Italia

Accanto a chi soffre e alle loro famiglie

di Riccardo BigiDopo le polemiche scatenate dal caso Welby e i dibattiti su eutanasia e accanimento terapeutico, la Chiesa torna a riflettere sulle malattie inguaribili e i malati che si trovano nella cosiddetta «fase terminale». Proprio questo infatti è il tema a cui è dedicata, quest’anno, la Giornata Mondiale del Malato. Nel suo messaggio, Benedetto XVI sollecita tra l’altro l’uso di cure palliative, e in generale chiede di promuovere «politiche in grado di creare condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare anche malattie incurabili ed affrontare la morte in una maniera degna».

Come si traduce, tutto questo, nell’attività di chi giorno dopo giorno opera nell’assistenza ai malati di malattie inguaribili? «Significa avere amore per chi soffre, avere pazienza, competenza, essere vicini ai pazienti e alle famiglie, che spesso vengono travolte dalla malattia».

A rispondere è Alessandra Pellegrini, uno dei medici in servizio all’Ant , l’Associazione Nazionale Tumori. «La nostra associazione – spiega – offre assistenza domiciliare gratuita. Il nostro principio guida è quello della eubiosia, parola che significa proprio garantire una vita dignitosa dal primo all’ultimo respiro. In questo senso, siamo in sintonia con quanto dice il Papa a favore di quelle cure che permettono di lenire la sofferenza».

Questo tipo di cure, afferma, sono anche una risposta all’eutanasia: «In 12 anni di assistenza mi è capitato soltanto 3 volte che un paziente mi chiedesse l’eutanasia, su diverse migliaia di malati che ho assistito. Questo devo dirlo con forza: pazienti che non sono seguiti bene possono arrivare a fare delle richieste che non rispecchiano ciò che veramente desiderano. Ma un paziente che è curato bene, che è assistito nella sua globalità, non fa queste richieste».

Sulla stessa lunghezza d’onda l’associazione fiorentina «Pallium» specializzata proprio nelle cure palliative e nell’assistenza domiciliare a malati cronici. Il nome deriva dal nome latino del mantello usato dai pellegrini per proteggersi da freddo e pioggia. Un «mantello protettivo» che deve essere assicurato anche ai malati di malattie giudicate non più guaribili.

«Malato inguaribile non significa malato incurabile» sottolinea la fondatrice dell’associazione, Valeria Cavallini . «Le cure palliative – spiega – possono controllare i sintomi che provocano sofferenza; il dolore, il vomito, l’astenia, la difficoltà respiratoria, tutto quello che grazie ai farmaci e ad un supporto umano e professionale qualificato, è possibile contenere. Il nostro compito è quello di accompagnare le persone in momenti difficili, spesso di seguirle fino alla morte. Ma noi, lo sottolineo, ci occupiamo della vita e non della morte: controllare la sofferenza non vuol dire in alcun modo facilitare la morte».

Il discorso su questi temi si fa molto delicato quando si toccano aspetti particolari, come quello della «sedazione continua profonda» che alcuni chiamano, in maniera più esplicita, «sedazione terminale». Significa aumentare le dosi di farmaci fino a far addormentare il paziente nella fase terminale della malattia, un sonno da cui con ogni probabilità non si risveglierà più. Secondo la dottoressa Cavallini, in alcuni settori del servizio sanitario pubblico c’è la tendenza ad utilizzare con troppa facilità questo strumento, addirittura proponendolo ai malati come una delle opzioni che hanno davanti. E sicuramente, in Toscana questo tipo di sedazione è usato in percentuali maggiori che nel resto d’Italia. «Ma siamo sicuri – afferma – che una persona che ha paura della malattia, che ha paura di gravare sulle spalle di familiari e parenti, sia veramente libera di fare una scelta di questo tipo? I medici dovrebbero avere maggior senso di responsabilità, altrimenti si rischia di assecondare la paura di soffrire che è propria di ogni persona. Noi dobbiamo sostenere la vita, non favorire la morte».

Un’accusa che Piero Morino, responsabile dell’unità di cure palliative della Asl di Firenze , respinge. «Noi – afferma – proponiamo la sedazione terminale ai pazienti proprio per evitare che siano terrorizzati dall’idea di dover morire tra atroci sofferenze. La sedazione permette di morire nel sonno, ma non è assimilabile in alcun modo all’eutanasia: è una forma di anestesia che non accorcia la vita. La si pratica quando il malato arriva al limite della sopportazione del dolore, e quando la morte è comunque vicina: in genere dura non più di 24 – 48 ore. È una scelta che il malato, in piena consapevolezza, prende insieme al medico».

Secondo Giuseppe Spinelli, presidente dell’Att (Associazione Toscana Tumori) il problema di malattie gravi è anche quello del dolore, dell’angoscia, della mancanza di speranza legati alla malattia. «La nostra associazione – spiega – cerca di prendersi cura delle persone permettendo loro di vivere la malattia a casa, in un ambiente familiare. Siamo contrari all’eutanasia, in modo assoluto. Avere a che fare con la morte tutti i giorni è difficile, ma il nostro lavoro offre anche molta gioia: vedere i pazienti sereni, vedere la gratitudine dei familiari, assicurare fino all’ultimo la dignità del malato, il decoro, la cura della persona sono cose che fanno piacere». Anche l’Att, afferma Spinelli, usa la sedazione profonda continua: «Quando il malato non risponde più ai farmaci, è l’unico modo di eliminare la sofferenza. Sta alla bravura del medico, e alla sua capacità di dialogare con il paziente e i familiari, capire quando è il momento giusto per praticarla. È un intervento che risponde all’obiettivo di dare al malato una vita dignitosa ma anche, quando è il momento, una morte dignitosa».

• ANT (ASSOCIAZIONE NAZIONALE TUMORI)Tel. 055.5000210, 348.4510082 www.antitalia.org •ATT(ASSOCIAZIONE TOSCANA TUMORI)Tel. 055/24.66.666, 335.7430628, www.associazionetumoritoscana.it • PALLIUM (Cure palliative)Tel. 0552001292, 3387007687 www.palliumonlus.it

Messaggio per la Giornata mondiale del malato 2007