Vita Chiesa

Papa a Genova: incontro col clero, «ho paura del prete statico»

La preghiera per i copti uccisi in Egitto. È iniziata con una preghiera per i copti uccisi nell’attentato in Egitto, l’incontro del Papa con il clero, i seminaristi e i religiosi della Liguria, insieme con i collaboratori laici della Curia di Genova e ai rappresentanti di altre confessioni, nella cattedrale di San Lorenzo, dove il Papa è arrivato puntuale alle 10 e si è intrattenuto più di un’ora e mezza, rispondendo a braccio a quattro domande.

«I martiri oggi sono di più, rispetto ai primi tempi della Chiesa», ha fatto notare Francesco, invitando i presenti a «pregare in silenzio, con una Ave Maria», per «i fratelli copti egiziani che sono stati uccisi», con l’intento di «stare insieme a loro, e al mio fratello Tawadros», le parole di Francesco.

«Sempre Gesù era in cammino. E i Vangeli, con le sfumature di ognuno, sempre fanno vedere Gesù in cammino in mezzo alla gente», ha detto il Papa, che nell’incontro a braccio con il clero in cattedrale a Genova ha esortato i presenti a guardare allo «stile di Gesù», che «la maggior parte del tempo lo passava sulla strada»: «Questo vuol dire vicinanza alla gente, ai problemi: non si nascondeva. Poi alla sera tante volte si nascondeva per pregare, per essere col Padre». La nostra «vita contemporanea», invece, «non è in strada, è in fretta: sono cose diverse», ha precisato a proposito di «questo mondo impazzito», in cui viviamo «sempre guardando l’orologio». «Gesù non faceva questo, Gesù mai è stato fermo», ha ricordato il Papa: «Come tutti quelli che camminano, Gesù era esposto alla distrazione, a essere fermato. Non dobbiamo aver paura del movimento, della dispersione del nostro tempo. La paura più grande alla quale dobbiamo pensare è una vita statica, una vita del prete che ha tutto ben risolto, in ordine, strutturato, tutto è al suo posto».

«Io ho paura del prete statico», ha confessato Francesco: «Ho paura, anche quando è statico nella preghiera. Una vita così tanto strutturata non è una vita cristiana. Forse quel parroco è un buon imprenditore: sì, celebra la Messa, lo stile è uno stile cristiano o di un uomo con la grazia di Dio ma con lo stile di un imprenditore». «Gesù sempre è stato un uomo di strada, di cammino, aperto alle sorprese di Dio», ha proseguito il Papa: «Invece il sacerdote che ha tutto pianificato, tutto strutturato, generalmente è chiuso alle sorprese di Dio, si perde quella gioia della sorpresa, dell’incontro: il Signore che ti prende quando non te l’aspetti, ma sei aperto».

«L’incontro col Padre e l’incontro con le persone»: questi, secondo Francesco, i due «criteri» da seguire per la vita consacrata. «Sempre la gente stanca», ma bisogna «lasciarsi stancare dalla gente, non difendere troppo la propria tranquillità», la ricetta del Papa durante il discorso a braccio con il clero in cattedrale a Genova. «Incontrare la gente è una croce», ma è l’unico antidoto contro l’autoreferenzialità. «Quando un sacerdote parla troppo di se stesso, delle cose che fa è uno dei segni che non va bene», ha ammonito il Papa: «È autoreferenziale. È segno che quell’uomo non è un uomo d’incontro, al massimo è uomo dello specchio, gli piace rispecchiare se stesso. Ha bisogno di riempire il vuoto del cuore parlando di se stesso». «Sei stanco? Vai avanti. Quella stanchezza è santità», l’invito del Papa sulla scorta di san Luigi Orione, che descriveva il prete «sfatto» alla fine della giornata: «Sempre ci sia la preghiera, al contrario potrebbe essere stanchezza di autoreferenzialità», ha precisato. «Sono uomo di tabernacolo, sono uomo di strada, sono uomo di orecchio che sa ascoltare, mi lascio stancare dalla gente?», gli interrogativi consegnati ai religiosi: «Questo era Gesù. Non ci sono formule. Gesù aveva una chiara coscienza che la sua vita era per gli altri, per il Padre e per la gente, non per se stesso: si dava, si dava. La sua vita l’ha vissuta in chiave di missione».

