Vita Chiesa

Vaticano: processo lampo e sentenza mite per maggiordomo Papa

(ASCA) Una sentenza lampo con una pena mite, per chiudere in tempi brevi l’imbarazzante capitolo Vatileaks: ad appena una settimana dalla prima udienza, sabato scorso, il presidente del tribunale vaticano, il rettore dell’università Lumsa Giuseppe Dalla Torre, ha letto questa mattina alle 12.15 la sentenza di condanna di Paolo Gabriele, l’ex-assistente di camera di Benedetto XVI.

Gabriele è stato condannato per “furto qualificato” nel codice penale in vigore in Vaticano – il codice Zanardelli in vigore nella Regno d’Italia prima del fascismo – ma la pena che dovrà scontare sarà breve, 18 mesi. La pena ‘piena’ decisa dal tribunale era di tre anni ma i tre giudici vaticani hanno deciso di concedere le attenuanti a Gabriele in considerazione della “assenza di precedenti penali”, delle “risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati”, e del “convincimento soggettivo, sia pure erroneo, indicato dall’imputato quale movente della sua condotta”, e infine della “dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre”.

A Gabriele non è stata neppure comminata la interdizione dai pubblici uffici – perpetua ma limitata ai soli uffici che “comportano uso di potere” – suggerita dal promotore di giustizia vaticano, Nicola Picardi, il pubblico ministero di Oltretevere.

Rimane adesso aperta la questione di cosa accadrà, in concreto, all’ex-maggiordomo del papa. Per ora, Gabriele è tornato nella sua casa in Vaticano, ufficialmente agli arresti domiciliari. è lì che vive da metà luglio sotto stretta sorveglianza e senza contatti con l’esterno al di fuori della sua famiglia, dopo che il tribunale vaticano aveva concesso la fine degli arresti iniziati lo scorso 23 maggio allo scoppio del caso. Il suo avvocato, Cristiana Arru, ha adesso tre giorni per decidere se ricorrere in appello; a caldo, ha parlato di una “buona sentenza, una sentenza equilibrata”. Ma a breve potrebbe arrivare anche la grazia di papa Benedetto XVI: per il portavoce vaticano, questa è una eventualità “molto concreta e verosimile”.

Anche dopo la condanna di Gabriele rimangono comunque dei capitoli aperti nella complessa vicenda Vatileaks: prima di tutto, il processo al tecnico informatico Claudio Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento e dove lo stesso Gabriele dovrà comparire come testimone; poi, i risultati dell’inchiesta condotta su incarico del papa da tre cardinali, ancora non rivelati al pubblico; ancora, l’inchiesta del promotore di giustizia Picardi sugli altri aspetti di Vatileaks, come le modalità di diffusione delle carte trafugate da Gabriele e se sia configurabile per l’ex-maggiordomo un reato di “attentato alla sicurezza dello Stato”; infine, l’inchiesta sui presunti abusi subiti in cella da Gabriele e denunciati dallo stesso durante il processo.

Nella sua requisitoria, in cui aveva chiesto tre anni di pena, Picardi ha sottolineato di non aver rinvenuto prove di correità e complicità con Gabriele da parte di quelle persone – come la professoressa Ingrid Stampa o il padre spirituale don Giovanni Luzi – con cui si era confidato e che potevano averlo “suggestionato”.

Per la difesa, Gabriele non ha rubato le carte, al limite se ne è “appropriato indebitamente” durante l’esercizio delle sue funzioni, il tempo necessario per fotocopiarle, e comunque lo ha fatto con l’obiettivo di “giovare”, e non di “danneggiare”, la Chiesa, mosso da “alti motivi morali”, quasi “costretto dal male che vedeva” lavorando a stretto contatto col papa. Come Gabriele stesso ha detto durante l’ultima udienza del processo, “la cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per esclusivo amore, viscerale direi, per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro”.