Vita Chiesa

Simposi rosminiani, mons. Galantino: «Superare forme di colonialismo ideologico»

«Solo un recupero della centralità della persona permette di oltrepassare e superare quelle forme di colonialismo ideologico, dalle quali in più occasioni ci mette in guardia Papa Francesco». Lo ha detto questa mattina monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, intervenendo a Stresa al XVI corso dei Simposi rosminiani. «Porsi sulle tracce dell’umano – come suggerisce il titolo di queste giornate, per coniugare insieme persona, psiche e società, alla luce dell’illuminato insegnamento di Antonio Rosmini – rappresenta per noi, e indirettamente per tutta la comunità civile e cristiana, una grande fonte di arricchimento», anche nella prospettiva del «cammino della Chiesa italiana verso Firenze». Gli scritti rosminiani «non solo ci offrono un’indagine sulla persona e la sua specificità, ma costituiscono, al tempo stesso, un inno alla sua dignità, un’esortazione a compierne le istanze, una lode della sua mirabile elevatezza. Al contrario – possiamo riconoscere senza facili allarmismi, nella nostra epoca – solo in apparenza si ama l’uomo e ci si pone al suo servizio». In realtà, ha osservato mons. Galantino, «la persona è ed è stata spesso asservita a logiche disumane e disumanizzanti, che ne fanno un ingranaggio, ma non il fine, piegandolo a logiche di guadagno e di potere».

«Perdendo il senso di Dio – e questo era il costante rimprovero di Rosmini al suo tempo – va perso il senso dell’uomo stesso, perché lo si osserva da una prospettiva parziale; non sbagliata, semmai, ma incompleta e per questo ugualmente dannosa», ha spiegato mons. Galantino. Dunque, «non è falso che l’uomo debba godere dei beni del corpo, è falso però che questi siano il motivo principale del suo esistere; non è falso, ma vero, che il benessere interiore sia importante per l’equilibrio dell’essere umano, ma è dannoso pensare che ciò possa andare a scapito di altri individui o che si possano per questo tollerare abusi e disuguaglianze». Per il presule, «è senza dubbio il materialismo la maggiore piaga del nostro tempo, che porta con sé utilitarismo ed edonismo, con i quali i costumi e il vivere associato si corrompono, a detrimento degli stessi individui. Non bisogna però trascurare l’opposta deviazione, di fare solo dell’anima o dello spirituale la vera essenza dell’uomo». È «un problema di sempre, che ai nostri giorni si rivela in tante pratiche spiritualistiche (e non spirituali), nella ricerca di emozioni e stati d’animo sganciati dalla concretezza della vita; ma anche nell’opposto della manipolazione del corpo, a fini ben più che estetici, con la quale si sottopone il fisico a storpiature e modificazioni permanenti: anche in queste pratiche il corpo è trattato come un mero strumento».

In Rosmini c’è un richiamo a evitare «gli estremi del sensismo e del materialismo, dello spiritualismo e dell’idealismo», ma anche a «non enfatizzare la capacità intellettiva a scapito di quella volitiva, o viceversa». L’intelletto, per Rosmini, «ha un ovvio primato, in quanto percepisce l’Essere e quindi l’oggettivo e l’Assoluto, generando la capacità razionale e la libera volontà. È in quest’ultima però che si manifesta appieno l’essenza dell’uomo, che giunge al suo vertice nella libertà». Della persona «si deve cogliere l’unità» ed «è l’arte che impariamo da Rosmini e che dobbiamo insegnare: quella di misurare i pensieri e le azioni, comprendendo che una lieve deviazione fa perdere il punto di appoggio del proprio cammino e può avere conseguenze gravi». Ma è «nell’agire morale, vero punto di approdo delle considerazioni sull’unità e centralità della persona, che si manifesta la correttezza dell’antropologia assunta e si raccolgono i frutti di una visione integrale o, al contrario parziale e interessata». «La visione antropologica integrale», per mons. Galantino, «deve tradursi, per essere realmente a servizio dell’uomo, in un nuovo ordine sociale, in grado di tutelare e promuovere realmente la persona umana». A tal fine, «i diversi saperi sono chiamati non solo a un’interazione reciproca, ma anche a porsi a servizio del diritto, quale strumento sommo di organizzazione della società umana».

Facendo «tesoro» del costante richiamo di Rosmini, «il diritto andrà inteso come relativo alla persona, come il mezzo per difenderla e svilupparla – ha avvertito il segretario generale della Cei -. A fronte di una sorta di ‘nichilismo giuridico’ che, enfatizzando i diritti a scapito del ‘diritto’, fa spesso delle leggi un mero accordo tra interessi contrapposti, piegandole a logiche di interesse e di mera utilità, il pensiero giuridico deve rinnovarsi alla luce di un autentico personalismo, qual è quello elaborato dal Roveretano, che fa di lui un anticipatore del Vaticano II e in particolare della Costituzione Gaudium et Spes». L’unità e centralità della persona trovano qui «la loro conferma e la loro necessaria espansione. Vedere la persona in modo unitario e concepirla come il centro del mondo e del reale significa non solo elaborare una teoria conforme alla sua dignità, ma anche riconoscere la persona come diritto sussistente». Perciò, «davanti alla caduta di tensione etica, sociale, politica e civile, denunciata da Rosmini e riscontrabile anche ai nostri giorni, dobbiamo riaffermare i diritti della persona e ripensarli alla luce di un’antropologia integrale, per riportarli nell’alveo di una vera promozione umana ed evitare che ‘impazziscano’, come denunciato da Benedetto XVI, volgendosi contro l’uomo».