Vita Chiesa

“Speranza, la parola che dobbiamo dire a noi e agli altri”, la lettera alla Diocesi di mons. Roncari, vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello

LETTERA DEL VESCOVO PER L’AVVENTO 2020

 

“Venite adoriamo il Signore che viene per noi”

 

Alla nostra Chiesa di Pitigliano-Sovana-Orbetello.

 

Cari fratelli e sorelle,

Iniziamo un nuovo anno liturgico, un nuovo anno della nostra vita cristiana. Come è noto la Chiesa celebra l’inizio dell’anno la prima domenica di Avvento: l’anno del Signore 2020-2021. Non si tratta di una curiosità di calendario ma di una precisa scelta che vede nell’Incarnazione di Cristo il vero inizio della storia che include anche l’attesa (Avvento) dei nostri padri, di coloro che vissero prima del Cristo storico ma non per questo esclusi dalla salvezza.

Iniziamo il nuovo anno che si presenta confuso e incerto per la tristemente nota pandemia.

Non desidero in questo momento sottolineare i problemi e le difficoltà di ogni genere già ampiamente evidenziati dai mass-media e dall’opinione pubblica. Se non ne parlo in maniera specifica, non significa che li sottovaluti ma solo che voglio considerarli sotto una angolatura tutta particolare.

 

Desidero rivolgervi gli auguri per il nuovo anno, accompagnati da una riflessione suggerita dalla emergenza che viviamo: quale parola vera noi cristiani possiamo e dobbiamo dire a noi stessi prima di tutto e anche ad altri che vogliano ascoltarla?

Questa parola si chiama speranza

Parola pericolosa e può essere facilmente fraintesa. Eppure è parte essenziale del messaggio e della testimonianza evangelica.

“Sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).

Dal punto di vista cristiano dobbiamo ben distinguere la speranza dal desiderio ( andrà tutto bene…) dalla provabilità, da un augurio… atteggiamenti psicologici degni di rispetto ma ancora lontani dalla speranza cristiana.

C’è un altro equivoco più insidioso e subdolo: la speranza confusa con l’illusione. E qui il terreno diventa davvero scivoloso e il possibile inganno è davvero dietro l’angolo.

Questo fraintendimento accompagna la storia dell’uomo da sempre. Da lontani ricordi liceali mi vengono in mente le parole di Prometeo (Eschilo) che proclama:

“Ho liberato gli uomini dalla ossessione del Destino”; e il coro chiede: “E quale rimedio hai dunque scoperto contro questo male?”. Risponde: “Ho posto dentro di loro le cieche speranze”.

Il poeta Ovidio definisce la speranza dea ingannevole ma che fa così del bene…

Espressa in altri termini è la critica che una certa cultura rivolge al cristianesimo: la fede-speranza come un anestetico, illusorio, per sopportare la vita per difendersi dai fallimenti e in definitiva dalla morte.

Allora che cosa è la speranza cristiana?

Ha un nome e un volto: si chiama Gesù. La sua storia e la sua parola sono il fondamento della nostra speranza.

Possiamo riassumere così l’insegnamento espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1817-1821):

✔️La speranza cristiana nasce da un fatto: nacque da Maria Vergine…patì sotto Ponzio Pilato… è risorto il terzo giorno.

✔️La realtà di questi avvenimenti, frutto della fedeltà di Dio alle sue promesse, ci permette di guardare il futuro… di nuovo tornerà nella gloria… nell’attesa della beata speranza…

✔️Lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori-coscienze – qui e ora nei sacramenti – mantiene viva la speranza purificandola e insegnandoci a sperare in Dio piuttosto che sperare qualcosa da Dio, cioè imparare a fidarsi di Dio.

Quest’ultima affermazione va ben capita. Non è certo sbagliato chiedere, e quindi sperare, i beni necessari per la vita (dacci oggi il nostro pane quotidiano…), ma prima di tutto rivolgendoci con fiducia al Padre che è nei cieli, dobbiamo chiedere che venga il suo regno e sia fatta la sua volontà “e tutte queste cose vi saranno dare in aggiunta” (Mt 6,33). In altre parole, la speranza come la fede e la carità devono essere uno stile di vita e non momenti occasionali e sporadici. È necessario un cammino di formazione cristiana che ci renda uomini e donne della speranza.

Se la speranza non è una illusione, un effetto placebo, ma come detto sopra è un nome e un volto, la persona di Gesù e la sua storia, in che modo è diventato la nostra speranza?

Leggiamo insieme questa profonda pagine di sant’Agostino:

“Come è diventato la nostra speranza? Ecco voi lo avete udito: perché è stato tentato, ha patito, è risorto. Per questo è diventato la nostra speranza. Che cosa ci diciamo, infatti, quando leggiamo queste cose? Che Dio non vuole la nostra rovina, se per noi ha mandato il Figlio suo ad essere tentato, a essere crocifisso, a morire a risorgere; che Dio non può tenerci in nessun conto, se per noi non ha risparmiato il Figlio suo ma lo ha consegnato per tutti noi.

È così che è diventato la nostra speranza. In lui tu puoi vedere la tua fatica e la tua ricompensa: la tua fatica nella passione, la tua ricompensa nella resurrezione. (…) Con le sue fatiche, le tentazioni, i patimenti, la morte Cristo ti ha fatto vedere la vita in cui sei, con la resurrezione ti ha fatto vedere la vita in cui sarai. Noi sapevano solo che l’uomo nasce e muore, ma non sapevamo che risorge e vive in eterno. Egli ha preso ciò che conoscevi e ti ha fatto vedere ciò che non conoscevi. Per questo è diventato la nostra speranza nelle tribolazioni e nelle tentazioni” (Commento ai Salmi, 60,4).

