Vita Chiesa

Papa in Sinagoga: Di Segni, «il segno concreto di una nuova era»

«Benvenuto». Con questa semplice parola pronunciata con un sorriso raggiante, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha accolto ieri pomeriggio papa Francesco nella Sinagoga di Roma. Ed ha poi aggiunto, sempre sorridendo: «Oggi il tempio accoglie con gratitudine la terza visita di un Papa e Vescovo di Roma. Secondo le tradizioni giuridiche rabbiniche, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, cioè una consuetudine fissa». Il rabbino ha definito la presenza di Francesco come «il segno concreto di una nuova era». Un segno in «continuità» con gli altri due predecessori e, al tempo stesso, «dettato dall’urgenza dei tempi». «Il vicino Oriente, l’Europa e molte altre parti del mondo sono travagliate da guerre e terrorismo». «Noi accogliamo il Papa – ha quindi detto Di Segni – per ribadire che le differenze religiose, che devono essere mantenute e rispettate, non devono essere però giustificazione all’odio e alla violenza». «Dobbiamo lavorare e collaborare nel quotidiano».

Giunto alla Sinagoga di Roma con dieci minuti di anticipo rispetto al programma, papa Francesco era stato accolto dalla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e dal presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. Insieme avevano percorso via Catalana ma prima di entrare in Sinagoga, il Papa si era soffermato davanti alla lapide che ricorda Stefano Gai Tachè, il bimbo di soli 2 anni ucciso dai terroristi palestinesi nell’attentato del 1982. E qui, dopo aver deposto dei fiori, il Papa si è intrattenuto a parlare con la famiglia Tachè e con alcuni dei 40 feriti dell’attentato. È stato un incontro estremamente cordiale e amichevole tanto che le telecamere del Ctv hanno colto un anziano ebreo dire al Papa: «È molto simpatico e le vogliamo tutti molto bene». E un giovane porgendogli la mano gli ha detto: «benvenuto».

All’ingresso della Sinagoga c’era il rabbino capo, Riccardo Di Segni, che sulla scalinata ha accolto il Papa con un abbraccio. Hanno poi percorso insieme il corridoio centrale dirigendosi verso la tribuna. La Sinagoga era gremita di persone e il Papa si è intrattenuto più volte a parlare e salutare le persone. Tra i partecipanti anche l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis italiana (Comunità religiosa islamica) e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

«La fede non genera odio. La fede non sparge sangue, la fede richiama al dialogo». «Come oggi qui a Roma, così in ogni altro luogo». «La nostra speranza è che questo messaggio giunga ai tanti musulmani che condividono con noi la responsabilità di migliorare il mondo in cui viviamo. Solo insieme possiamo farcela». Lo ha detto Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, rivolgendo ieri in Sinagoga il saluto della comunità ebraica romana a Papa Francesco. «Oggi scriviamo ancora una volta la storia», ha detto la presidente Dureghello ricordando con commozione i Papi che hanno preceduto Francesco. La visita di oggi – ha poi aggiunto – «non porta con sé il segno dei ritualismi. Si tratta piuttosto di una tappa importante in un momento molto delicato per le religioni». «Ebrei e cattolici – ha quindi aggiunto Dureghello – a partire da Roma devono trovare insieme soluzioni condivise per combattere contro i mali del tempo. Abbiamo la responsabilità di fare del mondo in cui viviamo, un posto migliore per i nostri figli». La presidente della Comunità di Roma ha quindi parlato dell’identità dell’ebreo romano: «Siamo italiani – ha detto – e siamo orgogliosi di essere italiani ma, al tempo stesso, siamo parte del popolo di Israele». Ed ha quindi ribadito «con forza»: «L’anti-sionismo è la forma più moderna dell’antisemitismo». Un discorso che è stato più volte interrotto dall’assemblea presente in Sinagoga che si è concluso con un appello: «Papa Francesco, oggi abbiamo una grande responsabilità nei confronti del mondo per il sangue versato dai terroristi in Europa e in Medio Oriente, per il sangue dei cristiani perseguitati». «Non possiamo essere spettatori. Non possiamo rimanere indifferenti. Non possiamo commettere gli stessi errori del passato, fatti di silenzi assordanti e di spalle voltate». «La memoria del più grande genocidio della storia dell’umanità deve essere mantenuta viva in modo che nulla di simile possa accadere di nuovo. Questo è il nostro grande impegno per il futuro e per il nuovo».