Vita Chiesa

Uniti per la pace

Il tema della pace, proposto quest’anno come filo conduttore delle iniziative organizzate nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, è un terreno su cui le confessioni cristiane possono e devono lavorare insieme. Per questo abbiamo voluto, su Toscana Oggi, ospitare i «pensieri di pace» delle diverse confessioni cristiane: cattolici, evangelici, ortodossi.

Sono molte, come sempre, anche le iniziative organizzate in questa settimana (dal 18 al 25 gennaio) dalle singole diocesi della Toscana. A Firenze la settimana ecumenica si apre domenica 18 alle 18,30 con un incontro presso la chiesa valdese; lunedì 19 alle 20,30 all’istituto Stensen la proiezione del film «Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano». Mercoledì 21 gennaio, alle 18 incontro dei giovani presso la chiesa episcopale americana; giovedì 22 alle 18 incontro con il cardinale Antonelli nella parrocchia della Sacra Famiglia. Sabato 24, alle 18, veglia di preghiera per la pace presso la chiesa Battista di Borgognissanti.

Settimana intensa anche a Livorno, città di grande tradizione ecumenica. Tra gli altri appuntamenti: lunedì 19 gennaio alle 20, liturgia ecumenica presso la chiesa del Rosario; martedì 20 alle 21 lettura ecumenica del Vangelo di Giovanni a Montenero; mercoledì 21 alle 21, nella sede del Cedomei, incontro sui 40 anni della «Unitatis redintegratio». Domenica 25, alle 10,30 culto ecumenico nella chiesa valdese. Domenica 18 gennaio, preghiera comunitaria in Sinagoga.

A Massa, tutti i giorni della settimana ecumenica alle 18,30 Messa e preghiera per l’unità dei cristiani in Cattedrale; giovedì 22 gennaio, sempre in Cattedrale, «Divina liturgia» in rito bizantino.

Giovedì 22 gennaio alle 21 nel seminario di Pisa interviene il direttore della rivista ecumenica «Confronti»; venerdì 23 gennaio alle 18 preghiera ecumenica nella chiesa di Pratale. Domenica 25 gennaio, alle 17,30 nella chiesa di San Domenico l’ormai tradizionale rassegna ecumenica di cori.

In diocesi di Massa Marittima, sono due gli appuntamenti principali: martedì 20 Gennaio alle 16 a Porto Azzurro, e giovedì 22 Gennaio alle 20,30 al Centro Agape di Venturina.

A Lucca due iniziative si terranno nel nuovo Centro parrocchiale di S. Anna: venerdi 30 gennaio alle 21 presentazione della Carta Ecumenica; venerdì 23 gennaio, alle 21, incontro di preghiera.

Giovedì 22 gennaio, alle ore 16,30, nel salone della Cattedrale di Grosseto, incontro ecumenico sulla pace; sabato 24 gennaio, nella chiesa del Cottolengo, alle 21 liturgia ecumenica della Parola di Dio.

A Siena, venerdì 16 gennaio alle 18,15 celebrazione ecumenica nella Chiesa di S. Vigilio; lunedì 19 gennaio alle 18,15 concerto nella Chiesa Valdese di Siena in viale Curtatone. Giovedì 22, alle 18, tavola rotonda nella Basilica di S. Domenico.

La diocesi di Pescia organizza, venerdì 23 gennaio alle 21.15, una veglia ecumenica per la pace nella chiesa di Borgo a Buggiano.

La pesante eredità della nostra storiadi Klaus LangeneckPastore valdese di Livorno«Io vi lascio la mia pace». È questa la promessa che Gesù lascia ai suoi discepoli e a noi nei discorsi di comiato dell’Evangelo di Giovanni. Ma la pace di Gesù non è pace sulla terra, ma come ci insegnano gli stessi discorsi di comiato, è conflitto e guerra con il mondo che vive senza Dio. La pace di Gesù non è la pace in Iraq o in Israele o in Afganistan o in Africa, di cui attulamente siamo preoccupati. La pace che ci ha lasciato Gesù è la pace con Dio, la pace che noi, per mezzo della fede possiamo già anticipare, ma che si manifesterà pienamente nel Regno dei cieli. La pace di Gesù appartiene alla sfera di Dio, non alla terra. La pace di Dio verrà, non la costruiamo noi. C’è una profonda differenza tra la pace con Dio e la pace sulla terra. La pace con Dio è e sarà la guarigione del mondo, il Regno di Dio sarà un mondo guarito da tutti i suoi mali, e questa sarà la vera pace (lo shalom). Sulla terra siamo già contenti, quando tacciono le armi, quando i conflitti rientrano sotto la soglia della brutalità della violenza armata e si limita alle violenze strutturali. Sulla terra chiamiamo pace la fine di una guerra, ma la nostra pace ha ben poco a vedere con la pace di Dio.

