Dossier

E se gli aerei fossero stati teleguidati?

«Vi voglio dire una cosa molto chiara: infischiatevi delle pressioni americane su Israele. Noi, gli ebrei, controlliamo l’America. E l’America lo sa». L’affermazione è di Ariel Sharon, primo ministro israeliano. Qualcuno potrà pensare che sia la solita protervia di un potente, per giunta piuttosto rude e combattivo. Può darsi. Ma chi, dopo questa frase che fa quasi da introduzione al libro, si metta a leggere «Chi comanda in America» (Effedieffe, 2002, euro 13,00) di Maurizio Blondet, ha di che interrogarsi.

Blondet, già inviato del Giornale Nuovo di Montanelli e attualmente di Avvenire, si dedica ormai da anni all’indagine sui poteri oligarchici «che dietro le quinte della democrazia guidano la storia». Con questo ultimo lavoro cerca di mostrare, senza nessun timore reverenziale, chi davvero tiene le leve del potere negli Usa. Il paese del grande paradosso: in quella che viene definita la più grande democrazia del mondo, gli elettori che si recano alle urne sono una piccola percentuale della popolazione. E quella piccola percentuale sceglie l’uomo che, di fatto, governa il mondo.

Il libro si apre gettando luce su un fatto del tutto sconosciuto ai più: già dal 1978 la Camera dei rappresentanti ha proclamato l’education day in concidenza e a celebrazione del compleanno di rabbi Menachem Mendel Schneerson, capo di una setta ebraica chiamata dei Lubavitcher. Sembra incredibile, nella laica America. Eppure non è un caso: gli esponenti della setta siedono in alcuni dei posti nevralgici del potere americano. L’analisi dell’establishment Usa prosegue: l’ormai notissimo ministro della Difesa americano Donald Rumsfeld ha inaugurato di fatto la privatizazzione del Pentagono, tanto che mercenari privati a contratto formano ormai il 10% delle Forze Armate. La strategia militare è appaltata a istituti di ricerca come il Defence Policy Board dell’americano israelita Richard Perle. Ora Perle siede col numero due del Pentagono Wolfowitz e col numero tre Feith in un’altra fondazione culturale: il Jinsa, ovvero l’Istituto ebraico (sic) per la Sicurezza Nazionale: qui siedono, generali che presiedono i consigli di amministrazione delle grandi fabbriche di armamento a contratto per il Pentagono. Qui per Blondet si annidano l’ideologia guerrafondaia e le tecnologie più sofisticate al mondo che – ecco quello che può sembrare un colpo di teatro – possono trasformare un boeing di linea in un proiettile volonte teleguidato, solo modificando il software del pilota automatico. «Insomma, le competenze necessarie – giunge a concludere l’autore – per attuare gli eventi dell’11 settembre e realizzare dietro la maschera dell’attentato arabo, un colpo di Stato». Teoria, quest’ultima, che Blondet aveva già delineato, nel precedente «11 Settembre colpo di Stato in Usa».

Si potrà pensare che sia fantapolitica. Blondet, che certo non è un simpatizzante talebano né tantomeno un comunista antiamericano, in 184 pagine che si leggono tutte d’un fiato porta a sostegno della sua tesi una mole notevolissima di prove, indizi, riflessioni.G.R.

11 settembre; immersi in una crisi planetaria

a href=’/notizia.asp?IDCategoria=250&IDNotizia=2401′>I misteri dell’11 settembre (di Franco Cardini)