Toscana
Treno della memoria, studenti toscani ad Auschwitz
Nella baracca c’erano una cinquantina di bambini. Letti a castello, uno per ogni piccolo. Al centro una stufa a legna. E nessun giocattolo. “Giocavamo con la neve, era il nostro unico divertimento”, spiega Liliana. A sorvegliarli una capoblocco. E proprio a lei è legato un ricordo tragico delle due sorelle. Una mattina le avvicinò: “Ora vi metteranno in riga e chiederanno di fare un passo avanti a chi vuol raggiungere la mamma. Mi raccomando non fatelo”. Così, informarono subito il loro cuginetto, Simone, anche lui deportato. Ma Simone, 5 anni, non le ascoltò e fece un passo avanti. Fu l’ultima volta che lo videro insieme ad altri venti. “Erano i bambini destinati a fare da cavie per esperimenti scientifici, dieci bambini e dieci bambine”. Finirono in un campo vicino ad Amburgo dove all’arrivo degli alleati furono tutti uccisi per nascondere la barbarie. “Gli iniettavano il virus della tubercolosi per vedere la reazione”, ricorda commossa Alessandra.
Ma la storia delle due sorelle è a lieto fine. Dopo la liberazione di Auscwitz finirono in un campo di raccolta in Inghilterra. La madre, liberata dagli americani, dopo molte ricerche le ritrovò. E le due bambine si riuniroro alla famiglia. Nel frattempo anche il padre, marittimo, era rientrato in Italia dopo essere stato in un campo di prigionia in Sudafrica. Oggi Liliana vive in Belgio e Alessandra a Padova. Della loro famiglia sono stati deportati in 13. Quattro sono tornati: le due sorelle, la mamma e la mamma di Simone. La conclusione di Alessandra e Liliana è quella che non ti aspetti: “Siamo state fortunate, noi”.
Al “muro della morte” – luogo dove venivano fucilati i prigionieri – la commosso cerimonia per celebrare i 60 anni dalla liberazione di Auschwitz. Le istituzioni della Toscana presenti – Comune di Firenze, Province di Firenze e di Pistoia – portano il loro saluto sotto i gonfaloni e al suono delle chiarine. La testimonianza delle sorelle Bucci, scampate al lager, è toccante. La voce rotta dalla commozione: “Questa neve ci riporta indietro nel tempo. A sessant’anni fa. Ed è un ricordo terribile”.
Infine Martini chiude la cerimonia sottolineando che “noi siamo qui non solo per dire no al nazismo, ma per rifiutare qualsiasi razzismo, odio, violenza e guerra da qualunque cultura nazione o cultura provenga”. “Mai più – conclude – si dovrà ripetere l’orrore di Auscwitz”.
A questo punto gli studenti, a gruppi di cinquanta circa, visitano il lager. Migliaia di pettini, spazzolini, occhiali, scarpe, valige: di questo sono piene le vetrine dentro le baracche oggi diventate museo. Oggetti di poco o nessun valore che raccontano storie di sofferenza e morte. E poi capelli, grigi, a chili. I nazisti tagliavano i capelli ai deportati dopo averli passati per le camere a gas. Prima di bruciare i corpi nei forni crematori. I capelli venivano venduti a ditte tedesche per farne tessuti. Infine, i giovani studenti sono entrati nell’unica camera a gas rimasta e nell’adiacente forno crematorio. Gli altri, sia qui che a Birkenau (il campo II), i tedeschi in fuga li fecero saltare per non lasciare tracce delle scempio. Ma la ciminiera rimasta, con il sottostante forno, è la testimonianza di ciò che accadeva. Dentro qualche candela accesa in ricordo degli ebrei, dei prigionieri politici polacchi, dei prigionieri di guerra russi, dei rom che qui furono uccisi e bruciati. Un milione e mezzo di morti. I volti dei giovani studenti sono attoniti. Nessuno parla. Nessun commento. La voce rimane in gola. Gli sguardi hanno visto l’orrore e lo raccontano.
E’ sera. La neve continua a scendere. Lentamente la comitiva si riunisce verso l’uscita. E’ ora di andare a Cracovia.
Purtroppo, a Birkenau non c’è stata nessuna testimonianza italiana. E per questo c’è stata molta amarezza. Ma le sorelle Bucci e Vera Michelin Salomon, prigioniera politica italiana scampata alla prigionia, hanno parlato nel pomeriggio nel Palazzotto dello sport di Cracovia ai 1200 ragazzi toscani ai quali si è aggiunta una delegazione di studenti della provincia di Foggia.
