Vita Chiesa

San Sebastiano. Betori: “I fratelli della Misericordia devono sentirsi caratterizzati dal primato della carità e dalla testimonianza alla verità”

«Non sgomentatevi per paura di loro – cioè dei pagani – e non turbatevi» (1Pt 3,14), ci ha detto l’apostolo Pietro.

Ma c’è un’altra esortazione che dobbiamo considerare: Siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). La speranza cristiana non è un’utopia, non è una fuga dalla realtà: è una speranza ragionevole. Qui non possiamo non ricordare con gratitudine il Papa Benedetto XVI, recentemente scomparso, che ha approfondito in particolare il rapporto tra fede e ragione, proprio per far capire, anche all’uomo contemporaneo, che la speranza cristiana alle esigenze della ragione, della sua ricerca della verità e del desiderio del suo cuore. Abbracciare la fede non vuol dire abdicare al rigore della ragione; al contrario, vuol dire valorizzarla in pienezza. Però, questa verità ragionevole i cristiani debbono proporla «con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,16). È quello che dice, con altre parole, San Paolo nella lettera agli Efesini: «agendo secondo verità nella carità Veritatem facientes in charitate» (Ef 4,5).

I fratelli della Misericordia devono sentirsi segnati, caratterizzati, dal primato della carità. È questa la nostra storia e la nostra gloria e io, come Pastore della Chiesa fiorentina, mi rallegro per questa testimonianza plurisecolare di amore e di servizio disinteressato ai fratelli, particolarmente ai più bisognosi. Ma non meno importante del servizio della carità, è la testimonianza alla verità. Anzi, direi che la prima carità è quella della verità. Se non aiutiamo i nostri fratelli a scoprire la verità, ad amare la verità, li avremo privati dell’essenziale. L’uomo, particolarmente l’uomo di oggi, ha bisogno del pane, ha bisogno di amore, di solidarietà, ma non ha meno bisogno di verità, di certezze, di senso e di speranza.

Per questo, è particolarmente importante per noi il messaggio che ci viene, sia dalla prima lettura, sia dal Vangelo di oggi. Gesù ci chiede di non avere paura. Ma l’uomo di oggi, in particolare, spesso è ostaggio della paura, ha paura di misurarsi con la realtà, di riconoscere il proprio limite e di accogliere la trascendenza. Nietzsche, uno dei pensatori che più hanno influenzato la cultura odierna, ha scritto: «Questo ardente desiderio del vero, del reale, del non apparente, del certo, come lo odio!» (cit. in L. Giussani, Le mie letture, Rizzoli, p. 95) Ma chiedere il perché delle cose, la ragionevolezza dell’esistenza è forse insensato? L’uomo ha bisogno di senso, di pienezza, di salvezza, perché la realtà esiste e chiede ragione della sua esistenza.

Ma c’è anche un’altra paura: quella dei cristiani di oggi che, non di rado, non hanno il coraggio di testimoniare l’Amore che hanno incontrato. Abbiamo cristiani impauriti, intimiditi, intimoriti; cristiani che tendono a mettere fra parentesi ciò che è più specifico del cristianesimo, che tendono a sottolineare sempre ciò che hanno in comune con gli altri, ma si sentono a disagio se devono annunciare Gesù, unico Salvatore dell’uomo, un annuncio che non è suffragato dal consenso dell’opinione pubblica. È una paura di fronte al potere del mondo, un cristianesimo acquiescente, succube delle mode, del potere delle maggioranze. Ma la verità non si fonda sulle maggioranze. Gesù ci dice oggi: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28), cioè non abbiate paura della morte fisica, abbiate paura della morte eterna. Quel Dio che ha cura degli uccelli del cielo e conta i capelli del nostro capo, che provvede, cioè, anche alle nostre più piccole necessità, ci garantisce la vita eterna.

L’uomo è esigenza di infinito, è bisogno di eternità, non è qualcosa che oggi c’è e domani non c’è. «Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita», dice San Gregorio Nazanzieno (Carmina, 389). Siamo più grandi della morte. Chi non mi riconoscerà davanti agli uomini, dice Gesù, non conoscerà la sua vera vita, sceglierà la morte al posto della vita.

La causa della debolezza del nostro annuncio sta nel fatto che, invece della gioia di un incontro, del fascino di un amore che rende positiva e serena la nostra vita, noi piuttosto spesso testimoniamo un cristianesimo fatto di regole, di precetti, di divieti, di castighi, un Vangelo della paura, non un Vangelo della gioia.

L’Eucarestia che stiamo celebrando è il motivo supremo che vince la nostra paura. Essa infatti rinnova il Mistero della Pasqua di Cristo, quel Mistero in cui la violenza è vinta dal perdono, l’odio dall’amore, l’ingiustizia dalla misericordia, la morte dalla vita. È solo questa verità trascendente che può dare sicurezza all’uomo di oggi. Questa è la testimonianza che ci affida San Sebastiano.

Il card. Ratzinger in una splendida meditazione sull’Eucarestia spiegava, fra l’altro, il vero significato della parola “ortodossia” che non significa affatto “retta dottrina”, ma retta, “autentica gloria di Dio”. Come dire che la retta dottrina, la vera conoscenza, coincide unicamente con la gloria di Dio. È solo rendendo gloria a Dio che si arriva alla vera conoscenza. È rendendo gloria a Dio, facendo la sua volontà, che si mette ordine nel mondo. Per questo gloria di Dio e pace sulla terra coincidono.

«La gloria di Dio e la pace sulla terra sono inseparabili –diceva l’allora card. Ratzinger e aggiungeva – “Dove Dio viene escluso si sgretola la pace sulla terra e nessuna ortoprassi senza Dio ci può salvare» (Joseph Raztinger, Eucaristia, comunione e solidarietà, in Opera Omnia, vol. 11, pp. 487-488)È solo nell’“ortodossia”, cioè nell’autentica gloria di Dio, che noi troviamo anche la retta conoscenza delle cose e quindi la liberazione da ogni paura. Non basta l’ortoprassi, il ben agire, occorre anche l’ortodossia, l’adorare Dio secondo verità. In una carità animata dalla verità noi troviamo l’autentico servizio alla persona umana e il senso spirituale del nostro agire. L’offerta del nostro tempo e delle nostre risorse umane a vantaggio dei fratelli assume in tal modo un valore religioso che ci fa testimoni dell’amore stesso di Dio. Ciò che San Sebastiano ha vissuto nell’offerta martiriale della propria vita va vissuto da noi nell’offerta ai fratelli del nostro servizio, espressione del servizio che dobbiamo a Dio.

Giuseppe card. Betori