Vita Chiesa
Pastorale vocazionale, è tempo del risveglio
Su questo tema, secondo don Franco Brogi, incaricato regionale per la pastorale vocazionale, le nostre comunità sono a volte un po’ addormentate, e il «risveglio» passa attraverso la preghiera, il coinvolgimento delle famiglie e una maggiore consapevolezza dell’importanza di questo tema.
Don Brogi, come «rinvigorire» l’attenzione alla chiamata di Dio nel tessuto delle nostre comunità parrocchiali?
«Il credere che Gesù ancor oggi chiami a seguirlo è strettamente unito alla fiducia che riponiamo nel Vangelo. Il Signore, in particolare, ha legato la risposta dei chiamati alla preghiera della Chiesa: Pregate il padrone della messe affinché mandi operai nella sua messe. Non si tratta di rinvigorire la chiamata al sacerdozio e alla vita religiosa, quanto di liberare e rendere capaci di maggiore comunicazione quei canali privilegiati, attraverso i quali la voce del Signore può risuonare e giungere a toccare i cuori dei giovani. Il primo soggetto della chiamata è la comunità cristiana in quanto tale. Il termometro della vitalità di una parrocchia è proprio la sua capacità di generare vocazioni di speciale consacrazione. Oggi si notano comunità un po’ addormentate a questo riguardo, e tutti noi, preti per primi, ci sentiamo provocati ad un nuovo slancio di fede e iniziativa perché la chiamata di Dio sia resa udibile».
Attraverso quali strade passa il rilancio della pastorale vocazionale?
«È sul versante della preghiera che dovremmo cominciare una verifica della nostra pastorale e un”risveglio” delle comunità, ponendo al centro delle iniziative la Parola di Dio, l’Eucaristia – anche soprattutto l’adorazione per le vocazioni – e momenti di silenzio per ascoltare la voce del Signore. È necessario far crescere la consapevolezza che le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa sono una responsabilità di tutti i battezzati e che ogni pastorale per essere autentica deve essere necessariamente vocazionale, cioè condurre a Cristo e alla sua sequela ogni persona, a cominciare dai giovani».
Come aiutare i giovani, le famiglie, e in particolare i genitori, a non far mancare la loro personale preghiera per le vocazioni?
«Attraverso particolari iniziative si dovranno coinvolgere i giovani e le famiglie. Ai primi è doveroso restituire spazi e tempi di gratuità, condivisione fraterna e ascolto della parola, ma anche accompagnamento spirituale personale per fare emergere e sviluppare i germi di una vocazione che Dio semina nei loro cuori. Perciò è necessario studiare e proporre momenti di autentico incontro con Dio e con i fratelli, oltre la messa domenicale e gli appuntamenti del calendario del bravo educatore, perché coloro che già si dedicano a sevizi pastorali curino la propria interiorità e assaporino la gioia di una vita ricevuta da Dio in dono e perciò chiamata a diventare essa stessa dono di amore per gli altri. Ruolo fondamentale in questa crescita del giovane, accanto al contributo della pastorale giovanile e all’indispensabile apporto dei sacerdoti, è quello della famiglia. Scoprire la vocazione all’amore come dono di sé è connaturale all’esperienza dell’amore ricevuto, percepito come prezioso e qualificante patrimonio dell’identità e della libertà responsabile di ogni figlio. Le famiglie sono un’enorme ricchezza per la pastorale della comunità cristiana e ancor più, esse stesse sono una piccola Chiesa domestica e come il primo seminario per i loro figli».
In occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sacerdotali e religiose del 7 maggio prossimo, in ogni diocesi della Toscana si celebrerà una Veglia di Preghiera con adorazione notturna alla presenza del Vescovo. Cosa significa questa proposta?
«Tra i segni concreti di un impegno a favore delle vocazioni di speciale consacrazione le Diocesi della Toscana hanno scelto di sostare in ascolto della Parola e di adorare la presenza del Signore nell’Eucarestia in piena comunione di intenti. Per condividere un’urgenza che accomuna le chiese locali della nostra Regione e convocare l’intero popolo di Dio sotto la guida del Vescovo, a pregare con umiltà e perseveranza perché il Signore doni nuovi operai per la sua messe».
Se voi poteste vedere la verità vi ci gettereste dentro subito, perché il problema che vi assilla è come realizzare le vostre grandi aspirazioni, come non disperdere tutta la gioia della vita. Ma ci sono degli ostacoli che ci impediscono di raggiungere la verità, ostacoli che la cultura in cui viviamo ha reso particolarmente difficili. Due soprattutto.
Il primo è il mito (o l’idolo) della Libertà. Il pensiero di fare una scelta di vita definitiva, «per sempre», mette la tremarella, legarsi ad una scelta così significa «perdere la libertà» cioè quanto di più sacrosanto abbiamo, secondo una certa idea di libertà di cui siamo imbevuti ogni giorno. Libertà che si rattrista di fronte al limite (il «sì» detto per sempre), che lo avverte come una morte. Libertà che esalta la possibilità di dare qualsiasi forma al mio futuro, seguendo l’idea dell’utile e del gradevole per me, del meglio un uovo oggi che una gallina domani, del non mettere uno stop alla giostra di innumerevoli proposte realizzabili su cui saliamo ogni giorno. Ma si può diventare veramente liberi senza porsi una e una sola meta da raggiungere? Libertà non significa superare tutto ciò che ci impedisce di raggiungere il proprio fine? E il fine non è il dare il meglio di sé nel bene, il donarsi senza riserve?
Comunicato Cet: Quattro parole d’ordine per la pastorale vocazionale