«Minimo di strutture per il massimo di vita, e mai il massimo di strutture per il minimo di vita». Sempre a braccio il Papa ha citato «un uomo di Dio», per il quale a suo avviso «introdurranno una causa di beatificazione», e la sua idea di Chiesa. «Senza rapporto con Dio e con il prossimo niente ha senso nella vita di un prete», ha ammonito Francesco: «Farai carriera, ma il cuore rimarrà vuoto, perché il tuo cuore è legato alle strutture e non ai rapporti essenziali», che sono quelli «con il Padre, con Dio, con le persone. Questi criteri sono antichissimi, sono i vecchi criteri della Chiesa che sono moderni, ultramoderni», ha assicurato rispondendo alla domanda di un sacerdote di 81 anni, con il quale ha scherzato: «Sentendolo parlare così le avrei dato venti di meno». «Fraternità è una bella parola, ma non si quota nelle borse dei valori», ha detto Francesco a proposito del tema della domanda: «È difficile la fraternità tra noi, è un lavoro di tutti i giorni», il cui esatto contrario è rappresentato dalla «autosufficienza» del «prete che sa tutto». Un esempio: quando i sacerdoti sono in riunione e si perdono nell’«orbita» dei loro pensieri, senza ascoltare i fratelli. «Ma se il vescovo dicesse: voi sapete che dall’anno prossimo crescerà l’apporto dell’otto per mille per i preti, lì l’orbita scende», ha scherzato ancora il Papa.

Recuperare il senso della fraternità. «Fare con i preti del presbiterio lo stesso che facevo con i miei fratelli, questo è il segreto», ha esclamato Francesco: «Dobbiamo recuperare il senso della fraternità, parola che non è ancor entrata nel cuore dei presbiteri. C’è entrata un po’, ma deve entrare di più». «È bello sentire discussioni nelle riunioni di sacerdoti, perché se c’è discussione c’è libertà, c’è amore, c’è fiducia, c’è fratellanza», ha detto il Papa, esortando a «non avere paura» dei conflitti, ma delle «mormorazioni», dello «spellarsi l’uno con l’altro». L’esempio citato da Francesco è quello per cui si chiedono informazioni per un «sacerdote possibile candidato a diventare vescovo»: «Alcune volte si trovano vere calunnie o opinioni che senza essere calunnie gravi svalutano la persona del prete, e si capisce subito che dietro c’è gelosia, invidia», la constatazione. «Quando non c’è fratellanza sacerdotale c’è tradimento, si tradisce il fratello, si vende il fratello, si spella il fratello».

Tutti dentro il fiume. «Nessuno di noi è il tutto, tutti siamo parte di un corpo, il corpo di Cristo, la Chiesa, la Chiesa particolare: chi ha la pretesa di essere tutto, sbaglia. Ma questo si impara dal seminario», ha detto ancora il Papa, che nel discorso a braccio con il clero e i religiosi di Genova ha citato «un bravo arcivescovo vostro, Canestri, che diceva che la Chiesa è come un fiume: l’importante è essere dentro il fiume. Se tu sei un po’ più al centro o più a destra o sinistra, ma dentro il fiume: questa è una varietà lecita». «Tante volte noi vediamo che il fiume diventa piccolo, lo vorremmo soltanto dalla nostra parte, e condanniamo gli altri, e questo non è fratellanza», ha ammonito: «Tutti dentro il fiume. Questo si impara in seminario». Di qui il «consiglio ai formatori»: «Se voi vedete un seminarista bravo, intelligente, ma che è un chiacchierone, cacciatelo via, perché questa sarà un’ipoteca per la fratellanza presbiterale, se non si corregge cacciatelo via dall’inizio. Dalle mie parti si dice: alleva corvi e ti mangeranno gli occhi. Se li allevi, i corvi distruggeranno qualsiasi fratellanza nel presbiterio». Anche per i rapporti tra parroco e viceparroco, «l’importante è essere dentro il fiume, e non chiacchierare l’uno dell’altro, ma cercare l’unità. Dobbiamo prendere i doni, le ricchezze, i carismi di ognuno e questo è importante. I padri del deserto ci insegnano tanto su questo, sulla fratellanza, sul perdono, su tutto». «Ci sono alcuni aiuti che quello che cercano è distruggere», il grido d’allarme del Papa: «Non sono aiuti, sono travestiti da aiuti: nella mormorazione sempre c’è questo». «Quando ci troviamo davanti a peccati, a cose brutte dei nostri fratelli che cercano di rompere fratellanza – il consiglio – proviamo a farci una domanda: quante volte sono stato perdonato?».

