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Elezioni palestinesi, un voto senza sorprese

di Asem KhalilTanti commentatori, nelle loro analisi sul dopo–Arafat, hanno fatto cenno alle tre fasi di leadership e di legittimità descritte da Max Weber: la leadership tradizionale, carismatica e istituzionale. Secondo loro, la leadership tradizionale è quella dei palestinesi prima di 1948; la leadership carismatica è appena terminata. I palestinesi si preparano adesso a una nuova fase, quella istituzionale. Infatti, l’elezione si distingue dalla designazione o nomina per l’esistenza di una certa devoluzione del potere tramite una scelta (dunque tra più di un candidato) fatta in un gruppo (il corpo elettorale) con un voto, assicurato con dei meccanismi adeguati. Storicamente l’elezione è apparsa come lo strumento più giusto (o il più efficace) per assicurare la rappresentanza dei governati dai governanti.

È molto difficile oggi che ci sia una vera democrazia senza elezioni; l’elezione, però, non è sinonimo di democrazia sopratutto nel caso di una elezione fatta sotto occupazione! La negazione del diritto di un popolo di disporre di se stesso, infatti, non è compatibile con la dèmocratia, quel concetto greco che significa il «regno del popolo».

È legittimo, dunque, chiedersi il significato di un’elezione sotto occupazione perché i due concetti sono incompatibili. È anche legittimo chiedersi perché tutta questa pressione, internazionale e interna, perché i palestinesi eleggano i loro rapresentanti.

I palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza andranno alle urne il 9 gennaio 2005 per scegliere il secondo presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), in seguito alla scomparsa di abu Ammar (Arafat; nella foto i funerali al Cairo) l’11 novembre 2004. Rispettare il termine di sessanta giorni, previsto dalla legge fondamentale, è già di per sé un successo che è stato possibile grazie ad una coincidenza: prima ancora del crollo del raïs nella sua mukata’a, e nel quadro della preparazione delle elezioni municipali, parlamentari e presidenziali, tra il 4 agosto e il 13 ottobre 2004, infatti, era stato portato a termine il processo di registrazione per le elezioni. I palestinesi registrati (negli elenchi tenuti dal Comitato Centrale dell’Elezione) sono 1.092.856, cioè il 67% degli aventi diritto. Tra loro c’è una presenza notevole di giovani e di donne: il 46% sono tra 17 e 30 anni e il 46.44% sono di sesso feminile. Risultano anche gli aderenti ai movimenti islamici, Hamas e Jihad Islamica, che intendono partecipare solamente alle elezioni municipali iniziate parzialmente il 23 dicembre scorso in 26 municipalità palestinesi.

Ci sono sette candidati per il posto di presidente dell’Anp, ma gli scenari sono solo due: scegliere – o meglio, confermare – Mahmoud Abbas oppure scegliere un altro. In altre parole, optare per l’unità delle due istituzioni che rappresentano i palestinesi (l’Olp e l’Anp) affidandole alla stessa persona oppure scegliere la loro brusca separazione. Dopo il ritiro del popolarissimo Marwan Bargouthi, e grazie al boicottaggio di Hamas, la vittoria di Abu Mazen è data per scontata (Moustafa Barghouthi è un concorrente serio ma gli manca l’appoggio di un partito politico).

Tuttavia, in entrambi i casi, l’Olp è vincitore e perdente allo stesso tempo: Abu Mazen perderebbe la legittimità popolare ma l’Olp recupererebbe il suo ruolo e la sua indipendenza; nel caso contrario, l’Olp assisterà alla conferma popolare del suo capo esecutivo, ma assisterà anche a un processo di trasferimento di prerogative all’Anp. Di conseguenza, il centro d’impulso politico – e questa è la vera importanza delle elezioni – rischia di passare de facto dall’Olp (unico rapresentate del popolo palestinese, soggetto di diritto internazionale) all’Anp (creata dopo gli accordi di Oslo, con l’unico compito di amministrare i territori autonomi) e con esso c’è un passaggio da una causa palestinese legata ad un movimento nazionale di liberazione che rappresenta un popolo maggioritariamente in diaspora a un embrione di stato che amministra la popolazione dei territori occupati e che reclama uno stato tout court.

I sette candidati• Mahmoud Abbas (Abu Mazen), nato in Safad nel 1935, candidato di FATAH. Capo dell’esecutivo dell’OLP.

• Abdel Karim Kamel Shubair. Candidato indipendente. Nato a Kan Younis (nella striscia di Gaza) nel 1959. Dottore in diritto internazionale. Avvocato.

• Tayssir Khaled, candidato del fronte popolare democratico per la Liberazione della Palestina, nato a Qaryout vicino Nablus nel 1941. Dottore in scienze politiche in Germania.

• Abdul Halim Hassan Al-Ashqar, candidato indipendente, nato a Sayda, Tulkarem in 1958.

• Mustafa Barghouthi (Almubadara-l’iniziativa), nato a Gerusalemme nel 1954, candidato indipendente. Medico. Laureato anche in Filosofia (Mosca) e Amministrazione pubblica (Stati Uniti).

• Bassam al-Salhi, candidato del partito popolare palestinese, nato in Al’Amari campo dei rifugiati vicino a Ramallah nel 1960. Laurea in relazioni internazionali.

• Alsayid Hussein Barakah, candidato indipendente, nato a Beni Suhaila (Striscia di Gaza) nel 1956.

La difficile successione ad Arafat