Vita Chiesa

Pochi preti: come fare?

di Simone PitossiI sacerdoti? Sono sempre meno, hanno troppi impegni e poco tempo per l’aggiornamento culturale. Cosa fare? Le diocesi toscane stanno cercando delle nuove strade per risolvere queste difficoltà. Ma mons. Diego Coletti (nella foto), vescovo di Livorno e delegato della Cet per i seminari e le vocazioni, prima di tutto vuole «ribadire la stima e l’incoraggiamento per i primi collaboratori dei vescovi che sono i presbiteri». «Spesso – spiega – l’attenzione si sofferma sugli aspetti problematici e sulle difficoltà. Non bisogna però dimenticare questo orizzonte di riconoscenza al Signore e ai membri dei nostri presbiteri per il lavoro spesso umile e nascosto che svolgono al servizio della Chiesa con grande dedizione e umiltà».

Iniziamo a parlare delle difficoltà…

«Dobbiamo innanzitutto prendere atto del calo numerico di sacerdoti già in atto e prevedibile anche per il futuro. La crisi vocazionale trova delle difficoltà di varia natura. Prima di tutto nella diminuzione della “materia prima”: ci sono meno giovani. Poi nella visione secolarista del mondo che rende più difficile l’emergere di prospettive spirituali ed evangeliche. Infine, nella fatica che il giovane di oggi fa ad arrivare a delle decisioni definitive. La crisi non è delle vocazioni sacerdotali, la crisi è delle vocazioni impegnative. Con l’unica differenza che quando un giovane non ha la capacità di fare la scelta definitiva del sacerdozio, prete non diventa. Mentre con molta più facilità chi non arriva con maturità ad una scelta definitiva di matrimonio si sposa lo stesso. Questo non vuol dire che queste siano vocazioni matrimoniali autentiche».

Quindi diminuisce il numero dei sacerdoti ma gli impegni crescono…

«La vita pastorale sta diventando sempre più pesante e faticosa con l’aumento delle incombenze e delle responsabilità distribuite su un numero sempre minore di spalle e di persone».

Le vie di soluzione?

«Innanzitutto, una maggiore corresponsabilità nella Chiesa distribuita ai diaconi permanenti, ai religiosi e ai laici collaboranti in maniera stabile e organica. In secondo luogo, una scelta di priorità e di sottolineature di impegno che tralascino o cose meno pertinenti al prete come tale o cose che pure appartengono al suo servizio ma che sono meno importanti di altre: bisogna arrivare con un po’ di coraggio e fantasia a fare delle scelte.

Laici che collaborano con i sacerdoti in pianta stabile e organica. Come si traduce in pratica?

«Prima di tutto bisogna dire che la corresponsabilità pastorale dei laici non è una delega per grazia o per rassegnazione da parte dei preti ma è un loro diritto–dovere fondamentale che nasce dal Battesimo. In pianta stabile vuol dire non necessariamente a tempo pieno ma riguarda il fatto che i laici si sentano a casa loro anche con questa attività di volontariato pastorale per il quale da un lato devono avere la competenza necessaria e dall’altro un impegno sufficientemente continuativo ed organico. In questo senso, in molte diocesi si stanno sperimentando delle forme di “nucleo apostolico” intorno al prete: un gruppo di persone – diaconi permanenti, religiosi e laici – che si assumono in maniera globale e organica la cura della comunità e che quindi non sono soltanto dei collaboratori posticci. Così, insieme al prete e facendo riferimento alla sua responsabilità apostolica, pensano, progettano e portano avanti l’esecuzione faticosa e continuata del cammino della comunità».

Questo, probabilmente, sarà il futuro della Chiesa. Ma nel presente il sacerdote è talvolta solo…

«C’è una solitudine buona, abitata dalla preghiera, dalla contemplazione e dall’incontro con il Signore e una “malata”, vissuta nell’isolamento. Condizioni di vita troppo isolate vanno superate con uno sforzo maggiore di fraternità presbiterale e spirito di comunione e di condivisione nel cammino della comunità. Non si tratta necessariamente e sempre di costituire forme di vita comune, quanto di forme di comunione di vita: il trovarsi insieme, il condividere, il progettare comune, lo scambiarsi la testimonianza della propria fede, il trovare modi di stare insieme per momenti di distensione e di svago».

E poi…

«Importante è lo spessore della vita interiore del prete. Sia per quanto riguarda il tema fondamentale della preghiera, sia dal punto di vista dell’aggiornamento culturale e della formazione permanente teologica e pastorale che tenga viva l’intelligenza e vivace il cuore del prete. Tutto ciò per contrastare l’appiattimento sulla “routine” del portare avanti l’ordinaria amministrazione della comunità che rischia poi di appiattire anche la qualità della vita della persona».