì invece alla «coscienza grata» che «allarga il cuore e ci stimola al servizio».

«Senza gratitudine possiamo essere buoni esecutori del sacro, ma ci mancherà l’unzione dello Spirito per diventare servitori dei nostri fratelli, specialmente dei più poveri», ha ammonito Francesco, secondo il quale «il popolo fedele di Dio possiede l’olfatto e sa distinguere tra il funzionario del sacro e il servitore grato. Sa distinguere chi è ricco di memoria e chi è smemorato. Il popolo di Dio sa sopportare, ma riconosce chi lo serve e lo cura con l’olio della gioia e della gratitudine».

«Nel mondo frammentato in cui ci è dato di vivere, che ci spinge ad isolarci, la sfida per noi è essere artefici e profeti di comunità. Perché nessuno si salva da solo». Con queste parole il Papa ha inviato i mille presenti ad «essere servitori di unità in mezzo al nostro popolo». «La frammentazione e l’isolamento non è qualcosa che si verifica fuori, come se fosse solo un problema del mondo», ha spiegato Francesco: «Le divisioni, le guerre, gli isolamenti li viviamo anche dentro le nostre comunità, nel nostro presbiterio, nelle nostre Conferenze episcopali, e quanto male ci fanno!». Gesù, invece, «ci invia ad essere portatori di comunione, di unità, ma tante volte sembra che lo facciamo disuniti e, quello che è peggio, facendoci spesso gli sgambetti». «Ci è chiesto di essere artefici di comunione e di unità», ha ribadito il Papa, «che non equivale a pensare tutti allo stesso modo, fare tutti le stesse cose. Significa apprezzare gli apporti, le differenze, il dono dei carismi all’interno della Chiesa sapendo che ciascuno, a partire dalla propria specificità, offre il proprio contributo, ma ha bisogno degli altri». Di qui la necessità di «guardarsi dalla tentazione del figlio unico che vuole tutto per sé, perché non ha con chi condividere». «A coloro che devono esercitare incarichi nel servizio dell’autorità chiedo, per favore, di non diventare autoreferenziali», le parole di Francesco: «Cercate di prendervi cura dei vostri fratelli, fate in modo che stiano bene, perché il bene è contagioso. Non cadiamo nella trappola di un’autorità che si trasforma in autoritarismo dimenticando che, prima di tutto, è una missione di servizio».

Il Papa ha concluso il suo discorso a braccio, esortando i presenti ad «ascoltare i giovani e a farli parlare», soprattutto con gli anziani. «Bisogna far sognare gli anziani», ha detto Francesco a braccio: «Fate sognare gli anziani: e se i giovani fanno sognare gli anziani, vi assicuro che gli anziani saranno profetici», perché «i giovani camminano velocemente, ma sono gli anziani che conoscono il cammino». Al termine dell’incontro, dopo la benedizione finale e lo scambio dei doni con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi, il Papa ha posato per una foto di gruppo con alcuni dipendenti del Collegio e, prima di uscire, ha consegnato un dono al rettore. Quindi ha raggiunto in papamobile la Plaza de Armas, per un giro nella piazza – conosciuta anche come Plaza Mayor – che è il fulcro storico della città di Trujillo.