Vita Chiesa

Stanchi ma felici: migliaia di giovani a Roma per incontrare il Papa


Camminare insieme, «attraverso luoghi di spiritualità, sulle orme dei santi, ascoltando messaggi forti, fa bene», dice convinto don Marcello Palazzi, incaricato della pastorale giovanile dell’Emilia-Romagna. Innanzitutto perché, osserva don Nicola Ban, del Triveneto, «permette di conoscere le persone nella loro verità, accoglierle come sono, avere una meta e canalizzare le energie per raggiungerla, dare un senso ai luoghi e rileggerli, al di là delle informazioni turistiche e storiche, per la nostra vita».

E poi perché «insegna a vivere il senso della comunità», gli fa eco don Antonio Scigliuzzo, del Lazio. Se c’è un elemento, ad esempio, che ha colpito favorevolmente i giovani è stato «vedere sacerdoti, religiose, frati e vescovi che camminavano con loro, senza confondersi ma vivendo lì il proprio ministero», afferma don Federico Palmerini, dell’equipe di pastorale giovanile della diocesi dell’Aquila (Abruzzo-Molise), che definisce quella dei pellegrinaggi «una bella esperienza di comunione interdiocesana e tra carismi diversi».





Un’occasione per sperimentare la comunione e lavorare in sinergia. L’iniziativa «Per mille strade», lanciata dal Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Cei in vista del Sinodo di ottobre, ha permesso infatti di «gustare la bellezza dell’ecclesialità e della collaborazione tra realtà giovanili diverse e variegate, pur appartenenti alla stessa regione», rileva don Ivan Rauti, della Calabria. Dimostrando, gli fa eco don Paolo Sabatini, delle Marche, che «è possibile fare insieme». Del resto, aggiunge l’incaricato marchigiano,

«la scuola di comunione è quella che si sperimenta nel pellegrinaggio: ci si attende, ci si rincorre, ci si cerca, ci si vuole bene».



Questa esperienza, poi, «va oltre quello che si vede, perché i ragazzi sono consapevoli che ci sono tantissimi altri coetanei che, in altri luoghi, stanno facendo un cammino», evidenzia don Samuele Marelli, della Lombardia, per il quale i diversi itinerari hanno consentito di «vedere, ascoltare, vivere la fraternità».



 



La bellezza dei luoghi e dei simboli della fede. Del resto, nei loro tragitti (a piedi, ma anche in bici e in canoa) i giovani hanno avuto modo di toccare con mano «la bellezza di sentieri e località che, pur non lontani da casa nostra, non conoscevamo», come sottolinea don Alberto Gastaldi, della Liguria, o di luoghi significativi dei propri territori, quali abbazie, santuari, chiese che custodiscono tesori e reliquie. Come la Sindone. «A Cracovia, Papa Francesco ci aveva invitato a lasciare un’impronta. Per questo abbiamo deciso di mettere al centro del pellegrinaggio la Sindone, di contemplare cioè l’amore di Cristo e diventare a nostra volta segno della presenza di Dio», dice don Luca Ramello, del Piemonte, ricordando che questa sera ci sarà un’ostensione straordinaria a conclusione dei viaggi in terra piemontese.





L’incontro con le persone e la fragilità. I pellegrinaggi, però, sono stati anche occasione di incontro, con le storie e i volti delle persone, specialmente di quelle più deboli e in condizioni di fragilità. Ecco allora, racconta don Renato Barbieri, della Toscana, che i ragazzi si sono sentiti «allievi» e si sono «arricchiti mettendosi a servizio degli altri ed entrando in contatto con la fragilità», tra i malati al Cottolengo, i poveri nelle mense della Caritas, gli anziani nelle case di riposo, i detenuti del carcere minorile, i migranti accolti da una famiglia, in mezzo ai senza tetto e alle prostitute. «La dimensione del viaggiare ti porta ad incontrare le persone, a guardarti intorno, a riflettere.

 Ti lamenti perché per mangiare devi fare la fila, ma poi qualcuno ti fa pensare che altri sarebbero ben contenti di farla quella fila pur di poter avere un po’ di cibo.

E che la fatica che stai facendo a camminare non è nulla rispetto a quella che affrontano i profughi nei loro viaggi», è l’analisi di don Francesco Riccio, della Campania, che ha accompagnato i giovani nella Terra dei fuochi, nel carcere minorile di Nisida, nel rione Montesanto a Napoli, attraverso le periferie reali ed esistenziali della regione per «provare a riconoscere le opportunità di un territorio conosciuto più per i suoi lati negativi ed essere protagonisti del suo riscatto».

Sono stati all’insegna dell’integrazione e di quella «convivialità delle differenze» di cui parlava don Tonino Bello, il vescovo degli ultimi, impegnato per la pace, i cammini della Puglia: «sarebbe stato un cammino finto – chiarisce don Davide Abascià, incaricato regionale – se non ci fossero stati con noi i migranti, che non sono dei fantasmi, ma persone che vivono nelle nostre città, moltissimi dei quali frequentano le nostre parrocchie».

 

La dimensione sociale non poteva non riguardare i gruppi della Sicilia che, lungo i percorsi e specialmente in alcune tappe come quella di Corleone e di Palermo, hanno affrontato temi importanti, come la legalità, l’impegno civile e quello a difesa dell’ambiente, sperimentando, assicura il delegato regionale, don Gaetano Gulotta, che le loro città non sono «solo mafia, ma sono luoghi di accoglienza e di generosità».





Un toccasana per le comunità. Se dunque per i giovani è stato «un bel momento di formazione», per le comunità locali è stato «un vero toccasana», afferma don Carmine Lamonea, della Basilicata. «Nel nostro territorio, il Sinodo ha rimesso in moto molte pastorali giovanili. Gli incaricati hanno lavorato molto per motivare i parroci, le realtà locali e i ragazzi e prepararli al meglio», spiega don Enrico Perlato, della Sardegna, sottolineando che i Cammini e la partecipazione all’incontro di Roma sono frutto di un lavoro quotidiano, durato l’intero anno. Da Nord a Sud, i giovani sono stati accolti a braccia aperte, con grande generosità e calore, da comuni e da parrocchie. In alcuni casi, il passaggio di migliaia di ragazzi ha «ridestato le domande di senso nella gente», conclude don Riccardo Pascolini, dell’Umbria. Perché, sintetizza, «una Chiesa in cammino riesce ad interrogare l’uomo della strada». E questo è solo uno dei primi effetti di «Per mille strade».