Vita Chiesa

Se la parrocchia apre le porte agli immigrati

Lo potremmo definire, in tutti i sensi, “l’uomo dell’accoglienza”. Guardano così a lui i pellegrini di tutt’Italia, dai quali è conosciuto e stimato per il grande lavoro di ospitalità che da anni sta portando avanti lungo la Via Francigena. Ma sono soprattutto i diseredati di tutti i generi, migranti e non, che gli devono gratitudine per un rifugio sicuro e spesso inatteso. Don Doriano Carraro, 64 anni il prossimo gennaio, veneto di Dolo, è parroco di Cristo Re e Maria Nascente a Castellina Scalo, dove abita, e di altre tre parrocchie della zona, Santa Maria Assunta a Monteriggioni, San Cirino ad Abbadia a Isola e San Michele a Rencine, tutte «segnate», in qualche modo, da questo suo particolare carisma. Non a caso, è anche direttore dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della diocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino. Logico pensare a lui, che conosciamo da tempo, dopo il particolare invito di Papa Francesco.

Il Papa ha detto che i conventi vuoti devono servire per accogliervi i rifugiati: come hai accolto questa indicazione?

«Papa Francesco ci sorprende ogni giorno, ma forse non più di tanto. Abbiamo ormai capito che vuole un Vangelo “senza glossa”, e, di conseguenza, ci vogliono discepoli di Gesù in maniera radicale, guidati dalla libertà che guidava Gesù, quella dello Spirito. Che la Chiesa si sia impossessata del patrimonio affidatogli dal Popolo di Dio e l’abbia usato per scopi non pastorali e caritatevoli è indubbio. E, ancor di più, nella gestione degli immobili più che affidarsi alla Provvidenza ci siamo preoccupati del tornaconto finanziario e delle sicurezze economiche. Se il Popolo di Dio vede i suoi beni destinati a scopi di lucro allora non sostiene più la Chiesa con la sua carità. La Chiesa diventa uno dei tanti poteri e si rapporta con il mondo come un potere. Tutto quello che è usato male o addirittura vuoto deve essere riconsegnato alla sua destinazione originale: pastorale, educativa, assistenziale. L’impegno principale della Gerarchia, a mio avviso, è quello di ricuperare e dar fiducia a un laicato generoso e formato che può mettere anima e competenza nella gestione delle strutture, a titolo di volontariato. Affidare le strutture alle cooperative è facile ma costoso e riduttivo, per quel venir meno del “corpo a corpo, cuore a cuore” proprio del cristiano».

Ma secondo te le comunità religiose e le nostre Chiese locali sono pronte a prendere alla lettera queste parole del Papa?

«Ci dovrà essere una profonda riflessione per arrivare a una conversione di spirito, di scelte, di missione. Il problema di fondo è che diventando la Chiesa proprietaria dei beni realizzati con la carità del Popolo di Dio, abbiamo tenuto fuori il Popolo di Dio dalla possibilità di collaborare con la Gerarchia per la destinazione e gestione degli stessi. Dopo una seria riflessione, attraverso un condiviso percorso di conversione, servirà una diversa pianificazione della destinazione e della gestione degli immobili. Non sarà facile: è quasi una rivoluzione copernicana perché l’economia nella Chiesa ha una configurazione aziendale. Gli immobili e strutture della Diocesi, delle parrocchie, di comunità religiose che hanno una destinazione solidale sono davvero pochi soprattutto in questi tempi dove le nuove povertà sono aumentate a dismisura. Lo Stato garantisce alcuni servizi ma, ora come ora, è impotente, o meglio assente. Bisogna supplire a questa mancanza attivando, come comunità ecclesiali coordinate, progetti di accoglienza e di supporto. Soprattutto, uscendo dall’assistenzialismo, dobbiamo inventare e offrire lavoro, coinvolgendo politici e amministratori a spendere meglio il denaro pubblico, evitando sperperi notevoli. Qualcosa si sta muovendo ma c’è poca determinazione, lentezza e incoraggiamento da parte della Gerarchia che forse vive lontana dalla sofferenze della gente come invece non è per noi che viviamo gomito a gomito, cuore a cuore con i poveri».

Da anni svolgi nelle tue parrocchie un’accoglienza a tutto campo, che va dai pellegrini della Francigena agli extracomunitari e ai rom. Che difficoltà comporta ciò, come lo vivono le tue comunità parrocchiali e che ricchezza ti lascia?

