Vita Chiesa

Per pregare ci vuole pazienza

Il mistero della preghiera cristiana non può esaurirsi in qualche formula imparata da bambini e talora ripetuta a memoria senza una particolare attenzione alle parole che pronunciamo, ma è un vero incontro con Dio. Ci chiediamo: come si fa a vivere questo incontro, a fare esperienza di preghiera profonda?

È, quello della preghiera, un cammino a volte lungo e paziente, legato ai tempi di maturazione spirituale di ciascuno. Per tutti è comunque vero che il primo passo deve essere l’apertura dell’anima ai desideri; i desideri, infatti, sono importanti e, se vengono dallo Spirito, ci spingono alla ricerca del solo vero bene: Dio. La preghiera va dunque desiderata, invocata come un dono prezioso per la nostra vita.

Chiusa la porta della nostra camera (cfr. Mt 6,6), cioè dopo avere cercato un tempo e un luogo dove disporci all’incontro con il Signore, non dobbiamo scoraggiarci se all’inizio ci scopriamo aridi, o svogliati o distratti. La preghiera in quanto relazione con Colui che abita una luce inaccessibile (1Tm 6,16) appartiene al mondo dello Spirito, e dello Spirito Gesù ha detto: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va»… (Gv 3,8).

Entrare in noi stessi o, come dice sant’Agostino, entrare nel cuore, non è facile; richiede l’impegno di raccogliere le nostre energie per concentrarle sul desiderio di incontrare il Signore, di parlargli, soprattutto di ascoltarlo fino a riconoscere la sua voce e sperimentare il suo amore. Questa è l’attesa di Dio: non ricercare il sensazionale, ma fermarsi in umiltà, ossia sapendo di essere creature e in quanto tali limitati, mentre Colui al quale ci rivolgiamo è l’Altissimo Iddio, di cui il Vangelo ci dice che nessuno l’ha mai visto, ma proprio il Figlio fatto uomo ce lo ha rivelato (cfr. Gv 1,18).

Per questo – detto qui come inciso, ma è fondamentale – non c’è preghiera cristiana che non passi per Gesù Cristo, e non dobbiamo mai perdere di vista questa realtà costitutiva del nostro incontro con il Signore. La Chiesa, anzi, ce lo ha ricordato continuamente negli ultimi anni in cui nella nostra cultura è serpeggiato un certo sincretismo religioso venato di New Age che diluisce la rivelazione cristiana in un’indistinta esperienza del Divino.

L’attesa di Dio richiede di accogliere la persona del Risorto nella fede. È per la fede che Cristo abita nei nostri cuori (cfr. Ef 3,17); e questa dimora di cui possiamo e vogliamo prendere coscienza, è frutto del battesimo innanzitutto, e poi degli altri sacramenti. All’apostolo Filippo che voleva vedere il volto di Dio, Gesù rispose: Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? (Gv 14,10). «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). E sarà da questa comunione intima e vitale che sgorgherà la gioia della preghiera cristiana.a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa