Vita Chiesa

Capovilla: «Così la Chiesa ha dilatato gli spazi del cuore»

«Non posso dimenticare che Gesù ha detto: ‘Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori’. Dunque è venuto per me e per ciascuno dei miei fratelli che abbraccio da un capo all’altro della terra». Il cardinale Loris Francesco Capovilla il 14 ottobre taglia il traguardo dei 100 anni. Già segretario particolare di Giovanni XXIII, è il più anziano tra i vescovi italiani e tra i membri del Collegio cardinalizio, molti dei quali sono riuniti in questi giorni a Roma per il Sinodo dei vescovi dedicato a «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo». Dalla sua residenza a Sotto il Monte Giovanni XXIII, in provincia di Bergamo, il card. Capovilla partecipa con la preghiera ai lavori dei padri sinodali: «Non mi sento lontano da Roma e dal corpo di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità. Credo che esista un solo Dio, una sola legge che è l’amore e un solo scopo che è spendere la vita per aiutare i miei fratelli e le mie sorelle».

Eminenza, come è cambiata la Chiesa da quando era un giovane sacerdote?

«È un momento bello per la storia della Chiesa e dell’umanità. La mia mente è piena di pensieri di pace, di serenità e di speranza nei fratelli e sorelle di tutto il mondo. Qualunque sia il giudizio degli uomini, la società civile ha camminato e la Chiesa anche. La Chiesa che mi ha battezzato cento anni or sono è la stessa di oggi ma con una grande differenza: ha aperto gli occhi e ha dilatato gli spazi del cuore. Abbiamo prodigi di carità, di amore, di tolleranza e di fraternità universale».

La preoccupano le sfide del presente?

«Non siamo allo sbando ma, come ha detto Papa Giovanni XXIII in apertura del Concilio Vaticano II, ‘Tantum aurora est’. Quella che stiamo vivendo è l’aurora della Chiesa. Il giorno verrà, piano piano…».

I padri sinodali stanno affrontando questioni delicate in tema di pastorale…

«Ho obbedito tutta la vita, anche nelle piccole questioni, alla tradizione cristiana. Ho ricevuto dalle mani di chi mi ha preceduto la sua esperienza, i suoi ricordi e i suoi esempi. Qualunque cosa faccio io, piccolo uomo, non è senza difetto perché io non sono una divinità ma una povera creatura. Restiamo uomini, anche chi ha compiuto grandi imprese o versato il sangue per la Chiesa. Nella vita di ciascuno di noi ci sono ombre: in tutti noi, senza eccezione».

Dunque non ci sono distinzioni?

«Non ci sono buoni o cattivi per me, ci sono fratelli. Se sono buoni, sono tanto contento. Se hanno dei difetti e li dobbiamo rilevare, allora dobbiamo farlo senza astio o paura. Come stringo la mano di un bambino, così stringo la mano di ogni uomo. Ogni uomo è mio fratello, ogni donna è mia sorella».

Quale Chiesa è uscita dal Concilio?

«Il Vaticano II è stato un passo avanti come lo sono stati il Vaticano I, il Concilio di Trento, il Concilio di Nicea e indietro fino al primo che si è tenuto nell’anno 50 ed è impropriamente chiamato Concilio di Gerusalemme. Il quale si conclude con le parole di Pietro, che ha ricevuto tutti i poteri da Gesù: ‘Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…’. Questa è la collegialità e la fraternità. In questo ripongo speranza e fiducia».

È una Chiesa che non deve avere paura di confrontarsi con i peccatori?

«Sono contento di essere stato creato, battezzato e di aver fatto il mio dovere. Ricordo la parabola del pubblicano che entra nel tempio, si ferma a distanza e non ha il coraggio di alzare gli occhi verso l’altare. Ripete soltanto tra sé: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Nella sua umiltà egli esce perdonato a differenza del fariseo, che dice di osservare la legge ed esserle fedele».