Lettere in redazione

Matteo Renzi e i suoi finanziatori

Considero «Toscana Oggi» la sede giusta per una riflessione – che altrove potrebbe sembrare strana – sull’elenco, pubblicato da Matteo Renzi, dei finanziatori della sua campagna per le primarie interne al Pd. Essa appare come una certificazione dell’importanza sostanziale che si attribuisce alle risorse finanziarie come presupposto, base e fondamento dell’impegno politico. Se si pensa che si è trattato solo di una consultazione interna, diretta a verificare l’orientamento dell’elettorato di un partito, sconcerta che la quantità di denaro impiegata da un singolo concorrente sia di tale entità, a parte l’impegno dei volontari e delle strutture apposite; dovendosi peraltro tener conto, in aggiunta, delle risorse personali, di quelle mascherate e di quelle indirette, che si possono supporre in misura non inferiore. È chiaro che le idee e le proposte, per circolare, necessitano di supporti economicamente consistenti; ma quando questi supporti assumono rilevanza preponderante e richiedono tanto sforzo per essere acquisiti, le idee e le proposte rischiano di svanire.

Questo a maggior ragione quando le risorse economiche sono riferite alla singola persona, e non a movimenti o gruppi. Ciò conferma il rischio che l’impegno politico risulti finalizzato al successo della persona, invece che all’affermazione di principi o scelte di governo.

La preoccupazione aumenta considerando la provenienza di quelle risorse. Le quali sono erogate in larga parte, non da semplici cittadini o da imprenditori legittimamente motivati a far prevalere un orientamento favorevole alla produzione e all’occupazione, ma da quegli operatori finanziari la cui affermazione è raramente compatibile con l’interesse comune. Si tratta di soggetti che – indipendentemente dalla frequentazione di paradisi fiscali – hanno assunto un ruolo assai negativo nella crisi che sta deteriorando il sistema economico occidentale, con la prevalenza della speculazione sulla produzione, con la deviazione del risparmio, con il depauperamento delle finanze pubbliche. Non si vede quale legittimo interesse possa indurre questi personaggi a sostenere e condizionare la carriera politica di uno o l’altro dei candidati di un partito. Si dirà che queste cose sono sempre successe, e sono inevitabili. Ma una cosa è tollerarle, ed un’altra ostentarle.

Piero BrunoriFirenze

Sono in tanti ad aver avuto da eccepire sulla dispendiosa campagna per le primarie di Matteo Renzi. Molti, a dire il vero, lo hanno preso solo come pretesto per poter attaccare il Sindaco di Firenze, lasciando credere che gli altri politici si muovano senza utilizzare cospicue risorse economiche. Ma so che questo non è il suo caso, caro Brunori e che le sue perplessità sono sincere. Renzi sostiene da tempo che la politica non può essere finanziata con i soldi pubblici, almeno nel modo massiccio e senza alcuna trasparenza, come è avvenuto finora. La pensavano così anche gli italiani quando con un referendum abrogarono la legge sul finanziamento ai partiti. Fu così che i partiti si inventarono i «rimborsi elettorali» giunti ad un livello di pura indecenza. Non c’è dubbio che la politica abbia un costo, anche senza pensare a certi eccessi sotto gli occhi di tutti. E che ci sia un problema di democrazia a lasciare la politica solo nelle mani dei ricchi. Ma il rischio che lei vede – e per inciso vedo anch’io – di condizionare l’azione politica con generose sovvenzioni, non è stato scongiurato dal fiume di denaro pubblico finito nelle casse dei partiti. Anzi, sembra quasi che l’appetito venga mangiando! L’importante è la trasparenza. Documentare ciò che si riceve e ciò che si spende fino all’ultimo centesimo e in modo verificabile da autorità indipendenti. Su questo Renzi è molto più avanti dei tanti soloni che lo criticano.

Claudio Turrini