Vita Chiesa

Settimana liturgica nazionale: Mons. Maniago, “Nelle celebrazioni tutti si sentano a casa”

La 72ª Settimana liturgica nazionale (Sln) sarà ospitata, nel 2022, dalla arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno. È stato annunciato al termine della 71ª edizione, dal titolo “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome. Comunità, liturgie e territori”, che si è svolta nella cattedrale di Cremona dal 23 al 26 agosto. Abbiamo chiesto di tracciare un bilancio dell’incontro a mons. Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta e presidente del Centro di azione liturgica (Cal).

Eccellenza, com’è andata la 71ª Settimana liturgica nazionale, dopo lo stop imposto l’anno scorso dalla pandemia?

È stata una bella esperienza. Si partiva con una titubanza per il contesto ancora condizionato dalla pandemia, quindi non poteva essere una Sln secondo il vecchio modello ormai consolidato negli anni, ma doveva essere qualcosa di nuovo. Erano due i fronti che ci preoccupavano: uno organizzativo, l’latro contenutistico. Per il primo aspetto abbiamo avuto riscontri positivi perché, oltre a una presenza fisica di “settimanalisti” nella cattedrale a Cremona, attraverso le vie telematiche abbiamo superato i duemila contatti. È stato, infatti, un evento costruito anche per chi stava a casa e questa scommessa è stata vinta. Ed è stato bello sapere di comunità o persone, che non avrebbero mai potuto essere presenti a una Sln, come monasteri di clausura oppure o una residenza di sacerdoti anziani, che hanno potuto seguire la Settimana in streaming. Tutto questo ci fa dire che anche le prossime Sln – speriamo in un clima fuori dalla pandemia – dovranno tener conto di questo aspetto, con un uso più attento ai mezzi di comunicazione per ampliare la platea dei partecipanti. Rispetto ai contenuti, anche quest’anno gli interventi sono stati di valore. Il tema era molto significativo: paradossalmente scelto prima della pandemia, è diventato molto più importante adesso, perché ha toccato quel “convenire” così fortemente penalizzato durante la fase acuta della pandemia. Peraltro abbiamo celebrato la Settimana in una diocesi che è stata nell’epicentro dell’emergenza durante la prima ondata.

Cosa possiamo imparare dal digiuno liturgico vissuto l’anno scorso durante il lockdown?

Il digiuno è servito ai fedeli per capire quanto sia importante e necessario celebrare sia per accogliere la grazia di Dio, sia per viverla insieme come Chiesa. L’assemblea liturgica è manifestazione della Chiesa, è un’esperienza di popolo che si raduna intorno al Signore, alla Sua Parola e a quel Pane eucaristico che è vita nuova per tutti. L’esserne privati ci ha aiutato a capire di più quanto sono essenziali il celebrare in generale e l’Eucaristia domenicale in particolare. Dell’esperienza con cui si è cercato di attenuare quel digiuno, perché eravamo in una situazione emergenziale, va fatto un bel discernimento. Nessuno mette in dubbio la buona volontà di fondo, però alcune esperienze sono state eccessive, di cattivo gusto, una creatività che per certi aspetti ha fuorviato dall’importanza e dalla bellezza del celebrare. Invece, la valorizzazione della preghiera in famiglia, che integra l’esperienza liturgica, è un aspetto importante che è stato non solo recuperato, ma forse sperimentato in un modo significativo per la prima volta.

Dopo il lockdown non tutti i fedeli sono tornati in chiesa. Che fare adesso?

Questo interrogativo è stato al cuore della Sln. Il tornare a celebrare alla presenza del popolo ha messo in evidenza una situazione variegata e complessa che la Chiesa già viveva prima del lockdown, cioè di persone che sono ben consapevoli dell’importanza del celebrare e lo vivono come una dimensione essenziale della loro vita cristiana, altri che su questo sono un po’ più superficiali, altri che sono frequentatori occasionali, altri che devono ancora comprendere l’importanza della liturgia o che magari si sentono per certi aspetti restii a momenti istituzionali e rituali perché non hanno avuto la corretta formazione per comprenderne il valore. I primi a ritornare sono stati quelli che hanno vissuto il digiuno come un’assenza di qualcosa d’importante. Molti non sono tornati non perché avessero problemi con una dimensione liturgica ma avevano paura del Covid o perché essendo persone molto fragili avevano ricevuto l’invito a essere prudenti. Ci sono poi persone – e di questo noi siamo preoccupati – che debbono recuperare l’autentico spirito del celebrare, che non è formalità, mero ritualismo, esteriorità, piuttosto il cuore dell’esperienza cristiana. Nella Sln a questa domanda si è cercato di dare qualche risposta, intanto, chiedendo di valorizzare la bellezza e la semplicità della liturgia.

