Vita Chiesa

Sinodo, la relazione del card. Erdõ: «La famiglia non è un modello fuori corso»

Oggi, l’analisi del porporato, «molti percepiscono la loro vita non come un progetto, ma come una serie di momenti nei quali il valore supremo è di sentirsi bene di stare bene», e così «ogni impegno stabile sembra temibile, l’avvenire appare come una minaccia». «Anche i rapporti sociali possono apparire come limitazioni e ostacoli», volere il bene di un’altra persona «può richiedere anche rinunce», e «l’isolamento è spesso collegato con questo culto del benestare momentaneo». «La fuga dalle istituzioni – ha detto il relatore generale – si presenta come segno di individualizzazione, ma anche come sintomo di crisi di una società ormai appesantita di formalismi, obbligazioni e burocrazia». La fuga dalle istituzioni, quindi, «come segno di povertà, di debolezza dell’individuo» di fronte alla complessità delle strutture.

Non è «fuori corso». La famiglia «incontra certamente oggi molte difficoltà, ma non è un modello fuori corso», ha detto il card. Erdő, secondo il quale «gli aspetti specifici della dottrina e del magistero della Chiesa sul matrimonio e la famiglia non sono sempre sufficientemente conosciuti dai fedeli», e «tale dottrina spesso non è seguita nella prassi». «Questo non significa – ha puntualizzato il cardinale – che la dottrina sia messa in discussione in linea di principio dalla stragrande maggioranza dei fedeli e dei teologi». «Ciò vale in particolare – ha sottolineato – per quanto riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la sua sacramentalità tra battezzati. Non viene messa in questione la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio in quanto tale, essa è anzi incontestata e nella maggior parte osservata anche nella prassi pastorale della Chiesa con le persone che hanno fallito nel loro matrimonio e che cercano un nuovo inizio». «Non le questioni dottrinali, ma le questioni pratiche, inseparabili d’altro canto dalle verità della fede, sono in discussione in questo Sinodo, di natura squisitamente pastorale», ha puntualizzato il relatore generale. Di fronte ai «segni dei tempi», ha aggiunto, il Vangelo della famiglia si presenta come «un rimedio», una «verità medicinale» che va proposta «ponendosi nell’angolazione di coloro che fanno più fatica a riconoscerla e viverla».

«Nessun catastrofismo». «Non c’è motivo all’interno della Chiesa per uno stato d’animo di catastrofismo o di abdicazione». Per il card. Erdõ «esiste un patrimonio di fede chiaro e ampiamente condiviso, dal quale l’Assemblea sinodale può partire, di cui si dovrebbero rendere più universalmente consapevoli i fedeli attraverso una più profonda catechesi sul matrimonio e la famiglia. Sulla base di questa fondamentale convinzione è possibile una riflessione comune sui compiti missionari delle famiglie cristiane e sulle questioni della giusta risposta pastorale alle situazioni difficili».

Strutture di peccato ostili alla famiglia. Per il relatore generale, in particolare, «sarebbe auspicabile che il Sinodo, partendo dalla comune base di fede, guardasse al di là della cerchia dei cattolici praticanti e, considerando la situazione complessa della società, trattasse delle obiettive difficoltà sociali e culturali che pesano oggi sulla vita matrimoniale e familiare». «Non abbiamo a che fare solo con problemi di etica individuali, ma con strutture di peccato ostili alla famiglia – ha affermato il cardinale – in un mondo di disuguaglianza e di ingiustizia sociale, di consumismo da una parte e di povertà dall’altra». «Il rapido cambiamento culturale in tutti gli ambiti trascina le famiglie, che sono la cellula fondamentale della società, in un processo di stravolgimento che mette in questione la tradizionale cultura familiare e spesso la distrugge», il grido d’allarme del card. Erdõ: «D’altra parte, la famiglia è quasi l’ultima realtà umana accogliente in un mondo determinato pressoché esclusivamente dalla finanza e dalla tecnologia. Una nuova cultura della famiglia può essere il punto di partenza per una rinnovata civiltà umana».

«La misericordia non toglie gli impegni che nascono dalle esigenze del vincolo matrimoniale», ha precisato il card. Erdõ, nella parte della sua relazione dedicata alle «situazioni matrimoniali difficili. «Questi – ha detto – continuano a sussistere anche quando l’amore umano si è affievolito o è cessato. Ciò significa che, nel caso di un matrimonio sacramentale (consumato), dopo un divorzio, mentre il primo coniuge è ancora in vita, non è possibile un secondo matrimonio riconosciuto dalla Chiesa». La «vera urgenza pastorale», ha detto il relatore generale a proposito delle situazioni matrimoniali difficili, «è permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale». Di qui la necessità di una «rinnovata e adeguata azione di pastorale familiare», che sappia «sostenere i coniugi nel loro impegno di fedeltà reciproca e di dedizione ai figli, riflettere sul modo migliore di accompagnare le persone» in difficoltà, «in modo che non si sentano escluse dalla vita della Chiesa», e «individuare forme e linguaggi adeguati per annunciare che tutti sono e restano figli e sono amati da Dio Padre e dalla Chiesa madre». Compito del Sinodo è quindi offrire «linee direttrici chiare per poter aiutare quanti vivono in situazioni difficili, evitando le improvvisazioni di una ‘pastorale del fai da te’».

