Vita Chiesa

Quelle nove volte in Toscana più una privata e imprevista

di Silvano Piovanellicardinale, arcivescovo emerito di Firenze

«Ti sto imparando, o Uomo, / t’imparo piano piano. / Di questo difficile studio / soffre e gioisce il mio cuore». Queste parole del Papa Giovanni Paolo in una sua poesia rivelano il sofferto impegno di una vita intera: dal lavoro nella cava di pietra, dalla fabbrica, dal rischio di essere prelevato per un campo di concentramento, al conclave di lunedì 16 ottobre 1978, quando disse: «Io ho avuto paura a ricevere quella nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo  e nella fiducia totale verso la sua madre, la Madonna santissima». E da quel giorno, di anno in anno, di giorno in giorno, la fatica estenuante e continua di donarsi a tutti, di farsi carico dei problemi che affaticano l’umanità e rendono sofferente il cuore dell’uomo. E sentir risuonare nell’intimo il comando che Gesù ripete senza tregua al Pietro di tutti i tempi: «prendi il largo e calate le reti per la pesca»: ogni persona, ogni comunità, ogni chiesa chiedono, pur in modi diversi, di essere incontrati, compresi, abbracciati, istruiti; e per tutta l’umanità occorre cercar di aprire i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, delle civiltà, dello sviluppo, affinché la storia diventi per tutti storia di salvezza.

Lo sappiamo bene, lo abbiamo visto con i nostri occhi: Giovanni Paolo II non si è tirato indietro. È il primo Papa dell’epoca moderna che subisce un attentato e che, senza ostentazione, ma in modo visibile, perdona il suo attentatore. È il primo Papa del quale si può dire che anche materialmente ha percorso il mondo intero, ha toccato con le sue mani ed ha guardato con i suoi occhi ed ascoltato con le proprie orecchie popoli e culture di ogni parte della terra. E, di fronte a tutti, ha chiesto perdono per i peccati e le debolezze della Chiesa. Ha inventato le Giornate Mondiali della Gioventù, ha parlato ai mussulmani in uno stadio, è entrato per primo nella sinagoga, più volte ha incontrato le altre confessioni cristiane, ha raccolto ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni della terra per implorare dal cielo il grande dono della pace.

Con grande cura ed impegno personale ha preparato la celebrazione del grande Giubileo del Duemila suscitando un grande fervore di incontri e di iniziative. Costretto all’immobilità ed impedito nei movimenti ed anche nella voce, non ha cessato d’incoraggiare, di accendere entusiasmo, di sostenere la speranza. Fino a quell’ultima apparizione alla finestra del suo studio su piazza San Pietro, quando apparve chiaramente che egli era inchiodato dalla sua malattia e tutti avvertimmo che proprio quel silenzio era il suo grido più forte: un grido di amore a Cristo e un dono appassionato per tutta l’umanità.

Il suo nome rimarrà anche nella storia della nostra Toscana, perché Egli è venuto nella nostra terra per ben nove volte…. Non possiamo dimenticare le parole con cui ha salutato i Vescovi toscani in visita ad limina nel 1986: «La vostra Regione costituisce un lembo di terra, a cui guardo con crescente attenzione e con fiduciosa speranza; conosco personalmente alcune delle vostre bellissime città, come Livorno, Siena, ed ho ancora vivo il ricordo della più recente visita a Prato. Mi propongo di venire prossimamente a Firenze».

Infatti era stato a Siena il 14 settembre 1980, accolto da mons. Mario Ismaele Castellano: lì volle ricordare una sua precedente visita da giovane prete alla città di Santa Caterina: «Non avrei mai immaginato di tornare 33 anni dopo…».

Nel 1982, nella festa di San Giuseppe, aveva visitato la città di Livorno e la fabbrica della Rosignano Solvay, dove disse ai lavoratori di essere stato anche lui, durante la guerra, un lavoratore della Solvay, e poi, accompagnato da mons. Alberto Ablondi, era salito a Montenero per rendere omaggio alla Madonna, Patrona della Toscana.

Nel 1986, sempre per la festa di San Giuseppe, era stato in visita a Prato e, con a fianco il vescovo Pietro Fiordelli, aveva incontrato i lavoratori, sottolineando dinanzi a tutti il bisogno di «salvaguardare il diritto dell’uomo al lavoro».

Poi, nell’86, il 18 e 19 ottobre, Giovanni Paolo II si recò in visita alle diocesi di Fiesole e di Firenze, accolto – oltre che da me – da monsignor Luciano Giovannetti. Il Papa, che pochi giorni dopo avrebbe incontrato i capi di tutte le religioni riuniti ad Assisi, sottolineò il valore del dialogo, che presuppone «la ricetta di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo» e mise in guardia i giovani dai «modelli di vita propagandistici della società dei consumi».

Il 21 maggio 1989 fu la volta di Grosseto, primo Papa a recarsi in Maremma dopo 856 anni. «Impegnatevi nel lavoro di una nuova evangelizzazione» fu il richiamo che il Pontefice consegnò alla diocesi, allora retta da monsignor Adelmo Tacconi. Nell’occasione si recò anche a Nomadelfia, la cittadella fondata da don Zeno Saltini.

