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Vescovi Iraq, Libano, Giordania su Siria: paura per scontro confessionale sciiti-sunniti

«I cristiani non sono per Assad, ma hanno scelto il male minore ben sapendo che il futuro governo in Siria potrebbe essere quello dei fondamentalisti islamici». A dichiararlo è monsignor Paul Dahdah, vescovo latino di Beirut, che al Sir esprime i suoi timori per le conseguenze che il conflitto siriano sta avendo in Libano e sui cristiani dell'area.

Nel Paese dei cedri, spiega, «le lotte tra sciiti e sunniti stanno alimentando il conflitto siriano e provocando divisioni». Chiaro il riferimento alle posizioni di Hezbollah, storico alleato di Assad e a quelle dei capi dei quartieri di Tripoli, città sunnita, che invece sostengono i ribelli».

Sull’aspetto confessionale della crisi siriana si sofferma anche monsignor Benjamin Sleiman, vescovo latino di Baghdad per il quale a lotta tra sciiti e sunniti è all’origine della nuova ondata di violenze che in Iraq da aprile ad oggi ha prodotto circa 4mila morti. Meno instabile dal punto di vista politico sembra essere la Giordania che però deve assistere, a livello umanitario, circa 700 mila profughi siriani che rappresentano un detonatore di una possibile crisi interna. «Un dramma immenso» lo definisce al Sir monsignor Maroun Laham, vicario per Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, preoccupato per «la presenza sul terreno di ribelli integralisti armati che ha reso ancora più grave la situazione dei cristiani».

Tuttavia mons. Laham dice non credere «ad un dopo Assad governato da islamisti» ma piuttosto ad «un governo moderato, di transizione formato dalle diverse fazioni dell’Opposizione e dell’attuale regime. Bisogna vedere cosa pensano Washington e Mosca».