La pandemia ci ha molto scosso e provato, ma anche invitato a ritornare a quello che è essenziale.

Anche nel nostro celebrare c’è un essenziale che deve essere curato, che non ammette distrazioni da parte di chi presiede e di tutta la comunità che deve vivere, partecipare, animare una liturgia. Quindi una cura a celebrare con quell’ordine che manifesta una semplicità e una dignità che permette a tutti di vivere un’esperienza importante. In questa ripartenza, dobbiamo fare in modo che nelle celebrazioni tutti si possano sentire a casa, non tanto per un ambiente superficialmente familiare: nella liturgia ci deve essere la consapevolezza di quello che si sta pregando perché appartiene a tutti. Ciò permette di non farci sentire fuori posto, ma di essere a casa nostra. Inoltre, l’accoglienza in chiesa, dovuta in questo momento per motivi sanitari, ci insegna che, anche dopo il Covid, sarà importante trovare sulla porta qualcuno che accoglie, saluta, aiuta le persone più fragili a trovare posto, regala un sorriso. Sono apparentemente piccole cose, ma sono quelle che rendono una celebrazione non una funzione a cui passivamente assistere, quanto un’azione familiare a cui partecipare.

Allo sbilanciamento generazionale delle assemblee come si può rispondere?

Nella ripartenza nelle celebrazioni i giovani sembrano i grandi assenti, se non altro quantitativamente, ma mancano anche delle fasce di adulti. La parte più consistente, invece, è costituita da “diversamente giovani”. Questo deve preoccuparci e nella Sln se n’è parlato, tanto che i giovani sono stati oggetto di una piccola tavola rotonda. La risposta è stata: non dobbiamo rincorrere i giovani diluendo lo specifico dell’esperienza cristiana in forme giovanilistiche che alla fine non soddisfano nessuno. I giovani hanno bisogno di autenticità, quindi le nostre comunità, se vogliono aprirsi e accogliere i giovani, devono cercare di vivere il Vangelo senza compromessi, senza sconti. I giovani su questo, giustamente, sono molto esigenti. Inoltre, è necessario che la vita delle nostre comunità non sia attenta ai giovani, ma sia una vita anche “con” i giovani, per farli sentire parte integrante. Il loro posto non è una gentile concessione ma è un posto importante di cui c’è bisogno. Gli anziani, gli adulti, i bambini hanno bisogno della presenza dei giovani.

Nel suo messaggio alla Sln, il Papa ha suggerito di individuare linee di pastorale liturgica per evitare la marginalità della domenica, dell’assemblea eucaristica, dei ministeri…

Il Papa saggiamente ha chiesto degli orientamenti, non ricette, perché queste non solo non ci sono ma sarebbe presuntuoso cercarle o peggio proporle. Lo spirito che ha animato la Settimana è stato in linea con il messaggio del Papa che ha usato parole molto chiare per dire il pericolo che c’è: la marginalità di quanto invece deve stare al centro. Ma questa consapevolezza, durante la Sln, non è diventata – in questo ci sentiamo di aver interpretato bene il Papa – lamentazione sterile, un ripiego nostalgico del passato, ma si è  cercato con umiltà di individuare alcune prospettive. Non possiamo riprendere il cammino come prima; dobbiamo essere coraggiosi nell’affrontare in modo nuovo quello che per noi rimane essenziale, non tanto dando sfogo a chissà quale creatività, quanto piuttosto valorizzando e cercando vie nuove per proporre quello che in fondo è la consegna del Signore. Infatti, il convenire domenicale, il ritrovarsi intorno alla Parola e al Pane di vita è quello che ha chiesto il Signore: “Fate questo in memoria di me”. La Chiesa non può che rimanere fedele su questo. Perciò, la Sln non finisce ma la riflessione, con gli stimoli interessanti e forti che sono stati dati a Cremona, dovrà continuare.