Prima delle scampate all’eccidio ha parlato lo storico Giovanni Gozzini. Il professore ha cercato di dare una spiegazione delle radici dell’odio verso gli ebrei che nel periodo della seconda guerra mondiale ha partorito il genocidio nazista. Gozzini ha messo in guardia dal risolvere tutto con l’affermazione della pazzia di Hitler. Infatti, indagini storiche hanno portato alla luce il fatto che oltre un milione sono le persone che hanno aiutato i nazisti per le retate. «Se uno può essere pazzo, pazzi non possono essere un milione di persone», ha affermato il professore. La conclusione è che si è arrivati a quell’orrore cavalcando la paura del diverso. «Gli stati totalitari – ha concluso Gozzini – producono conformismo e il conformismo produce paura del diverso e xenofobia».
Gli interventi – aperti dal capodelegazione e capogruppo Ds al Comune di Firenze Ugo Caffaz – sono stati chiusi dall’assessore regionale all’istruzione Paolo Benesperi che, nel primo pomeriggio, ha raggiunto i partecipanti al «Treno della Memoria».
Quando gli studenti arrivano a Birkenau, decine di operai stanno lavorando per rimetterre a posto dopo la cerimonia solenne con i Capi di Stato del giorno precedente. Si forma un lungo corteo silenzioso. In testa la bandiera italiana. Dietro Paolo Benesperi, assessore regionale all’istruzione, e Ugo Caffaz, capodelegazione. Poi, insieme a quello della Regione Toscana, i gonfaloni delle amministrazioni provinciali e comunali che hanno partecipato direttamente al Treno della Memoria: le Provincie di Firenze, Pistoia, Livorno, Lucca, Massa Carrara; i Comuni di Firenze, Pisa, Cascina (Pi), Cadenzano (Fi), Signa (Fi), Follonica (Gr), Castelfranco di Sopra (Ar). Poi gli studenti.
Il corteo percorre in lunghezza tutto il campo fino ad arrivare al memoriale delle vittime della Shoah che sorge sulle rovine di una delle quattro camere a gas e del crematorio. Al suono delle «chiarine» vengono deposte due corone. Poi tocca all’assessore Benesperi portare il saluto della Regione: «In questo luogo ci mancano le parole. I nostri sentimenti sono di sdegno, incredulità, sdegno per ciò che vediamo, proviamo, immaginiamo. Ma le parole ci mancano». E allora la domanda che sorge, secondo Benesperi, è: «Come è potuto accadere? E’ difficile dare una spiegazione all’orrore. E allora la memoria serve perché tutto ciò non accada più».
Poi la parola passa alle sorelle Bucci. E Tatiana, interpretando il pensiero della sorella minore, dice: «Abbiamo parlato molto in questi giorni. Oggi è il momento del silenzio». Sui visi, infreddoliti, di molti degli studenti a questo punto sono scese lacrime. Al termine della cerimonia sono state recitate tre preghiere: una in lingua Rom (anche gli zingari furono deportati e uccisi dai nazisti), una cattolica (una poesia di padre David Turoldo) e, infine, una ebraica. Poi è iniziata la visita al campo di sterminio.
A Birkenau i treni provenienti da tutta Europa si inoltravano fin dentro al campo: i binari della ferrovia erano stati prolungati per entrare dalla porta principale ed arrivare fino alla baracca dove veniva fatta la selezione. Da una parte, quelli che venivano mandati direttamente alla camere a gas dove veniva usato il composto chimico Zyclon B. Verso la morte immediata finivano circa il 75% di quelli che arrivavano, in maggioranza anziani, donne e bambini. Dall’altra, coloro erano ritenuti abili ai lavori forzati solo il 25% – ed erano ridotti a scheletri viventi: i prigionieri che vennero liberati il 27 gennaio 1945 pesavano 30/40 chili, meno della metà di una persona normale. La vita media era di 3-4 mesi.