Di fatto, il mio impegno per la pace, che è una convinzione e un impegno ormai datato (ho fatto l’obbiettore di coscienza nel 1974 in Germania, ho manifestato nei primi anni ottanta davanti alle basi americane in Germania, e continuo a militare per la pace nei vari paesi della terra), non nasce dalla pace che Dio ha fatto con noi, almeno non direttamente, ma nasce dal comandamento dell’amore del prossimo, che include l’amore del nemico, dalla mia solidarietà come creatura umana con le altre creature umane e non umane, criteri etici non particolarmente cristiani. Ricordiamoci che il cristianesimo soltanto recentemente ha scoperto la sua vocazione pacifista. Per 1900 anni, le chiese cristiane hanno dato il loro contributo a guerre e violenze. I valdesi del medioevo, nonviolenti convinti, erano perseguitati come eretici. In fondo soltanto nel lungo periodo di pace dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui viviamo ancora qui nell’Europa occidentale, la posizione pacifista è diventata un discorso degno di documenti ufficiali delle chiese e dei discorsi dei papi. Ricordiamoci di questo. E poi ricordiamoci anche che i paesi che in questo momento dettano le leggi dell’economia mondiale, sono i paesi europei e gli Stati Uniti, stati di matrice cristiana. È veramente strano che attualmente le guerre saltano fuori nei paesi che hanno del petrolio, materia prima indispensabile per la nostra economia, la nostra industria, la nostra comodità.

Ben vengano tutte le prese di posizione per la pace delle chiese e tutti gli appelli del papa. Ma l’eredità storica del cristianesimo è più pesante di quanto pensiamo. Non basta cambiare ora discorso. È la storia che attacca oggi la nostra credibilità come cristiani pacifisti nei confronti del Terzo Mondo e dell’Islam. Nel sermone sul monte (Matteo 5:9) c’è scritto da quasi 2000 anni: «Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Meno male che noi cristiani abbiamo cominciato ad adoperarci per la pace, che non è la pace con Dio, a quella ha già pensato il Signore stesso, ma per la pace sulla terra, che non è pace vera, ma soltanto la ricerca di una situazione che dà una prospettiva di vita alle persone e ai popoli. E dovremo impegnarci molto per essere credibili e per ottenere dei risultati.

Scendere dai «troni» per rendere visibile nel mondo la salvezzadi Piero RaffaelliParroco e docente di ecumenismo presso lo Studio Teologico Interdiocesano di CamaioreRicordo con entusiasmo la Seconda Assemblea Ecumenica Europea svoltasi a Graz (Austria) nel 1997 sul tema della Riconciliazione come «dono di Dio e sorgente di vita nuova». In quell’occasione ebbi modo di rendermi conto come dalla «riconciliazione» donata e accolta nasca la pace dei cuori e per cui nuovi stili di vita. Le diverse confessioni presero coscienza come questa pace coinvolga poi le famiglie, le chiese, le comunità ecclesiali e le nazioni. Riflettendo sulla «riconciliazione», si riprendeva il tema di Basilea del 1989: Giustizia e pace. Dunque sul tema della pace si può lavorare insieme. È il terreno sul quale è possibile dare testimonianze comuni e sul quale ritrovarsi «spalla a spalla» (Sofonia 3,9) a testimoniare «le ragioni della speranza che portiamo in noi» (1 Pietro 3,15). Certamente la pace proposta dalle confessioni cristiane è la pace pasquale che va oltre la pace come assenza di guerra.

Il filosofo Norberto Bobbio, recentemente scomparso, affermava: «Disarmàti di tutto il mondo, uniamoci». Una voce esterna alla chiesa dice cose di casa nostra. Noto invece con imbarazzo e amarezza che spesso le chiese e comunità ecclesiali sono arroccate sui «propri troni», cioè sui privilegi, competenze, titoli, carriere, ecc., mentre la storia della salvezza passa attraverso le persone umili, quelle che non contano, che non sono considerate, in altre parole passa attraverso i «disarmàti» della terra. La situazione esposta e indifesa in cui i poveri della terra sono costretti a vivere dovrebbe rimproverare la nostra coscienza di uomini, di donne e di cristiani. Sarebbe di norma non mettersi semplicemente dalla parte dei poveri, ma scegliere i mezzi poveri, sentirsi emotivamente dalla loro parte e vivere così dal di dentro i loro drammi come lo sfruttamento sistematico e legalizzato, il misconoscimento dei diritti più elementari quali il nutrimento, la dignità di essere trattati come persone, l’avere mezzi per alleviare le malattie, ecc.

