Vita Chiesa

Pisa, Benotto: «Felice di tornare a casa»

di Andrea Bernardini

Monsignor Giovanni Paolo Benotto, 59 anni, pisano, sacerdote dal 1973 e dal 2003 vescovo di Tivoli, è il nuovo arcivescovo della diocesi di Pisa. Farà il suo ingresso in diocesi nel pomeriggio di domenica 6 aprile. Allora riceverà il pastorale da monsignor Alessandro Plotti, 76 anni, che è stato nominato da Benedetto XVI amministratore apostolico fino all’ingresso del nuovo arcivescovo.

Segretario particolare dell’arcivescovo Matteucci dal 1973 al 1980, priore della parrocchia di San Michele arcangelo ad Oratoio, direttore dell’ufficio liturgico diocesano e docente di teologia liturgica in Seminario dal 1980 al 1993, canonico soprannumerario (1994) e de numero (1995-2003) della Cattedrale, vicario generale della diocesi dal 1993 al 2003, dal 2003 è vescovo della diocesi di Tivoli e dal 2006 è membro della Congregazione per le cause dei santi.

La nomina di un vescovo di origine pisana alla guida dell’arcidiocesi di Pisa è un evento raro: l’ultimo fu l’arcivescovo Ranieri Alliata, che governò la diocesi toscana dal 1806 al 1836.

Quando ha saputo della nomina ad arcivescovo di Pisa? E, soprattutto, come ha reagito?

«Ho saputo della nomina quando sono stato convocato a Roma in Nunziatura il 22 gennaio scorso ed il Nunzio mi ha comunicato – per scritto – che il Santo Padre mi aveva nominato arcivescovo di Pisa e che mi si chiedeva – sempre per scritto – la mia accettazione. Nella mia vita ho sempre obbedito a quanto la Chiesa mi ha chiesto, perché sono convinto che attraverso la Chiesa si manifesta sempre la volontà del Signore, per cui, pur combattuto interiormente da sentimenti contrastanti, ho dato la mia disponibilità. Sono convinto che il Signore non mancherà di sostenermi con la sua grazia, per cui guardo in avanti con fiducia».

A Tivoli come l’hanno presa?

«A Tivoli ho potuto davvero toccare con mano l’affetto da cui ero circondato e prima di tutto da parte dei sacerdoti. Non sono stati pochi coloro che hanno iniziato a piangere nel momento in cui ho dato la comunicazione del mio trasferimento. Il clima che respiro in questi giorni è un po’ come quello di un funerale. Ho chiesto a tutti di cercare di vivere questo avvenimento nell’ottica della fede, con lo sguardo della fede; anzi con il cuore stesso di Gesù, con i suoi sentimenti, e con la sua disponibilità al dono di sé. Certamente se non si fa troppa fatica a dirlo, è molto più difficile farlo, ma senza il dono di se stessi non si può crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio e dei fratelli».

Quali sono i ricordi più belli che, da Tivoli, porterà con sè?

«Io non conoscevo affatto Tivoli e la sua gente. Devo dire che in questi anni mi sono davvero trovato in famiglia e in un territorio ricco di bellezze naturali e di monumenti splendidi. Porterò con me soprattutto l’esperienza di un cammino di fede fatto insieme a tante persone innamorate di Dio e pronte a mettersi al servizio della Chiesa; la gioia di momenti indimenticabili di fede e di religiosità popolare che ben difficilmente potrò rivivere in Toscana come la festa della Madonna di Quintiliolo e l’Inchinata di Tivoli in cui l’anima tiburtina si manifesta in tutta la sua ricchezza; la forza ancora viva di una tradizione cristiana che segna fortemente lo scorrere della vita delle varie comunità: un mondo dell’anima che ancora riesce a parlare anche a coloro che di solito vivono ai margini della comunità ecclesiale».

L’altra faccia della medaglia: soddisfatto di tornare nella diocesi che l’ha generato, vicino ai parenti, agli amici, alla gente con cui è cresciuto?

«Se da una parte sono contento di ritornare nella mia terra e soprattutto in mezzo a tante persone alle quali ho voluto bene e che mi vogliono bene, dall’altra parte non nascondo neppure una certa trepidazione ben ricordando quanto Gesù ha detto e che qualcuno mi ha ricordato, pur facendomi gli auguri e cioè che nessuno è profeta nella sua patria. E un vescovo non può essere altro che un annunciatore di una parola che non è sua, ma del Signore; quindi necessariamente un profeta. Anche se il proverbio che ci riporta il Vangelo è sempre inquietante, sono sicuro che troverò tante persone che mi aiuteranno nel mio servizio e che soprattutto mi sosterranno con la loro preghiera».

Nella lettera aperta inviata alla diocesi lei afferma di conoscere bene la bellezza della Chiesa pisana: a cosa pensa, in particolare?

«Parlare di bellezza della Chiesa che è in Pisa non significa certamente ricordare la ricchezza della sua storia o la meravigliosa perfezione dei suoi monumenti, bensì riconoscere sul volto dei suoi figli, il volto stesso di Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo, che rifulge là dove si opera la carità, si vive di fede, ci si lascia condurre dalla speranza che non delude. Bellezza che è quella dei tanti sacerdoti che lavorano con impegno e generosità per il Regno di Dio; dei religiosi e delle religiose che testimoniano il primato di Dio sulle cose e sulla realtà del mondo; dei laici cristiani che testimoniano il vangelo nel lavoro, nella vita politica, culturale e sociale; e soprattutto delle famiglie che vivono come piccole chiese e che educano con passione i propri figli alla fede. È questa bellezza che si irradia poi nelle numerose opere d’amore che segnano il cammino della Chiesa pisana con le quali nell’amore per i fratelli si concretizza la verità del nostro amore per Dio».