Qui, a pochi passi da un bosco di betulle, ci sono ancora le rovine delle camere a gas e dei crematori concepiti per la «soluzione finale», come era definito dai nazisti lo sterminio degli ebrei. Di qua e di là dalla ferrovia le baracche che si stendono a perdita d’occhio. A destra, quelle riservate agli uomini e costruite in legno. in realtà erano stalle per cavalli smontate dalla Baviera e rimontate nel campo: avrebbero dovuto contenere 52 cavalli, all’interno i nazisti internavano in media 700 persone che dormivano in letti a castello a tre livelli, uno attaccato all’altro. A sinistra, dei binari le baracche in muratura riservate a donne e bambini. In una di queste, infermieri e dottori tra i quali Joseph Mengele, il «dottor morte»- eseguivano disumani esperiementi scientifici usando gli internati come cavie. Oltre un milione di ebrei fu ucciso o morì ad Auschwitz. E, proprio Birkenau, era il capolinea dell’orrore.
Inizia Antonio, uno studente dell’Università di Siena. La sua è una testimonianza toccante: «Mi sono venute le lacrime agli occhi visitando questi luoghi di morte e sterminio. Le parole sono rimaste in gola. Noi siamo andati ad Auschwitz sotto la neve ma eravamo tutti coperti, incappucciati. E allora il pensiero corre a quella gente, deportata, che stava quasi nuda a temperature costantemente sotto lo zero. Come facevano a sopravvivere? Questo viaggio ci ha fatto capire davvero cosa hanno passato i deportati. Tra l’altro, io ho vissuto questo viaggio con una grande intensità. Infatti mia padre è italiano ma mia madre è polacca: da sempre vivo in famiglia il dramma della famiglia della mamma che, spesso, è stata considerata tra quelli che hanno contribuito allo sterminio essendo questi campi tedeschi in suolo polacco».
Poi ci sono Gemma e Annita, dell’alberghiero «G. Minuto» di Massa Carrara: «Auschwitz ci ha colpito di più rispetto a Birkenau. Il primo, con il museo, contiene tanti ricordi delle persone che hanno perso la vita qui. Il secondo, sorge in uno spazio più grande, è quasi dispersivo: per questo ci ha impressionato di meno. Quello che ci ha colpito a Birkenau sono i graffiti dei prigionieri che, chiusi in prigionia, rappresentano momenti di vita in libertà. E poi, il posto dove dormivano, qualcuno in terra, al gelo. Vedere queste cose dal vivo e vederle in televisione o al cinema è molto diverso».
Aleandro dell’Iti di Grosseto si chiede come sia possibile «tanto disprezzo per una razza diversa e per la vita umana». «Ciò che colpisce continua è l’organizzazione razionale dello sterminio. Niente era lasciato al caso. Birkenau mi ha impressionato per questi binari che entrano dentro al campo: pensare al treno che entra e ai prigionieri che scendono e vengono portati alle camere a gas è impressionante».
Per Antonio del liceo scientifico «Fermi» di Arcidosso (Gr) sono state «forti le emozioni sentite a passare l’ingresso di Birkenau: è una sensazione indescrivile, tremavo».
Infine c’è Sabrina dell’Istituto tecnico «Capitini» di Agliana (Pt) che porta dentro il campo di sterminio la «bandiera della pace». «Il nostro istituto spiega la studentessa – è intitolato a colui che ha inventato questa bandiera, questo simbolo. Quale posto migliore di Auscwitz per portare questo segno di pace? Con questo vogliamo affermare il nostro no a qualsiasi forma di violenza, contro tutte le discriminazioni e contro tutte le guerre. La pace conclude è un valore assoluto».
La conclusione è di Ugo Caffaz, capodelegazione e capogruppo Ds al Comune di Firenze: «E’ importante che i giovani vengano qui, vedano con i loro occhi ciò che è avvenuto. Ricordare ciò che è avvenuto nel passato è fondamentale perché nel futuro ciò non si ripeta». E i giovani che le sembra che abbiano risposto a questo viaggio nella Memoria? «La maggioranza conclude Caffaz ha risposto positivamente. Ha capito e ha meditato». E’ ora di salire sul treno. Il treno giallo e quello azzurro sono pronti a riportare in Toscana i 1200 studenti. Domani saranno a casa e torneranno alla vita di tutti i giorni. Ma quella dal 25 al 30 gennaio 2005 sarà un’esperienza che non scorderanno mai.
Il sito del Giorno della memoria
Il sito del lager di Auschwitz-Birkenau
Le iniziative in Toscana per il Giorno della memoria
Fondazione Memoria della deportazione
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