Joe Hill è un figlio d'arte come pochi, scrittore erede del Re del Brivido in persona, Stephen King. Con una produzione già di tutto rispetto, Hill è al momento noto più che altro per i suoi racconti, e tra questi Il telefono nero è forse quello che più ricorda il padre, del quale omaggia i temi, la struttura narrativa, l'ibridazione tra horror e racconto di formazione, perfino l'ambientazione.
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Con Baz Luhrmann non ci sono mezze misure. Per i detrattori il suo cinema è sempre eccessivo e ridondante, per i fan affascinante e coinvolgente. Elvis non si sottrae a prestare il fianco a queste due categorie di giudizio, come del resto è accaduto alle precedenti pellicole del cinquantanovenne regista australiano (da Ballroom – Gara di ballo a Il grande Gatsby), autore nel complesso di sei film in trent’anni di carriera.
Mantas Kvedaravicius non è propriamente un nome conosciuto, neanche tra gli addetti ai lavori, ma ha avuto il suo momento di fama lo scorso aprile quando, girando a Mariupol il seguito al suo documentario del 2016, i soldati russi lo hanno scambiato per un cecchino dell'esercito ucraino, lo hanno catturato, torturato, e fatto trovare morto giorni dopo.
Bellocchio è un autore che riesce a sorprenderci sempre, anche ora che si è cimentato con una mini serie tv di sei puntate uscita in anteprima al cinema suddivisa in due parti. Ce ne occupiamo in questa rubrica sia per la collocazione temporanea sul grande schermo, sia perché, tematicamente, il lavoro si inserisce appieno nella filmografia del regista che ha usato, qui, un linguaggio televisivo, fatto per lo più di primi piani e dialoghi, ma non ha rinunciato alle sue capacità visionarie e ai consueti scarti onirici.
Spagna, luglio 1936. Nell’esercito alcuni generali nazionalisti fanno un colpo di stato per riportare ordine nella Seconda Repubblica. Tra questi Francisco Franco, in apparenza un bonaccione.
Un uomo si aggira per i quartieri popolari di Napoli. Si guarda intorno, straniero e diffidente. I suoi tratti somatici e il suo accento sono quelli di un cittadino nordafricano.
Il naso è un celebre poemetto satirico di Gogol, che racconta di un barbiere che, trovato impastato nel pane un naso, si fa cogliere dal panico e se ne sbarazza in fretta, convinto di averlo mozzato a un cliente da ubriaco.
Hope, nel senso di speranza di vita, è il primo film della regista norvegese Maria Sødahl che vediamo sui nostri schermi, tra l’altro con tre anni di ritardo. Si tratta, però, di una bella scoperta, che dimostra una mano sicura nella direzione degli attori, un forte senso drammaturgico e delle belle riflessioni da comunicare.
«Papà mi piace il giallo?» Uri, vent’anni, sta ricevendo dalle mani della madre Tamara una maglietta colorata e chiede a suo padre Aharon di suggerirgli se l’apprezzerà o meno. Perché Uri è un ragazzo autistico e non sa se il colore è tra quelli che a lui piacciono.
Tra i vari effetti dell'attuale conflitto in Ucraina c'è anche la riscoperta di molti titoli che, in condizioni normali, sarebbero stati sconosciuti e quasi inaccessibili al pubblico italiano.