Vita Chiesa

Ortodossi. Hilarion: «È stato il Patriarca Bartolomeo a optare per lo scisma»

«Scisma». Si può parlare di «scisma». E’ assolutamente determinato e chiaro il metropolita Hilarion di Volokolamsk, capo del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, nel descrivere l’attuale spaccatura che si è creata nel mondo ortodosso tra Mosca e Costantinopoli dopo la decisione del Patriarca Bartolomeo di concedere l’autocefalia alla Chiesa ucraina e la successiva decisione da parte del Patriarcato di Mosca di rompere la comunione eucaristica con la Chiesa ortodossa russa. Il metropolita Hilarion è per due giorni a Roma per partecipare al Sinodo dei vescovi sui giovani – oggi peraltro verrà ricevuto da Papa Francesco -, ma trova volentieri il tempo per concedere un’intervista al Sir e a inBlu Radio, spiegando le ragioni e i retroscena che hanno portato Mosca alla rottura con Bartolomeo e illustrando le prospettive future. «In accordo con le leggi canoniche che regolano la Chiesa – chiarisce subito -, i vescovi che riconoscono i gruppi scismatici, diventano essi stessi scismatici. Quindi nella nostra opinione, il patriarcato di Costantinopoli è attualmente in scisma».

Cosa significa esattamente questo scisma per il futuro delle relazioni intra-ortodosse?

«In pratica significa che noi non parteciperemo ad alcuna celebrazione eucaristica insieme al Patriarcato di Costantinopoli e che i nostri fedeli non potranno ricevere la comunione nelle chiese legate a Costantinopoli. Inoltre noi non parteciperemo ad alcun organismo organizzato o presieduto dal Patriarca di Costantinopoli o da suoi rappresentanti. Per noi questo Patriarcato si trova in una situazione di scisma e, quindi, abbiamo cancellato il nome del Patriarca Bartolomeo dalla lista ufficiale dei Patriarchi che noi chiamiamo dittici. Non sarà quindi commemorato dalla Chiesa ortodossa russa e cominceremo il dittico dal Patriarca di Alessandria. È quanto in realtà ha scelto il Patriarca Bartolomeo stesso».

Poteva scegliere di essere il centro di coordinamento per tutte le Chiese ortodosse o essere in scisma. Lui ha optato per lo scisma. Significa anche che se sono presenti rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli in organismi di dialogo con la Chiesa cattolica – ci riferiamo, per esempio, alla Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa – voi non parteciperete più?

«Non parteciperemo a nessuna Commissione presieduta o co-presieduta dal Patriarca di Costantinopoli. Significa che non parteciperemo in alcun dialogo teologico nel quale sono presenti rappresentanti del Patriarcato di Costantinopoli che presiedono o co-presiedono».

Quello che sta dicendo è molto duro. È sicuro che questo processo sia irreversibile? Ci sono condizioni per cui è possibile tornare indietro? E quali sono queste condizioni?

«Penso che sia un processo reversibile ma la condizione per un ritorno alla normalità è l’abolizione da parte del Patriarca di Costantinopoli delle decisioni che lui ha già preso e unirsi di nuovo alla famiglia delle Chiese ortodosse».

Il Patriarca Giovanni X ha proposto di indire un Sinodo pan-ortodosso dove poter parlare della questione «autocefalia». Ritiene che sia una proposta possibile per una soluzione del problema?

«È stata la proposta che anche noi abbiamo fatto, ma il Patriarca di Costantinopoli non ha voluto alcuna discussione pan-ortodossa su questa questione perché ritiene che sia nelle sue competenze la responsabilità di concedere l’autocefalia. Noi invece non lo crediamo. Nel caso, per esempio, della Chiesa ortodossa russa, quando fu riconosciuta Patriarcato, ciò avvenne dai 4 Patriarcati che esistono, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. E fu una decisione pan-ortodossa e non una decisione unilaterale di Costantinopoli. Negli anni Novanta, ci fu un accordo tra le Chiese ortodosse secondo il quale nel futuro ogni concessione di autocefalia sarebbe stata decisa da una consultazione e un consensus pan-ortodossi. Ma ora il Patriarcato di Costantinopoli ha semplicemente detto che quell’accordo non esiste e non è valido».

Veramente un Concilio pan-ortodosso c’è stato a Creta nel 2016 al quale voi come Chiesa russa, non avete partecipato. Non poteva essere quello un contesto per affrontare la questione?

«Innanzitutto voglio dire che non è stato pan-ortodosso. È stato proposto come pan-ortodosso ma alcune settimane prima di questo Concilio, alcune Chiese hanno declinato l’invito. La prima fu la Chiesa di Bulgaria. Poi la Chiesa di Antiochia e, subito dopo, la Chiesa di Georgia. La Chiesa di Serbia ha proposto di posticipare il Concilio. Tre Chiese, quindi, hanno dichiarato di non partecipare e una Chiesa ha chiesto di posticipare l’iniziativa, anche noi come Chiesa russa, abbiamo chiesto di posticiparlo, ma il Patriarca di Costantinopoli ha detto di non voler ascoltare le voci che venivano dalle Chiese ortodosse e che avrebbe fatto, comunque sia, quel Concilio. Non è stato un Concilio pan-ortodosso ma un Concilio di 10 Chiese. Anche la questione dell’autocefalia, discussa prima e inclusa nel programma del Concilio, in realtà è rimasta fuori dal programma dei lavori. Non è stata, quindi, un’occasione per risolvere problemi che hanno fatto arrivare alla situazione attuale e, cioè, a uno scisma nella Chiesa ortodossa».

L’Ucraina è un Paese in conflitto. Quanto è pesante la divisione delle Chiese in un contesto così fragile per la pace?

«Non sono un analista politico. Sono un rappresentante della Chiesa. Posso solo dire che dal punto di vista delle Chiese, la divisione che originariamente si è generata a livello di Chiese all’inizio degli anni Novanta, è stata facilmente trasformata in una divisione a livello di società. La società stessa è divisa. E questa divisione è pesante. Ed è proprio questa divisione che ha portato all’attuale conflitto armato. Prendiamo, per esempio, la questione linguistica. Ci sono persone che vogliono parlare solo ucraino e milioni di persone che vogliono parlare russo ma le autorità non danno a queste persone e ai loro figli la possibilità di farlo. Non è ovviamente una questione solamente linguistica, ma una questione d’identità. E questo crea una situazione di scisma a livello di Chiesa e scisma nella società».

Il Patriarca Kirill è un uomo di Dio ed è un uomo di dialogo. Come sta vivendo questa situazione? Non deve essere facile per lui.

«Certamente è molto preoccupato. Ha fatto personalmente molto per evitare questa situazione. Ha lavorato per anni come capo del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato. È stato membro di molte Commissioni teologiche. Ha partecipato a molti incontri con il Patriarca Bartolomeo e con rappresentanti ecumenici e sa molto più di chiunque altro quanto sia importante l’unità ortodossa. Fino alla fine, fino alla fine di agosto era personalmente coinvolto nel cercare di risolvere il problema, d’impegnare il Patriarca di Costantinopoli nel dialogo, ma è diventato chiaro anche durante l’incontro di fine agosto – che come è stato detto, è stato fraterno – che il Patriarca Bartolomeo non aveva più intenzione di continuare il dialogo. Aveva le sue ragioni, aveva le sue idee e non voleva ascoltare. Credeva che poteva scegliere e che gli altri avrebbero dovuto accettare. Ma non è stato così, come abbiamo visto…».