«La diocesanità è la porzione del popolo di Dio che ha la faccia: nella diocesanità c’è la faccia del popolo di Dio. La diocesi ha fatto, fa e farà la storia». Ne è convinto il Papa, che nella parte finale del discorso al clero e ai religiosi di Genova ha fatto notare che «tutti siamo inseriti nella diocesanità, e questo ci aiuta a far sì che la nostra fede non sia teorica ma sia pratica». «Ogni carisma è un regalo per la Chiesa universale», ha ricordato Francesco, ma «tutti i carismi nascono in un posto concreto, molto unito alla vita di quella diocesi concreta. Non nascono dall’aria. Poi il carisma cresce, cresce, cresce e ha un carattere molto universale, ma sempre con la radice nella diocesanità». «Se diciamo francescani, quale posto ci viene in mente? Assisi», l’esempio citato: «Questo ci insegna ad amare la gente nei posti concreti: la concretezza della Chiesa la dà la diocesanità. Questo non vuol dire uccidere un carisma, aiuta il carisma a farsi più reale, più visibile, più vicino. Quando l’universalità di un istituto religioso si dimentica di inserirsi nei posti concreti, delle diocesi concrete, quest’ordine religioso alla fine si dimentica da dove è nato. Si universalizza al modo delle Nazioni Unite. Non c’è quella concretezza della diocesanità. Istituti religiosi volanti non esistono: la radice è sempre la diocesi, e responsabile è il vescovo. Un carisma che abbia la pretesa di non prendere sul serio l’aspetto della diocesanità e si rifugia soltanto negli aspetti ad intra, lo porterà a una spiritualità autoreferenziale e non universale». Altra parola chiave affidata ai religiosi: «disponibilità», per «andare dove c’è più bisogno, più necessità», verso «tutte le periferie, non solo quelle della povertà, anche quelle del pensiero, tutte». Disponibilità, per il Papa, è anche «revisione delle opere», che implica la capacità di «essere disponibili ad andare oltre, sempre oltre. Non aver paura dei rischi».

Il saluto del card. Bagnasco. «La comune missione ci spinge ad incontrarci con stima e amicizia per camminare insieme nella peculiarità di ogni Chiesa Particolare – come Lei insegna – e di ogni territorio. Insieme guardiamo a Lei, Successore del Beato Pietro: la Sua parola e il Suo esempio ci orientano e sostengono per andare al largo senza paura». Il card. Angelo Bagnasco si era rivolto così al Papa prima nel saluto introduttivo. «Sappiamo che la bellezza che vorremmo esprimere – tutti noi qui presenti – non è sempre all’altezza del desiderio; e sappiamo che – come Lei ci sollecita – non dobbiamo arrenderci nel cammino della santificazione e della conversione personale e pastorale. Nello stesso tempo, Santo Padre, noi vescovi Le assicuriamo che il desiderio di seguire il Signore ci abita e serenamente ci inquieta», aveva aggiunto il cardinale. «I nostri preti, in genere, sono schivi, cercano di essere fedeli ai loro compiti, di essere a disposizione della gente, di non perdere le occasioni d’incontro che la pastorale ordinaria sempre più presenta. Ascoltando oggi la Sua parola – aveva proseguito Bagnasco -, sono certo che sentiremo crescere l’entusiasmo per andare ancora più al largo, superando timori e stanchezze». In Liguria sono presenti circa 600 sacerdoti diocesani e 600 religiosi, nonché poco più di 2.000 religiose: «Di fronte alle molte necessità pastorali cerchiamo di scorgere dove conduce lo Spirito, di discernere l’essenziale, di lavorare di più insieme».

(discorso integrale)