Cultura & Società

Tozzi e Siena, uno scrittore e la sua città

DI LORELLA PELLIS

Siena si prepara a rendere omaggio al suo concittadino Federigo Tozzi (1883-1920), uno tra i maggiori narratori del primo Novecento. Un nuovo testo scenico interpretato da Piera degli Esposti, una mostra, un documentario sulla vita e le opere, presentazioni di volumi e riedizioni di libri ormai esauriti e, per finire, un convegno con i maggiori studiosi italiani sono gli eventi che stanno per fare del 2002 l’anno del grande scrittore.Il primo appuntamento è per il 27 marzo, nella Sala degli Specchi dell’Accademia dei Rozzi, con Piera degli Esposti voce di Tozzi nell’interpretazione di Io non so quel che porto, un testo scenico tratto da «Adele» ed altri lavori di Tozzi scritto da Marco Marchi proprio per questa performance. Marchi, docente di Letteratura italiana alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze, ha curato il «Meridiano-Mondadori» delle «Opere» ed è autore di un’originale «Vita scritta di Federigo Tozzi» pubblicata dalla casa editrice Le Lettere. Disponendo di un’artista straordinaria, di eccezionale intensità emozionale e comunicativa come Piera degli Esposti, l’ideazione e la realizzazione dello spettacolo (di cui Marchi cura anche la regia) hanno potuto così puntare su uno sperimentale «Tozzi del profondo», metamorfico e interrogativo, onirico e visionario, espressionistico e crudelmente «asentimentale».Il 19 aprile, ai Magazzini del Sale di Palazzo Pubblico verrà inaugurata la mostra Scritture del profondo: Svevo e Tozzi che resterà aperta fino al 10 giugno. Nello stesso periodo verranno presentati, nel corso di particolari «pomeriggi letterari» in alcuni locali della città, nuove pubblicazioni su Tozzi o riedizioni di opere ormai esaurite: Ricordi di un giovane impiegato (a cura di Riccardo Castellana), la biografia Tutti gli anni di Tozzi (di Paolo Cesarini), il commento a Bestie di F. Marchiori ed il volume su James e Tozzi a cura di Martina Martini. Accompagnerà la mostra un video-documentario sulla figura di Federigo Tozzi al quale hanno lavorato Marco Marchi, Riccardo Castellana e Martina Martini per il soggetto e la sceneggiatura e David Rossi per la produzione.Il programma, curato dall’assessorato alla Cultura del comune di Siena e dal Comitato promotore del Centro studi su Federigo Tozzi, si concluderà con due giornate sul tema: Tozzi: la scrittura crudele, a Siena il 25 e 26 ottobre prossimo. Al convegno hanno già dato la loro adesione alcuni dei più importanti studiosi italiani.

La mia anima è cresciuta nella silenziosa ombra di Siena, in disparte, senza amicizie, ingannata tutte le volte che ha chiesto d’esser conosciuta». Sono parole di Federigo Tozzi, lo sfogo di uno scrittore che amava la propria città ma che la considerava anche la sua gabbia raffigurandola spesso come tutta raccolta in sé e inaccostabile. Ed è proprio questa città dai vicoli storti e dalle piazze ariose che si accinge ad accendere i riflettori su questo scrittore, grande al pari di Svevo e Pirandello. Ma quanto si è «servito» Tozzi nelle sue opere di Siena e che cosa essa ha rappresentato davvero per lui?

«Accade raramente, nella letteratura italiana del Novecento, che una città sia anche protagonista di un romanzo. Certo – ci dice Riccardo Castellana – docente di Letteratura italiana all’Università di Siena – c’è la Trieste di Svevo, o la Roma di Pasolini, ma Siena non fa solo da sfondo alle storie di ordinaria tragicità di Tozzi: è quasi un personaggio a sua volta, vivo e sofferente, al pari di Pietro, l’inetto protagonista di Con gli occhi chiusi, e del suo “doppio” Remigio, nel Podere».

Del resto, è comprensibile il legame di uno scrittore con la propria città. «Sì, ma non si tratta solo di questo», precisa Castellana. «La Siena di Tozzi è anche – come scrive Santa Caterina nelle “Lettere” – “città dell’anima”, metafora di una condizione esistenziale che trasfigura la realtà biografica. Le strette vie medievali, le case addossate l’una all’altra, quasi schiacciate dalla mole del Duomo, i vicoli bui e silenziosi, comunicano ora un senso di profonda angoscia ed inquietudine, di partecipazione del mondo al dolore del personaggio, ora, invece, un’impressione di sovrana indifferenza delle cose, di enigmatica estraneità del reale alle vicende umane».

Secondo uno dei massimi esperti di Tozzi, Marco Marchi, curatore del «Meridiano» Mondadori, «Siena costituisce per Tozzi «una proiezione, un’estensione. Il rapporto che lo scrittore intrattiene con essa è, sostanzialmente, conflittuale come quello intrattenuto con il padre, a sua volta sentito come un Dio imperscrutabile e lontano, chiuso al colloquio e minaccioso». «Ecco la Siena persecutoria, che fa paura – spiega Marchi – pesantemente medievale ed espressionistica, città delle ossessioni e delle oppressioni; ecco la Siena che, come il figlio, si fa emblema del degrado, della dimenticanza, dell’abbandono e dell’insicurezza. Ecco infine, a tratti, pure una Siena aerea e luminosa, armonica stilizzazione dell’anelito al riconoscimento e all’appartenenza, della fuoruscita da una condizione dolorosamente subìta di oscurità, di “occhi chiusi”.

Anche la campagna e gli immediati dintorni di Siena svolgono una funzione di primo piano nei romanzi e nelle novelle tozziane. Con gli occhi chiusi è ambientato infatti in gran parte nel podere di Castagneto, «sulle colline – come precisa Castellana – che guardano la città da nord ovest, alto sopra la via di Pescaia, tra gli olivi e i cipressi di Poggio al vento (poggio a’ Meli nella finzione romanzesca). “Locus amoenus”, si direbbe, se non fosse che l’idillio tra Pietro e la contadina Ghìsola è solo una proiezione soggettiva del giovane, incapace di guardare ad occhi aperti la realtà e di risvegliarsi dal sogno dell’infanzia».

Completamente diverso il paesaggio della Casuccia, in cui è ambientato Il podere: siamo nella campagna a sud di Siena, tra i campi di grano e le crete. «È, da un lato, come dice lo studioso – un paesaggio fortemente antropizzato, da cui l’uomo ricava il necessario per vivere, e dall’altro, è manifestazione di una natura arida e ostile. È insomma un paesaggio del disincanto, e con lo stesso disincanto il protagonista del romanzo, Remigio, guarda alle cose, incapace di opporsi al loro corso e di modificare il proprio destino. Siena – conclude Castellana – vista dalla Casuccia, appare ancora una volta distante e inaccessibile sulle sue colline, “città dell’anima” da cui, però, l’anima è stata esiliata».Rileggendo «L’incalco»