Divorziati risposati «solo un problema nel grande numero di sfide». «Quello dei divorziati risposati civilmente è solo un problema nel grande numero di sfide pastorali oggi acutamente avvertite», ha fatto notare il card. Erdõ, secondo il quale «non si tratta di mettere in discussione la parola di Cristo e la verità dell’indissolubilità del matrimonio, e neanche di ritenerle di fatto non più in vigore». «Sarebbe fuorviante – ha ammonito – il concentrarsi solo sulla questione della recezione dei sacramenti». La risposta, invece, «può essere cercata nel contesto di una più ampia pastorale giovanile di preparazione al matrimonio»: serve, inoltre, «un accompagnamento pastorale intensivo del matrimonio e della famiglia, in particolare nelle situazione di crisi». Per quanto riguarda i divorziati che si sono risposati civilmente, per Erdõ «bisogna tener conto della differenza tra chi colpevolmente ha rotto un matrimonio e chi è stato abbandonato. La pastorale della Chiesa dovrebbe prendersi cura di loro in modo particolare». «I divorziati risposati civilmente appartengono alla Chiesa, hanno bisogno e hanno il diritto di essere accompagnati dai loro pastori», ha affermato il card. Erdõ: «La pastorale della Chiesa deve prendersi cura di loro in modo tutto particolare, tenendo presente la situazione di ciascuno». Di qui la proposta di «avere almeno in ogni Chiesa particolare un sacerdote, debitamente preparato, che possa previamente e gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio».

Molti matrimoni celebrati in chiesa non sono validi. «Non sembra azzardato ritenere che non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi». Con queste parole il card. Erdõ ha messo l’accento sulla questione della nullità dei matrimoni, affrontata in più punti della sua relazione introduttiva al Sinodo. La proposta del cardinale è di «rivedere, in primo luogo, l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme per la dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, procedendo al secondo grado solo se c’è l’appello da una o da entrambe le parti», purché però si evitino «la meccanicità, l’impressione di concedere il divorzio» o «soluzioni ingiuste e scandalose». Il cardinale Erdõ ha anche messo l’accento su una prassi causata dalla «larga diffusione della mentalità divorzista»: «Vista la prassi dei tribunali civili che pronunciano le sentenze di divorzio – ha denunciato il relatore – accade frequentemente che le parti che celebrano un matrimonio canonico, lo fanno riservandosi il diritto di divorziare e contrarre un altro matrimonio in presenza di difficoltà nella convivenza. Tale simulazione, anche senza la piena consapevolezza, rende invalido il matrimonio». Elemento da «esaminare più approfonditamente», invece, è la prassi di alcune Chiese ortodosse, che «prevede la possibilità di seconde nozze e terze connotate da un carattere penitenziale», innanzitutto «per evitare interpretazioni e conclusioni non sufficientemente fondate».

Superare tendenza a «privatizzazione degli affetti». «Il mondo occidentale rischia di fare della famiglia una realtà affidata esclusivamente alle scelte del singolo, totalmente sganciata da un quadro normativo e istituzionale». È il grido d’allarme lanciato dal card. Erdõ, secondo il quale «una simile privatizzazione rende più fragili i legami familiari, li svuota progressivamente dal senso che è loro proprio». «Non lasciare la famiglia, le famiglie, da sole, ma accompagnarne e sostenerne il cammino», l’invito rivolto dal cardinale ai padri sinodali. «Quando questo non accade – ha ammonito – le tensioni e le inevitabili fatiche di quella comunicazione che è implicata nella vita della famiglia, nella relazione tra coniugi o in quella tra genitori e figli, possono acquistare talvolta toni drammatici, tanto da esplodere in gesti di follia distruttrice. Dietro le tragedie familiari c’è molto spesso una disperata solitudine, un grido di sofferenza che nessuno ha saputo scorgere». «Perché si possa veramente accogliere la vita nella famiglia e averne cura sempre, dal concepimento fino alla morte naturale, è necessario ritrovare il senso di una solidarietà diffusa e concreta», ha detto il cardinale, esortando ad «attivare a livello istituzionale le condizioni che rendano possibile questa cura facendo cogliere la nascita di un bambino, così come l’assistenza a un anziano, quale bene sociale da tutelare e favorire».

«Riproposta positiva» del messaggio della «Humanae vitae». L’Humanae Vitae «non è soltanto la dichiarazione di una legge morale negativa, cioè l’esclusione di ogni azione che si proponga di rendere impossibile la procreazione. È il chiarimento di un capitolo fondamentale della vita personale, coniugale, familiare e sociale dell’uomo, ma non è la trattazione completa di quanto riguarda l’essere umano nel campo del matrimonio, della famiglia, dell’onestà dei costumi, campo immenso nel quale il magistero della Chiesa potrà e dovrà forse ritornare con disegno più ampio, organico e sintetico». Ha preso in prestito le parole dello stesso Paolo VI il card. Erdõ, auspicando «una riproposta positiva» del messaggio dell’enciclica, che affronta i temi dell’educazione all’affettività e della sessualità, campo in cui è necessario da parte della Chiesa «evitare banalizzazioni, superficialità e forme di tolleranza che nascondono una sostanziale indifferenza e capacità di attenzione». «La vera libertà morale non consiste nel fare ciò che si sente, non si vive solo di emozioni, ma si realizza solamente nell’acquisizione del vero bene», ha ricordato il relatore, per il quale la sfida che il Sinodo deve accogliere è «riuscire a proporre nuovamente al mondo di oggi, per certi versi così simile a quello dei primi tempi della Chiesa il fascino del messaggio cristiano riguardo il matrimonio e la famiglia».