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Vescovi toscani in Terra Santa, all’ospedale S. Louis
A Gerusalemme l’ospedale dove sono ricoverati e convivono ebrei, cristiani e musulmani. Suor Valentina Sala: “Qui la speranza è difficile ma possibile”

di Simone Pitossi
Nel cuore di Gerusalemme, c’è un luogo che da 170 anni resiste alla logica del conflitto e della separazione. È l’ospedale Saint Louis, gestito dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, un piccolo centro per cure geriatriche, oncologiche e palliative che racconta un’altra storia, fatta di coesistenza quotidiana e cura condivisa. E’ stato visitato martedì mattina dai vescovi della Toscana.
Fondato nel 1851 nella Città Vecchia, dopo l’arrivo delle suore in Terra Santa nel 1848, il Saint Louis è stato il primo ospedale di cure palliative di Gerusalemme, sin dagli anni ’50. Oggi ha 60 posti letto — anzi, 62 pazienti effettivi — ed è riconosciuto dal Ministero della Salute israeliano. Nonostante le dimensioni contenute, l’ospedale risponde a un bisogno molto più vasto, quello di una Gerusalemme che cerca spazi di umanità oltre i muri fisici e simbolici che la dividono.
“È un ospedale cattolico, ma è sempre stato aperto a tutti,” racconta suor Valentina Sala, direttrice della struttura. “Accogliamo ebrei, cristiani e musulmani, anche persone che non possono permettersi di pagare. Da anni, per esempio, vive qui con noi un rifugiato etiope”.
L’ospedale è articolato in tre reparti: uno geriatrico con 25 letti, prevalentemente occupati da pazienti cristiani; un reparto per lungodegenze neurologiche, dove vengono assistiti pazienti colpiti da ictus, con tracheostomia o in stato vegetativo — come una donna ricoverata da 17 anni dopo un’emorragia cerebrale; infine, un reparto oncologico con 18 letti per pazienti terminali e per chi è ancora sottoposto a trattamenti.
“Abbiamo liste d’attesa lunghe. Non perché manchi la disponibilità, ma perché è noto e apprezzato il modo in cui qui trattiamo i pazienti”, spiega suor Valentina. “Il nostro staff è composto da 86 dipendenti ed è misto: il 27% sono operatori socio-sanitari, il 21% infermieri, il 13% medici. Una realtà concreta di collaborazione fra culture e fedi diverse”.
Il 7 ottobre 2023, con lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, ha segnato anche per loro un momento drammatico, ma non ha cambiato la qualità delle relazioni umane all’interno dell’ospedale. “Sono stati giorni difficili, certo. Ma le relazioni che si vivono qui, dentro queste stanze, hanno retto. La realtà là fuori è durissima, ma questo non significa che non si possano trovare segni di speranza o persino generare speranza. Noi, ogni giorno, la generiamo”.
Il Saint Louis sta pianificando un grande progetto di rinnovamento infrastrutturale e tecnologico per il periodo 2021–2031. Tra le priorità ci sono la creazione di una nuova clinica audiologica e l’acquisto di macchinari per la riabilitazione, che serviranno anche ai pazienti esterni.
Ma la vera sfida, dice suor Valentina, è culturale e spirituale. “Il nostro messaggio ai pellegrini e ai cristiani del mondo è chiaro: tornate in Terra Santa. Dite che è visitabile. Perché finché nessuno verrà, questa terra resterà solo una terra di conflitto. Ma la presenza dei pellegrini aiuta anche i cristiani locali a vedere le cose in modo diverso. Venite per ascoltare, non per giudicare. Basta con le categorie dicotomiche: qui nulla è semplice”.
La crisi, secondo suor Valentina, deve interrogare anche la spiritualità del pellegrinaggio: “Anche il pellegrinaggio va ripensato. La storia della salvezza non è solo nei luoghi santi, ma anche nella storia viva che si svolge oggi, nelle sofferenze, nelle ingiustizie, nelle tensioni. Se siamo persone di fede, allora dobbiamo accettare che la realtà presente — con la sua complessità — interroghi profondamente la nostra fede. Il pellegrinaggio non può essere un museo della spiritualità, ma un cammino che ci chiede: quale posto abbiamo, oggi, dentro questa storia di salvezza?”.