Vita Chiesa

Peccato, parola scomoda

L’abbandono della confessione personale dei peccati e il “ricorso abusivo” all’assoluzione “collettiva” costituiscono “gravi danni per la vita spirituale dei fedeli e per la santità della Chiesa”. E’ quanto scrive Giovanni Paolo II , nella lettera apostolica “Misericordia Dei” su alcuni aspetti della celebrazione del sacramento della penitenza, presentata il 2 maggio in Vaticano. “Ogni fedele ha diritto a ricevere personalmente” il sacramento della penitenza, sottolinea Giovanni Paolo II invitando i suoi confratelli vescovi ad “un sollecito rilancio del sacramento della riconciliazione”, per reagire alla “crisi del senso del peccato” che caratterizza la nostra epoca e che è sembrata registrare un inizio di inversione di tendenza in occasione del Giubileo, durante il quale il diffuso “ricorso alla penitenza sacramentale” ha offerto “un messaggio incoraggiante” da raccogliere con “fiducia, creatività e perseveranza”.

La confessione dei peccati è sempre “personale”. La “confessione completa dei peccati gravi”, ricorda Giovanni Paolo II, è il primo compito del fedele che si accosta al sacramento della penitenza, e “non resta in alcun modo affidata alla libera disponibilità dei pastori”. In alcune regioni, invece, “si osserva la tendenza all’abbandono della confessione personale insieme ad un ricorso abusivo all’ ‘assoluzione generale o collettiva'”, tramite “un allargamento arbitrario del requisito della grave necessità”, con “gravi danni per la vita spirituale dei fedeli e per la santità della Chiesa”. L’ “assoluzione a più penitenti insieme senza la previa confessione individuale”, prevista dal canone 961 del Codice di Diritto Canonico, “riveste un carattere di eccezionalità” e “non può essere impartita in modo generale” se non a causa di “imminente pericolo di morte” o di “grave necessità”, cioè in caso di situazioni “oggettivamente eccezionali”, ribadisce il Papa, “come quelle che si possono verificare in territori di missione o in comunità di fedeli isolati, dove il sacerdote può passare soltanto una o poche volte l’anno o quando le condizioni belliche, meteorologiche o altre simili circostanze lo consentano”.

Più spazio all’ “ascolto”. Tutti coloro che si occupano della “cura delle anime” hanno l'”obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati” e di mostrarsi “sempre e pienamente disposti” ad amministrare il sacramento della penitenza “ogniqualvolta i fedeli ne facciano ragionevolmente richiesta”. E’ l’appello rivolto dal Papa ai vescovi e ai sacerdoti nel mondo affinché diano più spazio, nelle loro attività pastorali, al sacramento della penitenza; un tema, questo, caro al Pontefice, che aveva fatto richieste analoghe ai preti anche nell’ultima lettera a loro rivolta per il Giovedì Santo. La “mancanza di disponibilità ad accogliere le pecore ferite” per poi “ricondurle all’ovile”, scrive Giovanni Paolo II, “sarebbe un doloroso senso di carenza di senso pastorale” nei sacerdoti: vescovi, parroci e rettori di chiese e santuari, aggiunge il Papa, “devono verificare periodicamente che di fatto esistano le massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli”, soprattutto attraverso “la presenza visibile dei confessori nei luoghi di culto durante gli orari previsti, l’adeguamento di questi orari alla situazione reale dei penitenti, e la speciale disponibilità per confessare prima delle Messe” e anche durante le celebrazioni.

No a confessioni “generiche”. Per quanto riguarda i fedeli, “va riprovato qualsiasi uso che limiti la confessione ad un’accusa generica o soltanto di uno o più peccati ritenuti più significativi”: i penitenti “che vivono in stato abituale di peccato grave e non intendono cambiare la loro situazione”, ricorda infatti il Papa, “non possono ricevere validamente l’assoluzione”. Tornando al tema delle “assoluzioni collettive”, il Pontefice precisa che “non è ammissibile il creare o il permettere che si creino situazioni di apparente grave necessità” derivanti dall’inosservanza delle norme canoniche, o “dall’opzione di penitenti in favore dell’assoluzione in modo generale”. La sola “grande affluenza dei penitenti”, precisa inoltre il Papa, “non costituisce sufficiente necessità, non soltanto in occasione di una festa solenne o di un pellegrinaggio, ma neppure per turismo o altre simili ragioni dovute alla crescente mobilità delle persone”. La chiesa o l’oratorio sono, per il Papa, i luoghi “propri” per ricevere la confessione, anche se “ragioni di ordine pastorale possono giustificare la celebrazione del sacramento in luoghi diversi”. La sede per le confessioni, inoltre, è disciplinata dalle norme emanate dalle rispettive Conferenze episcopali, le quali hanno il compito di garantire – ricorda Giovanni Paolo II – che essa sia collocata “in luogo visibile” e sia anche “provvista di grata fissa”, in modo da “consentire ai fedeli ed agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire”. a cura di M. Michela Nicolais

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