Il Papa, a breve, tornò in Toscana il 22, 23 e 24 settembre 1989 per un’intensa «tre giorni» in cui visitò Pisa, Cecina, Volterra e Lucca. A Pisa, accolto da monsignor Alessandro Plotti, Giovanni Paolo II ricordò la figura di Galileo Galilei «la cui opera scientifica, improvvidamente ostacolata agli inizi, è ora da tutti riconosciuta come una tappa essenziale nel cammino della conoscenza della natura».

Dopo una visita ai malati della casa «Cardinale Maffi» di Cecina il Papa si fermò a Volterra dove fu accolto da monsignor Vasco Giuseppe Bertelli e visitò, presentandosi come «fratello tra i fratelli», i detenuti del carcere volterrano e gli ex tossicodipendenti del Centro di solidarietà.

Infine a Lucca, dove era arcivescovo monsignor Giuliano Agresti, si fermò ad ammirare con particolare devozione il «Volto Santo» venerato in città.

Il 23 maggio 1993 fu a Cortona, dove si soffermò a riflettere sulla «drammatica vicenda umana di Santa Margherita», e ad Arezzo, accolto dal vescovo Giovanni D’Ascenzi. Parlando ai giovani, il Papa lasciò da parte i fogli che leggeva dicendo che «quando si vedono questi occhi, questi volti, questi grandi progetti viene da essere più spontanei. Il discorso ufficiale lo leggerete sull’Osservatore Romano…».

Pochi mesi dopo, il 17 settembre 1993, Giovanni Paolo II salì alla Verna («Veniamo a te, o Francesco, in questo luogo che ti fu caro per confermarci ancora una volta nella convinzione che l’Amore è più grande di ogni forza negativa») e a Camaldoli, dove ringraziò la comunità monastica «che coltiva umilmente e pazientemente – accettando i tempi di Dio – il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso».

Il 30 marzo 1996 il Papa fu di nuovo a Siena, accolto dal vescovo Gaetano Bonicelli. «Rimediò» così al fatto di non essere potuto tornare nella città del Palio in occasione del Congresso eucaristico a causa di un incidente domestico. In questa seconda visita alla diocesi senese, Giovanni Paolo II incontrò i lavoratori a Colle Val d’Elsa: «È l’ora – sottolineò – di una nuova politica di solidarietà sociale». Disse no al «liberismo sfrenato» e all’«assistenzialismo di comodo», proponendo la via del «principio di sussidiarietà». Nel pomeriggio il Papa celebrò la Messa in Piazza del Campo a Siena, salutato dalle Contrade e dagli sbandieratori del Palio.

Alle nove visite ufficiali si deve aggiungerne una decima privata e imprevista al Monastero del Monte Argentario nel dicembre del 2000. Questa decima visita è come un avvertimento: tutti gli incontri, i discorsi, le visite pastorali hanno una radice comune: la dimensione interiore e attraverso tutto, in modo esplicito o implicito, la volontà di chiedere a tutti di aprire le porte a Cristo Salvatore.

Salutando la Conferenza episcopale toscana, con cui, al mattino, aveva celebrato l’Eucaristia, il 13 giugno 1986 si dichiarò «consapevole di trovarsi davanti ad un gruppo di Pastori di anime preposti alla guida di una Regione italiana, che nel corso della sua lunga storia si è distinta in maniera del tutto eccezionale nel campo della cultura. Senza Firenze e la Toscana il mondo sarebbe stato diverso ed oggi apparirebbe umanamente più povero. La vostra terra – ha aggiunto – è conosciuta dappertutto come una delle grandi matrici di un umanesimo, che reca visibili le impronte della fede cristiana».

Una storia di questo genere, continuava il Papa, chiede di non rimanere semplicemente volti al passato nella nostalgia del tempo che fu, diventa uno stimolo ricorrente per ispirare il presente e preparare l’avvenire. Pochi mesi dopo, a Firenze, dirà ai giovani: «per essere “ante-oculati”, per guardare verso il futuro,  bisogna essere anche “retro-oculati”, guardare bene verso il passato, leggere la storia».

Il popolo toscano – riconosce il Papa – ha tradizioni morali fondamentalmente sane, come testimoniano l’attaccamento alla famiglia, la dedizione al lavoro, il senso della giustizia, il rispetto degli altri nella convivenza civile, la solidarietà generosa verso il prossimo provato dal bisogno e dalla malattia.

«Dobbiamo guardare avanti, dobbiamo “prendere il largo” fiduciosi nella parola di Cristo: Duc in altum!»: le ultime parole del grande Giubileo del Duemila richiamano le prime parole del suo pontificato: «Non abbiate paura: aprite, anzi spalancate le porte a Cristo».

Gli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020 per «educare alla vita buona del Vangelo» illuminano una strada sulla quale occorre decisamente camminare.

L’autorità della Chiesa che proclama beato il Papa «venuto da lontano», ci garantisce che Giovanni Paolo II ci ripete ora con più forza quanto ci ha insegnato quando era tra noi, e in più da Colui che Egli contempla per sempre ottiene per noi la luce e la forza per rispondere  generosamente all’amore e testimoniare il Vangelo in questo mondo opaco che ha bisogno di speranza.