Vita Chiesa

Sinodo valdese: mons. Spreafico (Cei), «ritessere i legami sfilacciati della società»

«Noi cristiani siamo per costituzione un ‘noi’, e non tanti ‘io pavone’ che si destreggiano tra loro come se fossero ogni giorno in guerra». «E’ la nostra missione in questo tempo difficile di tanti ‘io’ contrapposti: costruire comunità, reti di relazioni e di amicizia, attorno all’Evangelo del Nostro Signore, segnate dal suo amore e dalla sua predilezione per i poveri, ritessere i legami sfilacciati della società». Lo ha detto questa mattina mons. Ambrogio Spreafico, vescovo della diocesi di Frosinone e presidente della Commissione per il dialogo e l’ecumenismo portando i saluti della Cei, al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi in corso da ieri a Torre Pellice (Torino), capoluogo delle «Valli valdesi» del Piemonte. «Ci troviamo in un tempo difficile – osserva il vescovo – davanti a donne e uomini a volte imprigionati dalla paura, da una rabbia e da un rancore che devono trovare ogni giorno qualcuno con cui sfogare il proprio risentimento, fossero gli stranieri, i rom, i poveracci, oppure persino il vicino o il parente che ti hanno infastidito con il loro comportamento». «Prendersela con qualcuno è la scelta quotidiana di molti», incalza mons. Spreafico che definisce il mondo dei social come «nuovo mercato dell’insulto e della condivisone dello scontro» dove gesti e parole «rendono sempre più difficile una convivenza pacifica pur nella differenza di ognuno».

Il vescovo torna a ribadire che «insultare o anche solo condividere sui social un insulto è peccato e deve essere confessato» ma ammette purtroppo che «questo modo di vivere sta diventando sempre più l’attitudine di donne e uomini che non si ascoltano e non si parlano, e quindi vedono istintivamente in ognuno un possibile rivale o persino un nemico». Da qui l’appello agli «amici» delle Chiese metodiste e valdesi in Italia ad essere costruttori di ponti. «Non possiamo rinunciare a questo impegno, soprattutto oggi, altrimenti saremo fagocitati dall’omologazione di un mondo che ci vorrebbe donne e uomini che sfuggono e rifiutano la diversità che li caratterizza e cercano solo «cloni» con cui vivere la loro povera vita».

Nel suo saluto, mons. Spreafico ha anche fatto riferimento al lavoro che in questi anni le Chiese hanno fatto insieme generando una storia nuova di amicizia, «comune impegno e «reciproca conoscenza» ed ha parlato del progetto «profetico» dei corridoi umanitari promossi insieme. Ed ha detto: «l’iniziativa dei «Corridoi umanitari» non è solo un’azione benefica, bensì profezia di un mondo, dove le migrazioni fanno parte di quelle tragiche conseguenze di ripetute azioni che stanno mettendo in discussione l’armonia del creato, dove le guerre, la povertà, la violenza e le ingiustizie non permettono a molti di continuare a vivere là dove sono nati».