Vita Chiesa

Quarrata, i funerali del parroco ucciso. Mons. Bianchi: Se il Natale si tinge di rosso

«Un saluto anche agli operatori dei mezzi di comunicazione per il loro prezioso lavoro svolto a servizio del diritto del cittadino di essere informato”. Così, al termine del rito funebre, il vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi, rivolto ai giornalisti, locali ma anche della stampa nazionale, che in questi giorni stanno seguendo le vicende sulla brutale uccisione di don Mario Del Becaro

Il vescovo ha anche ringraziato, per la loro presenza nella chiesa di Catena, le autorità civili e militari (notati, fra gli altri, il sindaco di Quarrata Marco Mazzanti, la presidente della Provincia Federica Fratoni, il prefetto Mauro Lubatti, il vicequestore, il comandante provinciale dei Carabineri) oltre che i tantissimi parroci e sacerdoti (non meno di una quarantina) provenienti dall’intera diocesi e che hanno concelebrato la Santa Messa.

Profondo e sincero il clima di commozione registrato nella chiesa, gremita come mai in precedenza, che si è rivelata largamente insufficiente per contenere tutti quelli che avrebbero voluto entrarci. E in centinaia sono rimasti fuori. In pratica l’intera comunità parrocchiale di Tizzana/Catena, nelle sue varie componenti, ha preso parte alla Messa per l’estremo saluto al suo prete assassinato.

«Tutta Quarrata soffre per quel che è accaduto: non ci sono parole che possano raccontare questa amarezza», ha detto dall’altare il sindaco Marco Mazzanti, con fascia tricolore. «La nostra città non è questo, rifiuta con dolore e sdegno quanto è accaduto. Auspichiamo che i responsabili vengano individuati perché sia fatta giustizia. Noi non cerchiamo vendetta: siamo una società civile e vogliamo giustizia, una giustizia richiesta da quanto quest’uomo è stato fatto soffrire».

Ha anche preso la parola Alessio Tagliafierro, giovane seminarista nato proprio nel fra Tizzana e Catena e che bene conosceva il prete ucciso. Ed è proprio di don Mario un testo, letto dal venticinquenne seminarista. «Aspettaci Signore – scrisse il prete massacrato a botte – non andare via, unico amico. E’ ormai sera dentro di noi e senza te la notte è troppo buia. Troppo triste».

Molte lacrime, nei parrocchiani e fra i parenti di don Del Becaro. Il rito si è concluso con un canto alpino («Signore delle Cime») intonato dal coro parrocchiale. E gli applausi hanno accompagnato la salma all’uscita della chiesa per il cimitero della Misericordia di Prato, dove avverrà la sepoltura.

L’omelia del vescovo

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata durante le esequie dal vescovo di Pistoia, mons. Mansueto Bianchi.

Cari fratelli nel sacerdozio,  carissime sorelle e fratelli laici, soprattutto voi, abitanti della parrocchia di Tizzana-Catena.  Ci raccogliamo in questo giorno, ultimo dell’anno 2012, attorno ad una persona, ad una vita che è stata tragicamente spenta.

Mentre ancora viviamo, nella Liturgia, l’ottava del Natale, il prolungarsi e l’effondersi del dono e del messaggio del Natale nella vita della chiesa e del mondo, esso al’improvviso si tinge di rosso.

Dal Natale bianco al natale rosso: è l’esperienza traumatica che ha vissuto questa parrocchia e, con essa, la diocesi di Pistoia.

Difficile ancora e prematuro trovare una chiave di lettura oggettivamente affidabile che spieghi in modo adeguato ciò che è accaduto tra noi: questo del resto è il compito che spetta all’autorità investigativa e che noi attendiamo, con grande fiducia e rispetto.

Ci accostiamo dunque a questa vicenda con grande sobrietà, come si conviene al dolore, guidati solo dalla parola di Dio e dalla luce della Fede, ben sapendo che quella è la chiave risolutiva di lettura e che toni celebrativi ed esaltatori avrebbero incontrato il rifiuto dello stesso don Mario.

Ci resta, nelle mani e nel cuore, la vita di un uomo, di un prete, che è stata violentemente spenta, ci rimane il tracciato di un’esistenza, fatta di luci e di ombre, di canto e di gemito, come quella di ciascuno di noi; essa oggi sta dinanzi a Dio chiedendo la sua misericordia; è l’approdo di ogni vita, è il porto e l’esaudimento di ogni ricerca e di ogni attesa. Essa, la vita di don Mario, oggi sta anche dinanzi a noi e chiede di diventare memoria. Una memoria che ammonisce e interroga.

Credo che la vicenda di don Mario evidenzi anzitutto il bisogno che abbiamo noi preti di essere fortemente radicati nella persona del Signore Gesù e del suo Vangelo: vera motivazione della nostra vita, fino al punto di diventare passione che accende le nostre giornate, ci dà la convinzione di spenderci anche faticosamente per qualcosa che vale, e ci salva dal fascino dei ripiegamenti e dei surrogati.

Ma la vicenda di don Mario evidenzia anche la necessità, per noi preti, di radicarci nella vita del nostro popolo, della comunità cristiana, della chiesa.

Abbiamo bisogno di diventare casa, di diventare famiglia l’uno per l’altro nel presbiterio, a cominciare da me, vescovo. Abbiamo bisogno che il nostro presbiterio cresca nella fraternità e nell’intensità, umana e spirituale, delle relazioni, in modo da facilitare la reciproca confidenza, la comprensione, l’incoraggiamento, l’aiuto fraterno.

È questo clima, umanamente e spiritualmente intenso, che aiuta a prevenire o ad evolvere positivamente le crisi di stanchezza, di delusione, di solitudine, di demotivazione che inevitabilmente si affacciano nella vita di un prete, come nella vita di ogni persona.

Ma essere radicati nella chiesa vuol dire, per la comunità cristiana, per la parrocchia, restare vicina alla vita ed alla persona del proprio sacerdote: non fargli mancare l’affetto, la stima, la collaborazione, l’accoglienza. È questo clima positivo di relazione, che permette anche la correzione di errori e difetti, il suggerimento, il consiglio e la critica, senza che questo diventi un crocifiggere la persona al proprio limite o al proprio errore.

 Molte cose si sono dette e scritte su don Mario in questi giorni, altre ancora se ne diranno e se ne scriveranno. In questo chiudersi dell’anno e della sua vita, ci rimane questa sua estrema presenza tra noi, con il suo povero corpo martoriato, qui, in questa chiesa di Catena che lui ha rinnovato, ampliato e restaurato, quasi come simbolo visibile, segnato nella pietra, del servizio pastorale e dell’opera spirituale che egli ha compiuto in mezzo a voi in questi 26 anni.