Vita Chiesa

Unione europea. Padre Poquillon (Comece): la nostra missione è stimolare il dialogo

Sarà un periodo delicato e turbolento quello che si vivrà quest’anno a Bruxelles nei palazzi dell’Unione europea. Nel 2019, tutti i cittadini dell’Ue saranno chiamati a rinnovare il Parlamento. Tra questi non saranno più compresi i britannici, a causa del Brexit. Padre Olivier Poquillon, segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), segue con attenzione quanto avviene dietro quei palazzi di vetro. «La nostra missione è stimolare il dialogo», dice con assoluta determinazione accogliendo il Sir nella sede della Comece. «Non siamo qui per sostituirci alla politica, né per dettare l’agenda di ciò che in Europa deve essere o non deve essere fatto, ma per accompagnare gli uomini e le donne dell’Unione europea nelle loro riflessioni. È una missione di servizio: siamo qui per servire il popolo nel quale Dio ci ho posto e cioè l’Europa». Il «dialogo»: è una delle consegne più forti lasciate da papa Francesco all’incontro di ottobre dal titolo «(Re)thinking Europe – Il contributo dei cristiani al futuro del progetto europeo».

Partiamo da qui padre Poquillon, cosa è cambiato da allora?

«Sì, si può dire che c’è stato un cambiamento. Quell’incontro non è stato un congresso quanto piuttosto un momento di dialogo. Ci siamo ritrovati in Vaticano, e cioè nel cuore dell’Europa ma fuori dall’Unione europea, vescovi e uomini politici per un confronto tra persone con vocazioni ed estrazioni culturali e geografiche diverse. Hanno accettato l’invito rappresentanti della Chiesa e leader politici europei di alto livello. È stata un’occasione straordinaria di dialogo tra ministri e deputati, vescovi e cardinali del Nord e del Sud, dell’Est e dell’Ovest del continente europeo. Dialogo non tra istituzioni fatte di numeri e di cifre ma tra uomini e donne, ciascuno con la sua storia, la sua competenza, la sua responsabilità. Il Papa non si è presentato tanto come una leadership quanto come stimolo, direi di più, come pungolo. Nei giorni seguenti all’incontro di Roma, era sorprendente vedere politici citare parte del discorso del Papa all’interno dei loro stessi discorsi».

Ci saranno le elezioni europee nel 2019. Che aria tira qui a Bruxelles?

«Già si respira un clima di campagna elettorale. Ma noi non siamo qui, come Comece, per prendere parte ad un partito piuttosto che ad un altro. La Chiesa non deve dire per chi votare. Una campagna elettorale rappresenta per noi un’occasione per sottolineare una serie di questioni che ci stanno a cuore. Sulla politica delle migrazioni e dell’asilo, per esempio, poniamo alcuni interrogativi e cioè: qual è il ruolo che nelle politiche migratorie gioca la persona umana e non le cifre; quali sono le reali capacità di accoglienza dei singoli Paesi; cosa si fa per l’integrazione? Sono questioni che si intrecciano tra loro ma che devono essere prese tutte in considerazione nel dibattito elettorale, altrimenti le discussioni e le campagne di voto che si faranno, saranno inesorabilmente destinate a essere terreno di scontro tra destra e sinistra. Si finirà miserabilmente a ripetere ciò che accade su Facebook. La politica può fare un buon uso di Facebook ma non potrà mai ridursi alla gara di chi acquisisce più like in un dibattito».

Gli europei continuano a faticare ad amare l’Europa.

«Si dice che i popoli europei non amano l’Europa ma forse non amano le sue istituzioni. L’Europa tutto sommato è una istituzione giovane, deve forse semplicemente superare questo momento di adolescenza per divenire adulta e trovare finalmente quella maturità che le permetterà di dialogare con tutti, senza aver paura dell’alterità, della differenza. Solo così sarà di nuovo in grado di unire tutti i popoli che la compongono per costruire insieme il bene comune».

Come faranno i politici a far di nuovo appassionare le gente al progetto europeo?

«È vero. Negli ultimi anni stiamo registrando tassi di partecipazione al voto sempre più basse. E questo accade dappertutto in Europa per le elezioni nazionali e ancor più per le elezioni europee sebbene il Parlamento europeo che si andrà a costituire con il voto dei cittadini europei, si occuperà di questioni che hanno un impatto su tutti gli aspetti della vita. Ma per amare, bisogna sentirsi amati. Non si può continuare ad andare avanti con una politica che è fondata solo su cifre e statistiche. I numeri, i calcoli, le percentuali allontanano le persone. Occorre ritornare a mettere la persona al cuore delle nostre preoccupazioni. È ciò che Papa Francesco ci ha detto a Roma: mettere al posto delle cifre, i volti».

Cosa proporrete come Comece da qui alle elezioni europee del 2019?

«Per quanto riguarda la Comece ci saranno a marzo nuove elezioni della presidenza con una nuova ricomposizione del nostro organismo. Ci sarà poi un appuntamento importante ad ottobre sul futuro del lavoro, una proposta lanciata dalla Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) alla quale daremo un contributo come cristiani europei. Il mondo del lavoro è messo duramente alla prova e subisce l’impatto che le nuove tecnologie informatiche hanno sulla società provocando disoccupazione, scomparsa di vecchie occupazioni e nascita di nuove professioni. Sul lavoro poi c’è una forte preoccupazione di Papa Francesco, in particolare sul lavoro dei giovani. Oggi la crescita economica aumenta in Europa ma le diseguaglianze sociali si sono acuite. Quindi la domanda è: come avere un’economia che guarda alla persona? Nel mese di novembre, celebreremo la fine della prima guerra mondiale».

Con quale chiave di lettura ricorderete questa pagina oscura della storia europea?

«Questo conflitto ci ricorda che abbiamo avuto una guerra fratricida tra cristiani in Europa. L’Europa fu un progetto di pace nato tra Paesi che erano nemici. Questo è un messaggio fortissimo per oggi: l’Unione si è costituita sulle differenza. È su ciò che ci divideva, che abbiamo deciso di parlarci. Fu un processo di pace avviato da Paesi che erano tra loro nemici ma che hanno deciso di accettare le loro diversità e di conoscerle, per costruire una storia comune di pace che prendesse dentro tutti. Direi ancora di più: decisero di mettersi insieme non malgrado le loro differenze ma attraverso le differenze».

Il 2018 è stato designato dall’Unione europea come Anno del patrimonio culturale. Qual è il contributo specifico della cultura cristiana per l’Europa di oggi?

«La cultura cristiana è unità nella diversità. È dialogo, rispetto dell’alterità, a immagine della Trinità. Ascolto dell’altro. Ed oggi c’è una disperata mancanza di senso di alterità nelle nostre società. Siamo dentro a sistemi antropologici che respingono l’altro solo perché diverso da me. L’alterità, patrimonio cristiano per l’umanità, ha creato un’antropologia che fa dell’uomo un essere in relazione, che riceve la vita, la condivide e la trasmette».