Vita Chiesa

Mass media: un rinnovato impegno per i cattolici

di Andrea FagioliIl Catechismo della Chiesa cattolica dedica un paragrafo a «L’uso dei mezzi di comunicazione sociale»: è il quinto all’interno dell’ottavo comandamento («Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo»).

«Nella società moderna – si legge nel testo – i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell’informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all’influenza esercitata sull’opinione pubblica. L’informazione attraverso i mass media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un’informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà».

Dopo aver citato l’Inter mirifica del Concilio Vaticano II, il Catechismo afferma che i mezzi di comunicazione sociale «possono generare una certa passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli. Di fronte ai mass media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste».

La parte finale del paragrafo precisa meglio perché il discorso sui mezzi di comunicazione sociale sia inserito nell’ottavo comandamento: «Nulla può giustificare il ricorso a false informazioni per manipolare, mediante i mass media, l’opinione pubblica. Non si attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi».

Un’attenzione costante ai «media»A parte questo paragrafo del Catechismo, la Chiesa, a tutti i livelli (quella italiana ha da poco pubblicato il «Direttorio»), ha sempre avuto un’attenzione particolare per i mass media.

Pio XII, ad esempio, nel 1947 riferiva della radio come di una meraviglia dell’intelligenza a servizio dell’uomo; nel ’55 parlava dello straordinario potere del cinema nella società contemporanea: nello stesso anno definiva l’appena nata televisione uno strumento di informazione e di formazione.

In precedenza, riferimenti ai mass media erano stati fatti anche in documenti ufficiali come l’enciclica Vigilanti Cura del 1936 e, successivamente, nella Miranda prorsus (1957) e nella Boni pastoris (1959). Ma è con il Concilio Vaticano II che si ha il primo documento disciplinare sui mezzi di comunicazione sociale, la rammentata Inter mirifica («Tra le meravigliose invenzioni»).

L’elaborazione dell’Inter mirifica iniziò nel 1960 (e qui le date sono importanti), ovvero appena sei anni dopo l’inizio delle trasmissioni regolari da parte della tv (il primo giorno di programmazione «regolare e ufficiale» della televisione in Italia era stato il 3 gennaio 1954). Nel 1960 esistevano a malapena il Nazionale e il Secondo. Le radio locali sarebbero nate dieci anni dopo. Le tv private erano di là da venire; per non parlare dei grandi network apparsi soltanto all’inizio degli anni ’80. L’Inter mirifica fu promulgata il 4 dicembre 1963.

Riparte da lì anche Giovanni Paolo II per la sua ultima Lettera aspostolica, Il rapido sviluppo, presentata e diffusa lunedì 21 febbraio.«Il rapido sviluppo delle tecnologie nel campo dei media – scrive il Papa – è sicuramente uno dei segni del progresso dell’odierna società. Guardando a queste novità in continua evoluzione, appare ancor più attuale quanto si legge nel Decreto del Concilio ecumenico Vaticano II Inter mirifica, promulgato dal mio venerato predecessore, il servo di Dio Paolo VI, il 4 dicembre 1963: “Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto ai nostri giorni, l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, ha tratto dal creato, la Madre Chiesa accoglie e segue con speciale cura quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell’uomo e che hanno aperto nuove vie per comunicare, con massima facilità, notizie, idee e insegnamenti d’ogni genere”».

Ad oltre 40 anni dalla pubblicazione di quel documento «appare – a giudizio del Papa – quanto mai opportuno tornare a riflettere sulle “sfide” che le comunicazioni sociali costituiscono per la Chiesa, la quale, come fece notare Paolo VI, “si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi”. La Chiesa, infatti, non è chiamata soltanto ad usare i media per diffondere il Vangelo ma, oggi più che mai, ad integrare il messaggio salvifico nella “nuova cultura” che i potenti strumenti della comunicazione creano ed amplificano. Essa avverte che l’uso delle tecniche e delle tecnologie della comunicazione contemporanea fa parte integrante della propria missione nel terzo millennio».

Evangelizzazione e nuova culturaA questo punto, Giovanni Paolo II richiama la Redemptoris Missio, che non è un’enciclica sulle comunicazioni sociali, ma contiene in materia dei passaggi in questo senso fondamentali. Oltre al concetto di «areopaghi moderni», è da sottolineare quando il Papa parla di «nuova evangelizzazione» perché c’è una «nuova cultura» e aggiunge che «l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte» dall’influsso dei media. Però, dice ancora Wojtyla, non basta usare i media per diffondere il messaggio cristiano nella nuova cultura creata dalla comunicazione. Il problema è più complesso, «poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici».In poche parole l’omelia, la catechesi non bastano più, o meglio: non si possono più fare omelie o catechesi come se non ci fossero i media. È un problema di contenuti, ma anche, come sottolinea il Papa, un problema di linguaggio. E quando si parla di linguaggio non si intende soltanto di quello usato nel parlare, bensì di tutte le nuove forme espressive, internet compreso. Tecniche e linguaggi ineditiNella recente Lettera apostolica Giovanni Paolo II ribadisce appunto che «i mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Si tratta di un problema complesso, poiché tale cultura, prima ancora che dai contenuti, nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con tecniche e linguaggi inediti».E ancora: «i cristiani devono tenere conto della cultura mediatica in cui vivono: dalla liturgia, somma e fondamentale espressione della comunicazione con Dio e con i fratelli, alla catechesi che non può prescindere dal fatto di rivolgersi a soggetti che risentono dei linguaggi e della cultura contemporanei».