Le confessioni cristiane sono chiamate, a mio modesto avviso, a scendere da cavallo, come fece il buon samaritano e prendersi cura delle ferite dell’umanità dovuta alla violenza di coloro che vogliono dominarla. Bisogna entrare nella dinamica di avvertire il disagio degli ultimi come proprio, sentirsi parte di coloro che soffrono. Da qui è doveroso l’impegno di tutti i cristiani nell’ambito della carità. Da questo impegno dipende anche la pace «disarmata» della terra che rende più credibile la pace pasquale.Di fronte allo sfruttamento brutale dei popoli più poveri del mondo le confessioni cristiane, rovesciando i loro «troni» di prestigio, sono chiamate per la loro stessa vocazione a sedersi sugli sgabelli dei più poveri e da lì denunciare con coraggio le strutture legalizzate di sfruttamento e di ingiustizia da parte delle potenze occidentali che vogliono ottenere, a tutti i costi, il dominio sui popoli della terra e possibilmente sulle stesse chiese e comunità ecclesiali. Ma la loro vocazione è quella di vivere la propria impotenza di fronte ai grandi della terra e sostenute dalla speranza che è in loro diventare un tutt’uno con gli ultimi rendendo così visibile, agli occhi del mondo, la passione del loro Signore per testimoniare e annunciare la gioiosa notizia che una storia perdente si trasforma in una storia di salvezza. Un dono di Dio rifiutato dall’uomodi Petre ComanArciprete della comunità ortodossa romena di Firenze«Vi lascio la pace, vi dò la mia pace». Queste parole sono state pronunciate da nostro Signore Gesù Cristo nel momento più decisivo ministero. Sono parole semplici, ma così forti, che descrivono in modo chiaro e autentico il significato della vera pace e la vera missione del Verbo Incarnato come messaggero di pace.

La pace fu data all’umanità come dono di Dio. Essa ha origine nell’armonia e nella natura delle cose e degli uomini essendo condizione dell’esistenza umana, perché la vita, che è un processo creativo ininterrotto, ha la pace quale molla interiore.

Gli uomini rifiutarono l’offerta di pace di Dio e cercarono in tutti i modi di affermare la loro pace, il loro criterio e le loro norme di pace. Così l’uomo si allontanò da Dio, la sorgente della pace. Ma nonostante il rifiuto della pace da parte dell’uomo, Dio ha sempre desiderato la pace per il mondo, poiché il patto che Dio ha stretto con l’umanità era un patto di pace.

Dio stesso divenne uomo come concreta manifestazione di pace nel tempo e nello spazio. La venuta di Dio sulla terra è l’ingresso della pace. In altre parole, l’avvento del regno di Dio in Cristo è l’ingresso della pace di Dio. Questo significa che la pace è la pienezza del dono divino di salvezza in Cristo. Significa ancora che la pace è la riconciliazione dell’umanità con Dio e che la pace porta alla liberazione dell’uomo dal potere del male e della morte. Vuol dire che la pace è il rifiuto di una vita dominata dal peccato e l’accettazione della vita piena in Cristo. La pace è anche la relazione armoniosa tra nazioni e il rifiuto di ogni tipo di ingiustizia e discriminazione tra i popoli.

Per i cristiani la pace non è un sogno che si realizzerà in futuro, è una realtà presente. È una realtà presente in Gesù Cristo.

Infatti, il Signore non parlò solo dell’importanza cruciale della pace, ma Egli Stesso divenne la pace del mondo. La vita in Cristo, la Sua morte e la Sua resurrezione sono il Vangelo di pace di Dio per il mondo intero. Chiunque è in Cristo è in pace. Chiunque partecipa alla pace di Dio attraverso Cristo è chiamato a vivere quella pace ad essere suo messaggero.

Quindi, noi tutti i cristiani, siamo chiamati non solo a pregare per la pace, ma anche tradurre l’urgenza della pace in gesti della nostra vita. Tutti noi siamo chiamati a diventare ambasciatori di pace quale dono divino di salvezza, quale realizzazione della giustizia, quale vittoria della vita sulla morte.