Vita Chiesa

Ritorno al confessionale. Ma tanti peccati la gente non li sente più…

Questi due anni di pontificato di Bergoglio hanno cambiato la Chiesa, sia nella percezione dei fedeli che dei «lontani». Ma quanto sta incidendo anche sulla pratica religiosa? La sua insistenza sulla Chiesa che amministra agli uomini la «medicina della misericordia», sta riavvicinando i fedeli ad un sacramento che sembrava dimenticato? Lo abbiamo chiesto a don Alessandro Magherini, già rettore del Seminario di Prato e attuale parroco di San Silvestro a Tobbiana oltre che responsabile della pastorale vocazionale in Diocesi.

Don Alessandro, Papa Francesco insiste molto sulla confessione «che rende con speciale efficacia il volto misericordioso di Dio». C’è una riscoperta di questo sacramento?

«In generale direi che c’è una maggiore attenzione. Anche altri preti me l’hanno confermato: c’è una maggiore frequenza anche in periodi normali, come le Messe domenicali durante l’anno. Però parlare di riscoperta forse è eccessivo, specie se pensiamo al numero di battezzati. Molti non si accostano al sacramento da molto tempo».

Nella sua esperienza chi si confessa oggi cerca un dialogo con il confessore o si limita piuttosto ad un elenco di peccati commessi?

«Di solito sono confessioni abbastanza ben fatte, non superficiali, come a volte può succedere. Per la mia esperienza le persone più anziane sono più legate ad una confessione che si limita all’accusa dei peccati. Magari quelli un po’ più giovani (dai 40 anni in giù) cercano anche un dialogo, il presentare alcuni aspetti della vita, alcune difficoltà… Uno scambio che naturalmente è utile per il futuro perché io dico sempre: la confessione riguarda il passato, uno guarda quello che è successo, che ha fatto nella sua vita in bene o in male. Però poi serve per il futuro, per una conversione, per un cambiamento».

La direzione spirituale, su cui in passato si insisteva molto, è avvertita ancora come esigenza?

«Da parte di noi preti, purtroppo, c’è meno disponibilità, per questioni di tempo e di una vita che è molto frenetica. Poter ascoltare la gente e poterla consigliare richiede calma e tempo. In effetti sarebbe molto importante. E una parte almeno della gente è alla ricerca di qualcuno che accompagni un po’, anche solo durante la confessione. Un accompagnamento regolare di una persona è invece più complesso perché vuol dire appunto anche al di fuori della confessione».

E non è necessario sia un prete…

«L’accompagnamento di per sé lo può fare qualsiasi persona che sia abbastanza esperta nella fede per aiutare appunto nelle scelte, nella conoscenza del Signore, nel chiarire meglio la volontà di Dio. Può essere un monaco o una monaca o anche un cristiano qualsiasi, che però abbia esperienza profonda di fede. Bisogna ci sia una certa disponibilità a mettersi in gioco, ad aprirsi in maniera sempre più grande, e anche a cambiare effettivamente alcune cose, il che non è facile. Oggi c’è molta tendenza a pensare che uno debba fare ciò che pensa, non a lasciarsi guidare».

Confessione nascosti da una grata o faccia a faccia. Cosa preferisce oggi la gente?

«Ci sono disposizioni personali diverse, che non dipendono nemmeno dall’età. Sì, i giovani sono più disponibili ad un incontro faccia a faccia, però c’è anche qualcuno che preferisce il confessionale e la grata perché una certa riservatezza, un certo schermo, aiuta su questioni delicate. Quando faccio delle celebrazioni penitenziali, se siamo in cinque o sei preti, ad uno chiedo di andare in confessionale perché c’è sempre qualcuno che lo preferisce. Bisogna rispettare queste sensibilità, non c’è niente di male. Per qualche secolo è stato addirittura obbligatorio».

Il tema dell’Eucaristia a separati o divorziati che vivono una nuova esperienza di coppia è al centro del Sinodo sulla famiglia. Ma nella sua esperienza capita spesso che venga posto in confessione?

«Per la mia esperienza è abbastanza raro. Mi sembra che chi è in quella condizione o sa che non può ricevere l’assoluzione, oppure non si confessa. Infatti a volte ci sono genitori di bambini della Prima Comunione che non sanno proprio che non potrebbero ricevere l’Eucaristia, neanche in occasioni solenni come la Prima Comunione del figlio. Ci rimangono anche male. Probabilmente non hanno quasi più nessun contatto con la vita di fede, con la liturgia, quindi cadono un po’ dalle nuvole. Chi invece lo sa, e ce ne sono, spesso non si accosta alla confessione».

