Vita Chiesa

Papa Francesco: lottare contro le mafie non è solo reprimere

Il saluto di Rosy Bindi. «La sua scomunica ai mafiosi è una linea di separazione tra Chiesa e mafia che nessuno potrà cancellare». Lo ha detto Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, salutando il Papa durante l’udienza concessa dal papa all’organismo che indaga da oltre 50 anni sulle mafie. La scomunica di Papa Francesco, secondo Bindi, «costringe tutti, credenti e non credenti, ad interrogarsi sulla nostra capacità di operare davvero per la giustizia». La presidente della Commissione ha esordito esprimendo «profonda gratitudine» al Papa «per aver accordato questo incontro» e manifestando la sua «profonda sintonia» con i numerosi interventi di Bergoglio contro la mafia e la corruzione. A proposito dell’attività di contrasto alle mafie svolta dalla Commissione, Bindi ha fatto notare che «la mafia eversiva e stragista è stata sconfitta, sono stati colpiti i vertici delle organizzazioni criminali, ma la lotta è stata ed è una lotta durissima, condotta sempre rispettando i principi della democrazia e dello Stato di diritto ed illuminata dal sacrifici di centinaia di uomini e donne innocenti». Tra di loro, Bindi ha citato don Puglisi e don Diana, «martiri della fede», e «Rosario Livatino, «martire della giustizia», come l’ha definito Giovanni Paolo II. E l’udienza di oggi si svolge proprio nel 27° anniversario dell’assassinio del «giudice ragazzino».

«Ricordo, in particolare, tre magistrati», le parole di Francesco: il servo di Dio Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990; Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi 25 anni fa insieme a quanti li scortavano». È la prima volta che la Commissione bicamerale, che indaga da oltre 50 anni sulle mafie italiane, ha un incontro ufficiale con il Papa in Vaticano. L’udienza è stata chiesta a Francesco in occasione del ventisettesimo anniversario dell’assassinio del giudice Rosario Livatino, per il quale è in corso un processo di beatificazione. All’inizio del suo discorso, il Papa ha tracciato un parallelo tra «alcune scene evangeliche» e «i segni di quella crisi morale che oggi attraversa persone e istituzione».

Le responsabilità della politica. «Quando ci si chiude nell’autosufficienza si arriva facilmente al compiacimento di sé e alla pretesa di farsi norma di tutto e di tutti. Ne è segno anche una politica deviata, piegata a interessi di parte e ad accordi non limpidi. Si arriva, allora, a soffocare l’appello della coscienza, a banalizzare il male, a confondere la verità con la menzogna e ad approfittare del ruolo di responsabilità pubblica che si riveste». È la forte denuncia rivolta dal Papa ai membri della Commissione parlamentare antimafia. «Il punto di partenza rimane sempre il cuore dell’uomo, le sue relazioni, i suoi attaccamenti», l’analisi di Francesco a proposito della «crisi morale che oggi attraversa persone e istituzioni»: «Non vigileremo mai abbastanza su questo abisso, dove la persona è esposta a tentazioni di opportunismo, di inganno e di frode, rese più pericolose dal rifiuto di mettersi in discussione». La «politica autentica», invece, «quella che riconosciamo come una forma eminente di carità, opera per assicurare un futuro di speranza e promuovere la dignità di ognuno»: «Proprio per questo – ha spiegato il Papa – sente la lotta alle mafie come una sua priorità, in quanto esse rubano il bene comune, togliendo speranza e dignità alle persone».

La corruzione si autogiustifica. È «decisivo opporsi in ogni modo al grave problema della corruzione che, nel disprezzo dell’interesse generale, rappresenta il terreno fertile nel quale le mafie attecchiscono e si sviluppano», ha ribadito il Papa, che ha osservato che «la corruzione trova sempre il modo di giustificare se stessa, presentandosi come la condizione normale, la soluzione di chi è furbo, la via percorribile per conseguire i propri obiettivi. Ha una natura contagiosa e parassitaria, perché non si nutre di ciò che di buono produce, ma di quanto sottrae e rapina. È una radice velenosa che altera la sana concorrenza e allontana gli investimenti». «In fondo – ha sintetizzato Francesco –  la corruzione è un habitus costruito sull’idolatria del denaro e la mercificazione della dignità umana, per cui va combattuta con misure non meno incisive di quelle previste nella lotta alle mafie».

«Lottare contro le mafie significa non solo reprimere. Significa anche bonificare, trasformare, costruire». È la ricetta del Papa, che ha affermato che la lotta alle mafie «comporta un impegno a due livelli»: «Il primo è quello politico, attraverso una maggiore giustizia sociale, perché le mafie hanno gioco facile nel proporsi come sistema alternativo sul territorio proprio dove mancano i diritti e le opportunità: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria». Il secondo livello di impegno, secondo Francesco, «è quello economico, attraverso la correzione o la cancellazione di quei meccanismi che generano dovunque disuguaglianza e povertà». «Oggi non possiamo più parlare di lotta alle mafie – l’altra denuncia del Papa – senza sollevare l’enorme problema di una finanza ormai sovrana sulle regole democratiche, grazie alla quale le realtà criminali investono e moltiplicano i già ingenti profitti ricavati dai loro traffici: droga, armi, tratta delle persone, smaltimento di rifiuti tossici, condizionamenti degli appalti per le grandi opere, gioco d’azzardo, racket».

Una nuova coscienza civile. Il terzo livello, dopo quello politico ed economico, sul quale portare avanti la lotta alle mafie, è per Bergoglio quello della «costruzione di di una nuova coscienza civile, la sola che può portare a una vera liberazione dalle mafie». E ha aggiunto: «serve davvero educare ed educarsi a costante vigilanza su se stessi e sul contesto in cui si vive, accrescendo una percezione più puntuale dei fenomeni di corruzione e lavorando per un modo nuovo di essere cittadini, che comprenda la cura e la responsabilità per gli altri e per il bene comune». «L’Italia deve essere orgogliosa di aver messo in campo contro la mafia una legislazione che coinvolge lo Stato e i cittadini, le amministrazioni e le associazioni, il mondo laico e quello cattolico e religioso in senso lato», l’omaggio di Francesco, secondo il quale «i beni confiscati alle mafie e riconvertiti a uso sociale rappresentano delle autentiche palestre di vita», dove «i giovani studiano, apprendono saperi e responsabilità, trovano un lavoro e una realizzazione». «In esse – ha fatto notare il Papa – anche tante persone anziane, povere o svantaggiate trovano accoglienza, servizio e dignità».  Infine, «la lotta alle mafie passa attraverso la tutela e la valorizzazione dei testimoni di giustizia, persone che si espongono a gravi rischi scegliendo di denunciare le violenze di cui sono state testimoni». «Va trovata una via che permetta a una persona pulita, ma appartenente a famiglie o contesti di mafia, di uscirne senza subire vendette e ritorsioni», la proposta del Papa: «Sono molte le donne, soprattutto madri, che cercano di farlo, nel rifiuto delle logiche criminali e nel desiderio di garantire ai propri figli un futuro diverso. Occorre riuscire ad aiutarle, nel rispetto, certamente, dei percorsi di giustizia, ma anche della loro dignità di persone che scelgono il bene e la vita».