«Dagli inizi dei anni novanta mi sono dedicato alla accoglienza prima dei profughi ed immigrati albanesi, poi di quelli bosniaci, poi kosovari, poi dell’Est, poi degli africani. Dal 1994 al 2002 ho accolto nelle case canoniche di Fogliano e di S. Andrea a Montecchio. Dal 2004 accolgo persone in difficoltà a Castellina Scalo, a Monteriggioni e a Rencine. Centinaia di persone hanno trovato amicizia, un tetto e l’aiuto per arrivare al traguardo del permesso di soggiorno. Dal 2012 sto affrontando l’accoglienza di alcune famiglie Rom che avevano ricoveri di fortuna all’aperto nei pressi della stazione ferroviaria di Siena. Due di queste, e prossimamente una terza, sono rientrate in Romania con un progetto promosso dalla Migrantes di Siena e finanziato dalla Caritas parrocchiale di Castellina Scalo e Monteriggioni. Il progetto prevede l’avvio di attività agricola e di un piccolo allevamento di animali. Abbiamo calcolato che i costi per mantenere in Italia queste due famiglie superavano i costi del progetto stesso. Contemporaneamente, dal 2004 le mie parrocchie ospitano i pellegrini che camminano lungo la Via Francigena in strutture di eccellenza, la cui realizzazione ci è costata non pochi sacrifici. Accogliere i pellegrini è una nuova periferia in cui la Chiesa non può essere assente. Noi abbiamo dato l’esempio e con l’aiuto dei volontari ospitalieri della Confraternita di San Jacopo di Perugia stiamo facendo un ottimo lavoro. Facendoci poveri con i poveri e per i poveri e accogliendo i nuovi cercatori di Dio che sono i pellegrini, la Provvidenza non ci è mai mancata! Questo è la conferma che stiamo operando nella volontà di Dio. Il mio stile pastorale ha contagiato le comunità, prima perplesse per questo “sbilanciamento” sui poveri e i pellegrini. Ora sono loro che mi sostengono. Il mio portafoglio è come una fisarmonica, si gonfia e si svuota a ciclo continuo: tutto rendicontato, a costo di pagarci anche la tassa destinata alla Curia!»

Hai qualche episodio o qualche volto particolarmente significativo da ricordare?

«Avrei da raccontare tanti episodi che sono, uno dopo l’altro, la dimostrazione che è Dio a operare attraverso di me, le persone buone che mi assistono e le mie parrocchie. A marzo scorso, durante il funerale di un bambino Rom di pochi mesi a cui hanno partecipato tutte le famiglie Rom che sostano a Siena, ebbi modo di conoscere che una coppia, lei incinta all’ottavo mese di due gemellini, dormiva all’aperto. Non ci pensai due volte: li portai in casa. È stata una accoglienza gioiosa, per niente faticosa. La coppia, Sebastiano e Maria, si rivelarono due persone piene di umanità e molte belle d’animo. Sebastiano, molto intelligente e silenzioso, portato alla manualità, fu assunto da me come collaboratore domestico. La gente del paese fece a gara per offrire qualcosa ai due giovani sposini. Il 29 aprile, festa di Santa Caterina da Siena, alle 12,47 nacquero Narcis e Narcisa, che poi abbiamo battezzato per la Festa patronale di Santa Maria Nascente, l’8 settembre. Abbiamo ricevuto una infinità di Grazia per aver accolto questa famiglia ora felicemente e dignitosamente sistemata. Accogliere e perdersi per gli altri è fecondo, è vincente, ti guarisce, ti libera, e converte cristiani e non, apatici e stanchi di vivere solo consumando. La gente di Castellina Scalo, vedendomi accogliere i bisognosi, mi porta sempre tante cose utili, anche alimentari. Da un po’ di tempo a tavola, in casa canonica, siamo in nove persone, poi diamo da mangiare ad un’altra decina di persone. C’è sempre il necessario per tutti».

Sei anche responsabile a livello diocesano della Fondazione Migrantes. Come procede il lavoro? Hai anche un’idea della situazione a livello regionale?

«La Migrantes di Siena ha fatto cose importanti in questi ultimi anni. Abbiamo cercato di dare identità, forza e coesione interna alle diverse comunità cristiane immigrate. Abbiamo cercato di tessere rapporti di amicizia e collaborazione con chi non è cristiano. Prossimo importante evento è la giornata di studi che la Migrantes regionale, in collaborazione con quelle diocesane e in particolare con la nostra di Siena, ha promosso per giovedì 21 novembre all’Università per Stranieri di Siena sul tema “I nuovi cittadini”. Su questo campo della accoglienza ci vuole un confronto ampio, coordinato tra Caritas, Migrantes e altri uffici pastorali: sociale e del lavoro, famiglia, cooperazione missionaria. Ci sono tante idee progetti. Bisogna saperli mettere ben a fuoco e supportarli non solo con il fondo Cei dell’otto per mille, ma anche con un “fondo di solidarietà” diocesano a cui far confluire contributi di privati e aziende, parrocchie, istituzioni comunali, provinciali, regionali, europei… La parola d’ordine per me è: accogliamo sì ma diamo anche i mezzi, la famosa canna da pesca, per uscire dalla condizione di bisogno. Intanto continuiamo ad accogliere, perché non è stando a guardare alla finestra che si superano i problemi, magari tranquillizzando la coscienza con sporadica elemosina, ma, senza esitazioni e paure, “abbracciando la carne del Cristo crocifisso” che sta davanti a noi, “portandola e curandola in casa”. Dio farà generosamente e sorprendentemente la sua parte. Alla fine chi ci guadagna siamo proprio noi che accogliamo: nella cassaforte dei poveri stiamo accumulando un bel tesoro per il Cielo!».