Vita Chiesa

TESTIMONI DIGITALI, MONS. GIULIODORI: CULTURA INCISA DALLA FEDE PER PORTARE FRUTTI

“Quando nella relazione al convegno Parabole Mediatiche, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede usò l’immagine patristica degli intagliatori di sicomoro per spiegare il rapporto tra fede e cultura, tutti restarono profondamente colpiti. L’assemblea riunita nell’aula Paolo VI fu toccata certamente dall’efficacia dell’esempio ma ancor più dalla riflessione acutissima che il Card. Ratzinger offrì sulla necessità che la cultura sia incisa in profondità dalla fede per portare frutti saporiti”: sono le parole con cui questa mattina a Roma, al convegno “Testimoni digitali” promosso dalla Cei, si è aperta la relazione di mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, sul tema “Relazioni in Rete: quale umanesimo nella cultura digitale”. Il vescovo Giuliodori ha sottolineato, usando le parole del card. Ratzinger che “il Vangelo non sta accanto alla cultura. No il Vangelo è un taglio, una purificazione che diviene maturazione e risanamento…, che esige quindi sensibilità, comprensione della cultura dal suo interno, dei suoi rischi e delle sue possibilità nascoste o palesi”.“L’indiscutibile interessamento dimostrato dalla Chiesa italiana per i nuovi fenomeni culturali scaturiti dai processi mediatici – ha proseguito mons. Giuliodori – risale ormai agli anni Novanta”, “dal Convegno di Palermo all’avvio del Progetto culturale”, dagli orientamenti pastorali per il decennio “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” fino al convegno ecclesiale nazionale di Verona. Se gli strumenti e gli eventi promossi da allora sono stati numerosi e qualificati – ha aggiunto – “non ci si può accontentare di dare una verniciatura digitale alla testimonianza cristiana illudendosi che sia sufficiente adottare qualche nuovo strumento di comunicazione per rendere l’azione pastorale più accattivante e accettata”. Il relatore ha infatti posto la domanda “verso quale umanesimo ci spinge la rete e il nuovo ambiente digitale”. “Mi sembra – ha risposto – che questo nuovo ambiente si caratterizzi in primo luogo per la sua capacità di generare un “umanesimo omogeneizzato”, nel quale “i diversi momenti della vita si intrecciano e si integrano, a volte si sovrappongono e si confondono”. Il risultato può essere – secondo mons. Giuliodori – l’“assorbimento dell’esistenza nell’una o nell’altra dimensione in modo non più equilibrato e dinamico. C’è il rischio di omogeneizzare l’esistenza attorno ad un aspetto che fagocita tutti gli altri o perlomeno li relativizza”.Il mondo digitale “può favorire un umanesimo poliedrico e quanto mai ricco di conoscenze e competenze, ma anche dissociato e frantumato”, ha poi affermato mons. Giuliodori, rilevando il rischio di “perdere l’ancoraggio gravitazionale e a girare in un orbita non più umanamente significativa”. Ha parlato a questo riguardo di un “nuovo umanesimo sociale”, quello che si va delineando con la diffusione dei “social network”, “nuove piazze virtuali dove ci si incontra e si costruiscono relazioni più o meno stabili”. Dopo aver evidenziato i rischi di spersonalizzazione e di relazioni deboli se non addirittura “false”, mons. Giuliodori ha affermato la “necessità di una ‘ecologia della rete e dell’ambiente digitale’ affinché sia fruibile da tutti, non comporti rischi e pericoli, soprattutto per le categorie più esposte e meno attrezzate ad un uso appropriato e anche critico della rete”. L’universo digitale – ha poi concluso, citando Papa Benedetto XVI nella “Caritas in veritate” – può favorire libertà, sviluppo, democrazia solo a condizione che “siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale. Infatti, nell’umanità la libertà è intrinsecamente collegata con questi valori superiori”.Sir