Particolare attenzione, la «Lettera» la dedica alla comunicazione telematica precisando, però, che «a fianco di internet vanno utilizzati altri nuovi media e verificate tutte le possibili valorizzazioni di strumenti tradizionali. Quotidiani e giornali, pubblicazioni di varia natura, televisioni e radio cattoliche rimangono molto utili in un panorama completo della comunicazione ecclesiale».

Animatori con il genio della fededi Marco GiorgettiGli «animatori della comunicazione e della cultura» chiamati a raccolta a Roma, dal 17 al 19 febbraio, per il primo convegno nazionale che proponeva, ad oltre 300 partecipanti, una riflessione a tutto campo sotto al tema «Con il genio della fede in un mondo che cambia».La grande assemblea, promossa dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e dal Servizio nazionale per il Progetto culturale, ha permesso ai partecipanti di approfondire le varie tematiche di settore attraverso l’aiuto sia di esperti che di persone comunemente impegnate su questo terreno da vari anni.

Ha aperto i lavori mons. Giuseppe Betori, Segretario generale della Cei, che ha sottolineato alcuni punti importanti dell’impegno pastorale della Chiesa in questo ambito negli ultimi 10 anni a partire dal Convegno ecclesiale di Palermo. «Sono profondamente convinto – ha detto Betori – che, attraverso il lavoro della Comunicazione sociale e del Progetto culturale, la Chiesa possa dare una risposta forte, incisiva, vera alla domanda di cultura espressa dall’uomo; una parte importante della nostra testimonianza per l’evangelizzazione passa attraverso questo grande impegno. Mi preme – ha continuato il segretario della Cei – evidenziare tre caratteristiche fondamentali dell’animatore della comunicazione e della cultura: in primo luogo il sentire ecclesiale, sia dal punto di vista del suo essere espressione della sensibilità della comunità ecclesiale su queste tematiche, sia del suo farsi interprete di uno slancio missionario che porta la Chiesa tutta verso le nuove frontiere dell’evangelizzazione. Un secondo elemento è legato al contributo che ci si attende da questa figura, potremmo sintetizzare la finalità del suo operare nel ridare spessore culturale all’annuncio del Vangelo. Un terzo fattore che deve segnare l’operato dell’animatore della comunicazione e della cultura è la sua capacità di sviluppare uno slancio innovativo e una capacità creativa, rivitalizzando tanti segmenti dell’impegno attuale della comunità ecclesiale sul versante dei media e delle iniziative culturali».

Grande spazio è stato poi dato negli incontri delle tre giornate al forte rilancio della stampa cattolica sia a livello nazionale con Avvenire, sia a livello regionale e locale con i tanti periodici esistenti sul territorio. Si nutrono grandi speranze, con l’imminente arrivo del digitale terrestre, per una crescente attenzione nei riguardi della rete televisiva Sat 2000 che con il circuito radiofonico InBlu costituisce una importante presenza in altri due fondamentali settori del mondo mediatico. Tanti sono stati gli interventi di persone provenienti da parrocchie, piccole e grandi, sparse su tutto il territorio nazionale che hanno raccontato alla platea la propria esperienza fatta a volte di interessanti «intuizioni» che hanno favorito l’apertura di nuovi canali informativi.

Mons. Francesco Cacucci, presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, ha elogiato il grande lavoro di tessitura e coordinamento svolto in questi anni dai responsabili dei due settori, mons. Claudio Giuliodori e il prof. Vittorio Sozzi, lasciando poi la parola nella parte finale del convegno a mons. Gianfranco Ravasi che ha concluso con alcune riflessioni: «Dobbiamo fare attenzione ad alcuni segnali di questa nostra epoca. Sono aumentati i mezzi per comunicare ma stranamente ad un fiorire di antenne sui tetti è anche corrisposto una maggiore chiusura delle nostre “porte”. Bisogna stare attenti ad un crescente relativismo che si fa largo grazie anche ad una disordinata gestione dell’enorme quantitativo di informazioni oggi disponibili. La comunicazione deve tener conto dell’importanza dei linguaggi, bisogna impegnarsi per un dialogo continuo ma al tempo stesso mantenere la propria identità, con coerenza e coraggio, evitando nella testimonianza timidezze, superficialità e omissioni».

Lettera apostolica «Il rapido sviluppo»

CHIESA E MEDIA: MONS.FOLEY, SI’ A CATTOLICI CONSUMATORI CRITICI E CREATIVI

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