Testimoniare la speranza

Rendere ragione della speranza che è in noi, come ci insegna l’apostolo Pietro, non significa esporre semplicemente una teoria filosofica-teologica, come non è una teoria la vita, la croce, la Pasqua di Gesù. Credere che Gesù sia la nostra speranza significa imitarne la vita, i gesti, le intenzioni, le scelte: “Se mi amate osserverete i miei comandamenti… Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,15.21).

 

Vorrei indicare alcuni cammini per imitare Gesù nostra speranza. Il termine cammino indica la pazienza e la perseveranza necessarie per essere discepoli autentici del Signore Gesù.

Ricordiamo che pazienza e speranza nel Nuovo Testamento sono spesso usate come sinonimi tanto sono legate insieme.

La pazienza senza speranza è dura rassegnazione ad un destino contro il quale è inutile lottare.

La speranza senza pazienza, cioè senza affrontare la vita con i suoi problemi e con le sue sfide, è pura illusione.

Riflettiamo insieme su cammini importanti per la nostra testimonianza cristiana.

Riprendo tre aspetti già presentati nella Lettera Pastorale del 21 settembre 2019, li considero decisivi per la nostra vita cristiana e per rendere concreta la nostra speranza:

✔️ Impegnarsi per la giustizia.

Non si tratta semplicemente della giustizia amministrata dal tribunale e della giustizia distributiva per quanto fondamentali possano essere nella vita della società civile. Ma di una giustizia “che supera quella degli scribi e farisei“ (Mt 5,20), perché nasce da una profonda fede in Dio padre e creatore di tutti, come professiamo nel Credo, e quindi considera ogni persona figlia di Dio e coinvolta nella storia redentiva di Gesù Cristo: “Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, dobbiamo perciò ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità, di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale” (Gaudium et Spes 22). Dobbiamo dunque considerare la inalienabile dignità della persona umana fondata sulla nostra fede, e riconoscere in tutti, specialmente nei poveri e nei piccoli la presenza del Signore. E questa è una profonda opera di giustizia e di speranza.

✔️ Impegnarsi al servizio del prossimo nella vita quotidiana:

la preghiera di intercessione che tutti possiamo fare; la presenza attiva nel volontariato, nella Caritas diocesana e parrocchiale. L’attenzione a quei gesti umili e nascosti che contribuiscono a migliorare la vita delle persone. Questi gesti che sembrano quasi inutili tante e così gravi dinanzi alle quali si prova quasi un senso di impotenza e la tentazione di lascia perdere… ed è qui che la speranza deve aiutarci a non lasciarci vincere dallo sconforto e dalla negativa rassegnazione.

Leggiamo dall’Evangelii Gaudium: “L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo (…). L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dalla appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri“ (88)

✔️ Il perdono cristiano è il terreno propizio per far crescere e testimoniare la speranza.

Dobbiamo sempre chiarirci con l’esperienza della vita il significato autentico del perdono cristiano che non significa semplicemente dimenticare, oppure, con un senso di superiorità guardare l’offensore dall’alto: io sono capace di perdonare… tu no…, oppure perdonare se prima ci viene chiesto scusa… atteggiamenti umani, che non vuol dire necessariamente sbagliati, ma non costituiscano il perdono cristiano. Questo nasce da un evento di cui siamo partecipi, da un dono ricevuto: “Mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi“ (Rm 5,8). Per arrivare al perdono cristiano è necessario un cammino lungo e paziente che la virtù della speranza ci permette di compiere. Questa esperienza profondamente interiorizzata ci rende capaci di rispondere all’amore gratuito di Dio in Cristo Gesù che mi ha amato e ha dato se stesso per me (cf Gal 2,20).

 

Fratelli e Sorelle,

il nuovo anno liturgico e civile, segnato dalla tribolazione e da tanti problemi personali e sociali, è una sfida per la nostra fede cristiana: accogliamola come una occasione, anche se spinosa, di crescere insieme nella nostra vita ecclesiale.

Abbiamo dovuto rinunciare a tanti momenti di vita ecclesiale insieme e forse a tanti altri dovremo rinunciare ma rimaniamo “lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera“ (Rm 12,12). E questa è autentica vita cristiana!

Facciamo quello che possiamo: spesso usiamo questa espressione in tono rassegnato e remissivo, prendiamola invece nel senso più profondo e impegnativo: interrogata la mia coscienza e la situazione concreta che cosa posso fare insieme agli altri, insieme alla mia chiesa…

Quando le circostanze lo permetteranno, riprenderemo anche i nostri incontri parrocchiali, vicariali e diocesani. Confermo il mio desiderio di incontrare tutti i consigli pastorali parrocchiali.

Un evento particolare coinvolge anche la nostra diocesi: i trecento anni dell’inizio della esperienza religiosa di san Paolo della Croce. Insieme i Padri Passionisti vogliamo vivere questo momento di grazia con opportune iniziative.

Mi riservo di parlarvene insieme ai Padri Passionisti in un successivo momento.

Buon anno!

Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo (cf Rm 15,13).

Pitigliano, 29 novembre 2020

Prima domenica di Avvento

+ P. Giovanni, vescovo

La lettera è disponibile anche sulla pagina ufficiale facebook della Diocesi (@diocesipitigliano)