Vita Chiesa

Summit abusi in Vaticano: p. Lombardi, 190 i partecipanti. Incontro con rappresentanti delle vittime

«Visto che diversi gruppi e associazione di vittime di abusi sono presenti a Roma durante l’incontro, il Comitato organizzativo ha deciso di riunirsi, prima dell’incontro, con un gruppo di rappresentanti delle vittime di diversi Paesi, continenti a associazioni, per esprimere con libertà le loro opinioni, attese, desideri». Ad annunciare – durante la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, svoltasi presso la Sala Stampa della Santa Sede – una sorta di prologo all’incontro su «La protezione dei minori nella Chiesa», in programma in Vaticano dal 21 al 24 febbraio, è stato padre Federico Lombardi, nominato dal Papa moderatore del «summit» che vedrà la partecipazione di 190 persone, tra presidenti delle Conferenze episcopali o loro rappresentanti – 114 in totale dai cinque continenti -, 14 capi delle Chiese orientali, 12 religiosi e 10 religiose, a cui vanno aggiunti una decina di capi Dicastero attinenti alla questione, il sostituto e il segretario per i rapporti con gli Stati, 5 membri del Consiglio di Cardinali che non rientrano nei presidenti delle Conferenze episcopali, 4 membri dell’organizzazione e i 9 relatori dell’incontro, 3 per ogni giornata.

«Non è previsto né è stato pensato un incontro con il Santo Padre», ha precisato Lombardi rispondendo alle domande dei giornalisti sull’incontro previo con le vittime, di cui non è stato comunicato né il luogo, né il tempo, né il nome delle vittime di abusi che parteciperanno, «per garantire la serenità delle persone stesse», ha precisato il moderatore. «Orecchie aperte e disponibilità a ricevere tutti i messaggi che ci giungeranno in questi giorni»: così Lombardi ha sintetizzato l’atteggiamento di ascolto delle vittime, che è la priorità e il punto di partenza dell’iniziativa voluta dal Papa per contrastare gli abusi nella Chiesa. «È importante renderci conto che c’è un attesa, verso l’incontro dei prossimi giorni, che nasce da una grande sofferenza reale, che non va vista come qualcosa di ingiustificato».

Diffondere elenchi delle vittime? «Io credo che arriveremo al punto di farlo». Così mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e membro del Comitato organizzativo dell’incontro su «La protezione dei minori della Chiesa», ha risposto alle domande dei giornalisti sul numero degli abusi commessi da parte del clero. «Ne ho parlato con il card. Ladaria, non è contrario», ha reso noto l’arcivescovo, che è segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede: «Io credo che arriveremo a diffondere» un elenco delle vittime, la previsione di Scicluna, che però ha precisato: «Non basta pubblicare i numeri, ci vuole uno studio approfondito per dare un contesto». A questo proposito, Scicluna ha citato «Come una madre amorevole», il Motu Proprio emanato nel 2016 da Papa Francesco in cui «il Papa ha già dato un procedura» precisa per arrivare alla denuncia dei casi. In merito a tale questione, ha proseguito Scicluna, «non abbiamo informazioni statistiche: il problema è eseguire la legge, creare una cultura nelle diocesi che dia sostegno». Il termine usato da Scicluna per descrivere l’obiettivo di una simile sensibilizzazione culturale è «empowerment», che implica «non solo il dovere, ma anche il poter fare qualcosa». «Se un pastore non fa bene il suo lavoro, c’è una procedura per denunciare: i vescovi sono i garanti che la voce del popolo arrivi nei loro rispettivi Paesi. Il fatto che siano loro il tramite di questa collaborazione è essenziale».

«L’omosessualità di per sé non è una causa». A rispondere in questi termini ad una domanda sul fatto che più dell’80% delle vittime degli abusi, nella Chiesa, siano teenager maschi, è stato il card. Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo dell’incontro. «Credo che sia importante riconoscere il fatto che nella maggioranza dei casi le vittime degli abusi siano maschi – ha precisato Cupich – ma le organizzazioni internazionali hanno studiato profondamente questa questione: l’omosessualità di per sé non è una causa, gli abusi sono spesso una questione di opportunità, di occasione, hanno a che fare con un basso livello di istruzione». Ciò non significa, tuttavia, sottovalutare l’importanza dello screening: per dimostrarlo, l’arcivescovo di Chicago ha citato il caso degli Usa, dove il picco degli abusi si è registrato negli anni Sessanta. «Ora siamo a 5 casi di abusi all’anno in media – ha rivelato Cupich citando il dato del 2017 – di cui 4 coinvolgono i sacerdoti. Un calo notevolissimo nella cifra». «Quando si adottano i metodi di screening adeguati per i seminaristi – ha testimoniato l’arcivescovo di Chicago – si vede che i casi di abusi diminuiscono in maniera radicale».

Sull’efficacia dello screening psicologico per i candidati al sacerdozio si è espresso anche padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei Minori della Pontificia Università Gregoriana e referente del Comitato organizzativo, che ha esortato tuttavia a non assolutizzarli: «Un test psicologico o un test a domande e risposte non può mai indicare con precisione assoluta se una persona sia omosessuale o a rischio pedofilico. Certo, esiste un livello di certezza di una valutazione, ma non è possibile su basi solo psicologiche dire al cento per cento se quella persona svilupperà o meno tali atteggiamenti. Gli psichiatri, in passato, pensavano di risolvere trattando gli abusatori: dopo un anno di cura, venivano rimandati in parrocchia e ricominciavano ad abusare. Oggi uno psichiatra serio non lo fa più, proprio perché non c’è la certezza assoluta».