Ma anche se vivono quelle situazioni, si possono confessare…

«Qualcuno si accosta perché sa che se anche non può ricevere l’assoluzione, però può ricevere una benedizione. Bisogna sempre accogliere con grande apertura. E se anche non posso dare l’assoluzione, posso dare una benedizione da parte del Signore. Che non è la stessa cosa, ovviamente, però è sempre un gesto che dice: “Dio ti vuole bene, vai avanti meglio possibile”. La Chiesa invita queste persone in situazioni cosiddette “irregolari” a vivere una vita di fede il più possibile, partecipare alla Messa (pur senza ricevere la Comunione), pregare, partecipare a incontri di formazione, compiere gesti di carità. Quindi se uno desidera confessarsi, nel senso di parlare della sua vita e dei suoi peccati, mantenendo ovviamente sempre il segreto confessionale, può ricevere una benedizione. Ed è già un aiuto».

Le risulta che a seconda dei confessori vengano date risposte diverse a questo problema?

«Purtroppo sì. Ma questo non riguarda solo il problema della convivenza o del matrimonio. Normalmente si assolve chi ha le condizioni per essere assolto: è pentito dei suoi peccati, può ricevere il perdono, perché essendo pentito ha intenzione di cambiare il più possibile, di vivere una vita nuova. Per i casi specifici la teologia morale cattolica prevede anche delle eccezioni, legate alla situazione soggettiva della persona. Però qui si entra in una problematica complessa. Rifacendoci, per esempio, agli insegnamenti dei grandi padri della morale cattolica, come Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ci possono essere dei casi in cui la persona, soggettivamente, vive una situazione di non conoscenza, che gli permette di ottenere il perdono. Son casi molto particolari che vanno visti uno per uno. In generale un sacerdote non può permettersi di fare come vuole lui, secondo le sue idee, perché lui rappresenta la Chiesa, il Signore. Il sacramento non è proprietà del sacerdote, lui è un ministro, un servitore. Deve seguire le indicazioni che il Signore e la Chiesa danno. I sacerdoti che non seguono queste linee comuni fanno un errore».

Altro tema molto attuale è quello delle coppie omosessuali. È cambiato il tipo di risposta che viene solitamente offerto dal confessore?

«Per l’insegnamento della Chiesa e per quello che dice la Sacra Scrittura gli atti omosessuali sono un peccato. La persona omosessuale che viene a confessarsi va accolta, aiutata. Va detto loro che il Signore li ama, come ama ogni persona umana. Vanno accolti, ma nella chiarezza. La Chiesa è molto chiara su questo».

Quali sono i «peccati» che oggi creano più difficoltà ai fedeli?

«Nonostante tutto le persone sentono ancora molto il tema della fedeltà a un legame. Se uno è sposato o fidanzato, il tradire questo legame in modo grave o anche più leggero viene sentito, crea difficoltà. È anche liberatorio il confessarlo, perché il Signore ti perdona e puoi ricominciare a vivere pienamente la fedeltà con la persona che ami. Per altri aspetti certi peccati legati alla sfera sessuale vengono invece bypassati. Forse sarà il clima generale che infonde l’idea che puoi vivere la sessualità in qualsiasi modo. Non se ne parla molto, meno di quanto si dovrebbe. Sembra si sia diventati tutti San Luigi Gonzaga o Santa Maria Goretti».

Peccati che i penitenti dimenticano perché forse li avvertono meno…

«Ad esempio, alcune persone vivono dei rancori e non si rendono conto che per il Vangelo vanno curati, non possono far parte della vita di un cristiano. “Non parlo più con una persona da dieci anni”. Oppure: “Non parlo più con mio cugino o mia sorella perché abbiamo litigato”… E non lo confessano perché sembra normale e che la colpa non sia loro. Gesù ne parla chiaramente nel Vangelo: sia che io ce l’abbia con qualcuno, sia che qualcuno ce l’abbia con me, io debbo cercare la chiarificazione, il perdono. Certo è un cammino di chiarificazione che richiede anche tempo. Anche alcuni peccati sociali vengono facilmente dimenticati. Per esempio rubare sul lavoro, non lavorare in maniera corretta, non pagare le tasse senza problema, oppure fare ingiustizie sul lavoro verso i dipendenti. Forse manca una catechesi più forte su questi temi».

Le nuove tecnologie, pensiamo ad esempio a skype, permettono di superare facilmente distanze. Perché la Chiesa non le prende in considerazione come una possibilità aggiuntiva per le confessioni?

«Perché Dio si fa presente attraverso una persona concreta. Nel caso del Battesimo per esempio chi amministra può essere, in casi di emergenza, anche addirittura un laico. Nel matrimonio sono gli sposi stessi i ministri del sacramento. Però ci vogliono due persone concrete per sposarsi. I sacramenti sono una trasmissione profonda della vita stessa di Dio, della Grazia. Quindi non può essere fatta da un mezzo tecnico ma da una persona concreta. Nella confessione è una persona concreta che ti ascolta, ti rappresenta il Signore e tutta la Chiesa, che è ministro della trasmissione del perdono, della vita nuova che Dio ti dà attraverso la sua misericordia. Questa concretezza antropologica, da persona a persona, è fondamentale per il Vangelo. I mezzi sono molto utili ma non per trasmettere in modo pieno la vita di Dio. E i sacramenti sono la trasmissione piena della Grazia, della vita di Dio. Non sono solo un dialogo, ma una trasmissione di vita. E un mezzo tecnico questo non lo può fare».